'Ha tentato di uccidermi perché l'ho lasciato: io sto sulla sedia a rotelle, a lui un anno di galera'

Era il 2006 quando Marcello Monaco sparò alla sua ex fidanzata Filomena Di Gennaro. Dopo 12 anni la sua storia è ancora un monito

di Redazione

“Mia o di nessun altro”, questa la frase che Marcello Monaco, oggi 41enne, pronunciò prima di sparare due volte su Filomena Di Gennaro, la donna che aveva osato lasciarlo e non ne voleva sapere di tornare con lui. Era il 13 gennaio del 2006 e da allora la donna, oggi 38enne, vive su una sedia rotelle. In questi 12 anni si rifatta un’esistenza: fa la psicologa, si è sposata proprio con l’uomo che l’ha salvata e ha avuto due bambini.

Il bravo ragazzo

Ma la sua è una storia che vale la pena di continuare a raccontare anche perché, come lei stessa ha detto a La Repubblica, a Stornarella - il paesino del Foggiano da cui vittima e carnefice provengono - “le donne dicono che io faccio la star in tv. E lui, il bravo ragazzo che voleva uccidermi, per colpa mia s'è fatto pure il carcere'. Filomena di Gennaro ha fatto di nuovo il suo racconto agli studenti della Sapienza, ad un incontro organizzato dalla Polizia, proprio in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne il 25 novembre scorso.

'Non se ne fa una ragione'

Si fidanzò col bravo ragazzo che viveva vicino a casa di sua nonna a 16 anni ma dopo 10 decise di lasciarlo. Ecco il racconto fatto al Tirreno: “Avevamo caratteri diversi, diverse aspirazioni di vita”. Lei psicologa appena laureata a Roma, lui con la terza media e una vita ancorata al paesello natio.  “Così decido di lasciarlo perché non lo amo più, per lui provo solo affetto. Ma lui non se ne fa una ragione”.

Il concorso tanto sognato

Filomena era nella Capitale in quel periodo, dove cercava di raggiungere i suoi traguardi di vita: “Il concorso per carabiniere è sempre stato il mio sogno fin da piccola”. E quel concorso per diventare maresciallo lo vinse. Prima di essere ridotta in fin di vita, era infatti un’allieva della scuola dell’Arma dei Carabinieri di Velletri.
Lui però non si voleva rassegnare: “Ha iniziato con messaggi e telefonate in cui mi diceva che dovevo tornare con lui, che non potevo lasciarlo dopo tanti anni. Fino a che il 13 gennaio del 2006 si presenta a Roma per parlare con me per l’ultima volta. ‘Ho fatto tanti chilometri, ti prego incontriamoci’, mi dice e io cedo. Del resto non è mai stato violento prima”.

L’ultimo appuntamento

Filomena decise però di parlare di questo appuntamento col suo comandante e, per quanto avesse descritto il suo ex fidanzato come una persona apparentemente tranquilla, ricevette dal suo istruttore il consiglio di incontrarlo per strada, in un luogo aperto e frequentato. I due parlarono in auto fino a che Filomena, conscia di non poterlo fare ragionare perché l’uomo ripeteva il disco rotto del “torna con me, non puoi lasciarmi”, decise di scendere dalla sua auto e tornarsene a casa. Ma non fece in tempo a chiudersi il portone alle spalle che lui la afferrò, la spinse di nuovo fuori e dopo avere dichiarato “o mia o di nessun altro”, le sparò un primo colpo. Lei finì a terra in un lago di sangue: “Ti prego fermati, cosa stai facendo?” Ma lui sapeva bene cosa stava facendo e così riprese a sparare. Per fortuna il comandante, in apprensione per la propria allieva - che un giorno sposerà - aveva deciso di controllare la situazione e dopo gli spari aprì il fuoco a sua volta su Monaco ferendolo alla milza. Finirono entrambi in ospedale, lui però si rialzò presto, lei mai più.

Un solo anno di carcere effettivo

Filomena perse infatti conoscenza ed entrò in un coma dal quale si risvegliò privata della sensibilità dalla vita in giù perché un proiettile ha lesionato il midollo. Da allora vive su una sedia a rotelle. “Sono stata riformata dall’Arma dei carabinieri perché non ero più idonea al servizio militare. Lui invece è stato condannato a 11 anni e 4 mesi per tentato omicidio premeditato e lesioni gravissime ma, fra indulto ed attenuanti generiche, dopo 7 anni era già fuori. Anni neanche fatti tutti in carcere perché era in prova ai servizi sociali: usciva la mattina e rientrava la sera. Quindi alla fine ha fatto un solo anno di carcere vero e proprio”. E tra l’altro a Roma, dove viveva la sua vittima che rischiava pure di incontrarlo: “Non l’ho presa bene, non mi sono sentita tutelata proprio in un momento in cui dovevo pensare a come ristrutturare la mia vita. Non è stato facile”.

Le analisi del senno di poi

In questi casi ci si interroga su cosa possa scattare nella testa di un uomo che arriva a volere uccidere la donna dice di amare e in realtà vuole solo dominare. “Lui proviene da una famiglia in cui la madre e la sorella non potevano uscire di casa da sole neanche per fare la spesa perché il padre glielo impediva. La sue educazione è quindi stata molto diversa dalla mia che sono stata cresciuta da una mamma che lavorava. Era l’unica in un piccolo paesino di 5mila abitanti”.
L’analisi sociologica è presto fatta dunque: cultura assente o retrograda condita da stereotipi di genere anacronistici. Peccato che non sia sempre così e che sparino pure gli uomini acculturati.

'I miei figli sanno cosa è successo'

Ma veniamo all’oggi, alla vita che Filomena è riuscita a ristrutturare nonostante tutto. “La persona che mi ha salvata è poi diventata mio marito. È venuto in ospedale tutti i giorni e alla fine ci siamo sposati. Ai miei figli ho raccontato la verità: che una persona cattiva voleva portare via mamma e le ha sparato, e che il loro papà mi ha salvato. Per i piccoli è una sorta di favola ma io ho sempre voluto dire loro la verità perché, essendo due maschi, ho la grossa responsabilità di renderli consapevoli”.
Anche Marcello Monaco si è rifatto una vita ma “non si è mai pentito, è fermo al fatto che la colpa è stata mia. L’ho portato io ad avere quella reazione. Non si è assunto le proprie responsabilità e ciò che ha dimostrato allora continua a dimostrarlo: non essere un vero uomo”.