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La virologa Gismondo in trincea contro il virus: 'Basta parlare male della Sardegna'

'Basta parlare di Sardegna come l'isola del contagio. Basta puntare il dito su uno o l'altro locale di divertimento. I giovani hanno gli stessi comportamenti a Cortina o a Rimini': anche stavolta va controcorrente la scienziata a capo del laboratorio di microbiologia del Sacco di Milano

La virologa Gismondo in trincea contro il virus Basta parlare male della Sardegna

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È a capo della struttura che è centro di riferimento nazionale per le malattie infettive insieme allo Spallanzani di Roma. Per intenderci è colei che ha ricevuto da Codogno il tampone del paziente 1. È la direttrice del Laboratorio di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano. Ma soprattutto Maria Rita Gismondi è una virologa che non ha peli sulla lingua, che lotta a testa bassa non solo contro i virus ma anche contro una società abituata a mettere da parte la meritocrazia e a combattere le donne che emergono a colpi di insulti sessisti. Ciò che ha dovuto subire sulla sua pelle anche qualche mese fa e che non ha mancato di denunciare, prima di lasciare i palchi tv e le onoreficenze a colleghi evidentemente più attenti all’immagine.

La virologa Gismondo in trincea contro il virus Basta parlare male della Sardegna

L'aggressione mediatica nei confronti della Sardegna non fa bene a nessuno

Così non stupisce che sia proprio lei ad andare controcorrente in quella che sembra sempre più un’ondata (di fango) mediatica difficilissima da affrontare e che sta travolgendo l’isola che fino a qualche settimana fa era sostanzialmente covid-free: 'Basta parlare di Sardegna come l'isola del contagio. Basta puntare il dito su uno o l'altro locale di divertimento. I giovani hanno gli stessi comportamenti a Cortina, a Rimini e in qualsiasi altra località turistica. I contagi ci sono dappertutto. Peraltro in una circolazione così vasta del virus identificare l'origine del focolaio è estremamente difficile'. Parole chiare, chiarissime quelle consegnate all’agenzia di stampa Adnkronos. Parole che hanno il merito di aprire un varco nell’unanime coro di sdegno che avvolge l’isola e i suoi abitanti, visti come untori, rei di no si sa bene cosa, visto che la maggior parte riguardano “continentali” arrivati nella perla del Mediterraneo per le vacanze. Un appello quello della virologa che vuole spostare l’attenzione suo giovani dei quali traccia questo identikit: “Si muovono in gruppo e stanno insieme in spiaggia, a prendere l'aperitivo, a ballare. Giusto quindi tracciare ma l'aggressione mediatica nei confronti della Sardegna non fa bene a nessuno. Qualcuno sa che i lavoratori stagionali devono maturare 180 giorni di attività per ottenere i sussidi?'.

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L'italia è una madre ingrata

Proprio qualche settimane fa Maria Rita Gismondo ha pubblicato con la Nave di Teseo “Ombre allo specchio. Bioterrorismo, infodemia e il futuro dopo la crisi”: “Se avessi dovuto scrivere oggi questo libro avrei raccontato di un'altra soddisfazione appena vissuta: quella di essere stata invitata a Berlino, unica virologa, per parlare di coronavirus in occasione di un dibattito in ambito governativo. Per fortuna ci sono le altre nazioni, l'Italia è una madre ingrata', aveva accompagnato l’uscita del libro con questa dichiarazione piena di amarezza E ancora:

Noi ignorati perché lavoriamo a testa bassa

'Sono stati giorni, mesi molto pesanti in termini lavorativi, ma anche di grande soddisfazione per i riconoscimenti avuti dall'estero e che mi danno la misura di quanto abbiamo lavorato. Dall'Italia non mi aspetto niente da tanto tempo e non mi interessa a livello personale. Ma per i miei ragazzi sì”. E rincarando la dose aveva specificato meglio: 'Abbiamo ricevuto per esempio zero ringraziamenti dalla Regione Lombardia. La squadra del mio laboratorio ha lavorato 24 ore su 24 a sfornare analisi di tamponi, ne abbiamo processati circa 70 mila, e avremmo dovuto averli i ringraziamenti, sia a livello governativo che regionale. Come è successo ad altri, ma siamo stati ignorati, e questo è molto triste'. Perché? La risposta racconta molto dell’Italia: “perché lavoriamo a testa bassa C'è chi è diventato cavaliere, mentre i miei ragazzi sono rimasti precari. Non esiste meritocrazia in questo Paese, paga di più l'appoggio politico o farsi valere a livello d'immagine'.

 

 

30/08/2020