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Latte animale o 'latte' vegetale? Tanti latti per tanti gusti

Latte animale o latte vegetale Tanti latti per tanti gusti
di Stefania Elena Carnemolla

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Tu che latte bevi, animale o vegetale? Una domanda frequente. Intanto, nel 2017 una sentenza della  Corte Europea di Giustizia ha stabilito che solo i prodotti lattiero-caseari possono utilizzare la denominazione di latte, burro, yogurth, panna, crema di latte e che quello che, ad esempio, fino ad oggi era conosciuto come latte di soia non potrà più essere venduto come tale, ma solo come bevanda di soia.

In Italia la sentenza è stata favorevolmente accolta, con le associazioni di categoria che hanno parlato di fine di un inganno. La realtà è, invece, diversa: chi acquista latte vegetale lo fa perché non vuole o non può bere quello di origine animale, in poche parole è ben consapevole di quel che acquista. Un concetto esplicitato da  Educazione Nutrizionale Grana Padano, iniziativa del  Consorzio Tutela Grana Padano DOP: “La rinuncia al latte vaccino può essere una scelta dettata da diverse motivazioni, per esempio di carattere salutistico, dovute quindi a un’allergia alle caseine (le proteine del latte vaccino) anche se rarissima tra gli adulti e spesso transitoria nei bambini, all’intolleranza al lattosio, alla necessità di ridurre le calorie della dieta ecc., oppure di carattere etico-ideologico, come nel caso dei vegani”.

Sicuramente da un punto di vista nutrizionale il latte animale è più completo, fonte, ricorda la  Fondazione Campagna Amica di  Coldiretti, oltre che di acqua, di calcio, proteine, zuccheri, grassi in “percentuale equilibrata”, minerali come potassio, fosforo, zinco, magnesio, selenio, quindi vitamine, in particolare del gruppo B. Un problema a consumare latte animale viene da chi è intollerante al lattosio, un disaccaride, uno zucchero composto, cioè, da due zuccheri – glucosio e galattosio – la cui digestione, spiega la Fondazione Campagna Amica, dipende da un enzima chiamato lattasi, la cui funzione è quella di “scindere il legame tra i due zuccheri permettendone così l’assorbimento”. L’intolleranza al lattosio è, comunque, diversa dall’allergia al latte, che è, invece, una “reazione di difesa” alle proteine del latte, che  “non vengono riconosciute” dall’organismo. L’allergia al latte si manifesta “generalmente nel primo anno di vita” con malessere, vomito, orticaria, dermatiti topiche, nausea, vomito, diarrea, tendendo a scomparire con l’età. 

In commercio esistono diversi tipi di latte. La Fondazione Campagna Amica ricorda, ad esempio, quello di origine animale: il latte crudo, acquistato dal produttore e che non ha subito trattamenti termici superiori ai 40° e che, prima del consumo, va pertanto bollito alla temperatura di 80°; il latte biologico, da bovine allevate con “metodo biologico” ai sensi della normativa europea e dei decreti del  Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; il latte fresco pastorizzato, che viene trattato per 15-20 secondi ad una temperatura fra i 72° e i 78° C e che può essere conservato in frigorifero ad una temperatura fra i 4° e i 6° C fino a sei giorni; il latte fresco pastorizzato di alta qualità, pastorizzato a 72° C per 15-18 secondi e che può essere conservato in frigorifero, anche questo fino a sei giorni; il latte microfiltrato pastorizzato, sottoposto ad uno speciale processo di microfiltrazione che “ne aumenta la durata anche 20 giorni dopo quello del trattamento termico”; il latte sterilizzato UHT o a lunga conservazione che viene trattato fra i 2 e i 4 secondi ad una temperatura fra i 135° e i 150° C e che, confezionato in “condizioni asettiche”, può essere conservato a temperatura ambiente anche per tre mesi; il latte delattosato, adatto, spiega la Fondazione Campagna Amica, a “chi è intollerante grazie all’utilizzo dell’enzima lattasi che rende i suoi zuccheri più assimilabili”. 

Sempre più variegato, invece, il mondo dei latti vegetali. C’è il latte di cereali con il latte di avena, grano, orzo, riso; il latte di legumi con il latte di lupini, piselli, soia; il latte di noci con il latte di mandorla, arachidi, cocco, noce, nocciola; il latte di semi con il latte di canapa, sesamo, semi di girasole; il latte dagli pseudo-cereali come il latte di quinoa e quello di teff. Tra i più consumati ci sono il latte di avena, cocco, mandorla, riso e soia. Educazione Grana Padano ne ricorda le principali caratteristiche.

Il latte di soia, ad esempio, il basso indice glicemico e il contenuto in grassi polinsaturi e monoinsaturi ne fanno “una bevanda vegetale leggera e adatta a diabetici e cardiopatici”. L’unica controindicazione riguarda chi è allergico alla soia.

Il latte di cocco, molto apprezzato per il suo gusto ricco, è calorico e contiene molti grassi saturi, 236 calorie e circa 21 g di grassi, fra cui anche grassi trans, per 100 ml.

Poco calorico, invece, il latte di mandorla, molto apprezzato per il suo sapore dolciastro ma povero di proteine – 1,3 g per 100 ml contro i 3,3 del latte vaccino. Tra le sue qualità, i “grassi buoni”, in particolare monoinsaturi, gli stessi dell’olio di oliva, e polisanturi come quelli del pesce, quindi vitamina E, carboidrati e, rispetto agli altri latti vegetali, una buona quantità di calcio. Le controindicazioni riguardano, invece, le persone con allergia o intolleranza alla frutta secca a guscio.

Il latte di riso ha, invece, un contenuto calorico paragonabile a quello del latte vaccino scremato, anche se rispetto a questo contiene più zucchero, tanto da essere controindicato per chi soffre di diabete. È, comuque, un latte digeribile e dalla bassa allergenicità. Inoltre, non contiene glutine, tanto da renderlo adatto ai celiaci. Il latte di riso è, tuttavia, povero di vitamine e minerali importanti per l’organismo come calcio e vitamine A, D e B12.

Leggero, digeribile e dalla bassa allergenicità è anche il latte di avena, che presenta, però, uno scarso apporto proteico. Il latte di avena contiene, tuttavia, fitati e antinutrienti, “sostanze” spiega Educazione Nutrizionale Grana Padano “che interferiscono con l’assorbimento dei nutrienti” mentre la sua emulsione, instabile, “richiede una lavorazione industriale specifica che determina la perdita di gran parte dei betaglucani e della fibra contenuta che dovrebbero essere, invece, il punto di forza di questa bevanda”.

 

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03/07/2018