logo tiscali tv

Quando il boss è donna: le dirigenti del clan Libri che non hanno paura di nulla

Le figlie del boss Pasquale non sono semplici comparse ma vere e proprie dirigenti all’interno della cosca con la consapevolezza di esserlo

Quando il boss è donna le dirigenti del clan Libri che non hanno paura di nulla
di Redazione

Leggi più veloce

Se c’è un argomento sul quale non vorremmo vigesse la parità di genere, è quella della criminalità. Invece le donne emergono pure in questo triste ramo e pure con profitto, dimostrandosi «strategiche e funzionali all’evoluzione delle dinamiche del sodalizio». Come racconta Il Corriere della Calabria, per il clan Libri, le figlie del boss Pasquale non sono semplici comparse ma vere e proprie dirigenti all’interno della cosca con la consapevolezza di esserlo. È scritto tutto nero su bianco nell’ultima inchiesta della Dda sul potente clan di Cannavò coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.

Di padre in figlia

Pare sia finita l’era delle “femmine” di mafia soltanto succubi del contesto criminale nel quale si trovano a nascere e crescere. Per gli inquirenti Serafina e Silvana Libri, e poi Angela e Maria per il clan erano – e forse sono ancora – fondamentali. Negli anni in cui il padre-boss era ormai malattia e controllato dagli investigatori, hanno garantito che i suoi ordini fossero rispettati.

Tutte indagate

Al momento non sono sottoposte ad alcuna misura cautelare ma sono indagate, perché «tutte, indistintamente, apportavano infatti il proprio contributo – si legge nelle carte dell’inchiesta – favorite dal loro quotidiano scambio informativo (reso ancor più agevole dall’ubicazione dei rispettivi domicili) risultavano sostanzialmente interscambiabili: ecco che in relazione all’assenza strategica o legata a sopravvenuti impegni da parte d’una delle Libri, l’altra giungeva in supporto facendo sì che la catena comunicativa non subisse interruzioni, e garantendo così ai vertici massima aderenza ed efficacia in termini di comando e controllo del sodalizio».

Sorelle d’omertà

Stando alle indagini sullo storico clan, erano soprattutto erano Serafina e Silvana a incarnare «a pieno ruolo e funzioni delle sorelle d’omertà». Non semplici ambasciatrici di direttive altrui ma abili nel gestire il clan, ognuna con una specializzazione di settore. A Serafina – si legge nella ricostruzione del Ros – era affidata la gestione del mondo imprenditoriale ed estorsivo.

Uomini ai loro ordini

Silvana Libri, l’ex moglie del reggente designato Filippo Chirico e sorella di Serafina, aveva soprattutto «compiti di raccordo» con l’ex coniuge «nell’ottica della necessaria massima limitazione dei contatti diretti tra i soggetti apicali, a salvaguardia dell’intero sistema». Era lei a convocarlo per impartirgli le direttive del padre. Ma era lei stessa è un capo riconosciuto, capace di mobilitare con un semplice ordine tutti gli uomini del clan.

Consigliori del reggente

Nel clan di Cannavò, però, l’attitudine al comando non dipendeva solo da sangue e parentela. Anche una “estranea” alla famiglia poteva arrivare a un ruolo fondamentale. È il caso di Anita Repaci, prima amante poi compagna del reggente Filippo Chirico che, dalla gavetta, finisce per diventare la consigliori del reggente. È lei a consigliargli come spostare le armi, organizzare le intestazioni fittizie, è lei che gestisce i contatti, raccoglie voti per conto del clan. E a volte invita addirittura l’uomo a essere più duro e spietato. «A questo già avete dato 12 giorni … volevo vedere se con me piangeva inc. …(… ) …ieri sera gli dicevi “devi andare da questo … vai da questo”… non si sa muovere», dice in riferimento ad uno degli affiliati che tarda a riscuotere le estorsioni. E ancora: «Ammazzali di botte... manda per farli ammazzare di botte». Più cattiva di chi nella mafia c’è nato. Ma la cattiveria è cosa che, volendo, si impara presto.

12/09/2018