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Differenze retributive tra uomini e donne: percentuali vergognose. La UE dice basta: si può essere risarcite

In Europa le donne guadagnano il 13% in meno rispetto ai colleghi uomini. Si vuole perciò “rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione“. La situazione e le disposizioni

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Nell'Unione Europea le donne guadagnano mediamente il 13% in meno rispetto ai colleghi uomini. Questa la constatazione maturata dopo aver analizzato i numeri percentuali in ambito UEQuali le ragioni? Alcune sono strutturali o correlate alle differenze di occupazione, al livello di istruzione e all'esperienza lavorativa. In linea generale però il divario retributivo appare legato solo alla differenza di genere. Per questo l'Unione ha emesso una direttiva contro il gender pay gap, ovvero contro la differenza di retribuzione tra uomini e donne a parità di ruolo, competenze e lavoro.

Una differenza retributiva di genere – come si legge sul Sole 24 Ore - rimasta sostanzialmente immutata nell’ultimo decennio.

Il problema, con diverse gradazioni, riguarda tutti i Paesi dell’Unione, anche se esiste chi fa meglio degli altri. A considerare una graduatoria globale il Paese più virtuoso in termini di parità di genere risulta l'Islanda, che occupa la prima posizione da anni, seguita da Finlandia e Norvegia.

La direttiva

La direttiva è stata ufficializzata con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. L132 del 17 maggio 2023, e rappresenta la naturale conseguenza dell’applicazione della Direttiva UE 2023/970 del 10 maggio 2023 tesa a “rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione“.

Gap gravissimo

Inutile dire che si tratta di un gap molto grave a livello lavorativo e sociale, in quanto la disparità retributiva espone le donne a un maggiore rischio povertà e contribuisce al divario pensionistico, che – secondo quanto evidenzia il Consiglio Europeo - nel 2018 si attestava intorno al 30%.

Misure più inclusive

Per questo la problematica non poteva stare fuori dalle stanze europee. "La mia priorità – ha dichiarato Samira Rafaela della commissione per i diritti delle donne e l'uguaglianza di genere - è stata di garantire le misure di trasparenza retributiva più inclusive e di maggiore impatto per i lavoratori. Non solo disponiamo finalmente di misure vincolanti per affrontare il divario retributivo di genere, abbiamo anche ottenuto che tutti i cittadini dell'UE siano responsabilizzati, riconosciuti e protetti contro la discriminazione retributiva. Le persone non binarie hanno lo stesso diritto all'informazione di uomini e donne. Sono orgogliosa che con questa direttiva abbiamo definito per la prima volta la discriminazione intersezionale nella legislazione europea e l'abbiamo inserita tra le circostanze aggravanti nella determinazione delle sanzioni". 

Il gender pay gap

Ma cos’è in sostanza il gender pay gap, contro cui si esprime anche il Trattato di Roma considerandolo discriminazione di genere?

Si tratta – per sintetizzare - della differenza di retribuzione tra sfera femminile e maschile, valutata su un lavoro uguale o di pari valore. Una realtà ingiusta, basata cioè su pregiudizi e stereotipi che non hanno fondamento economico e danneggiano le donne. Gli studi in materia calcolano questa discriminazione in base alla differenza tra quanto guadagna realmente una donna e quanto guadagnerebbe – a parità di situazione - se fosse un uomo. A volerla tramutare in parole povere si intende dire che la retribuzione delle donne è mediamente più bassa per il solo fatto di essere donne. E questo non può essere considerato equo.

Per combattere tale ingiustizia viene comunemente ritenuto necessario promuovere una cultura aziendale e una formazione inclusiva, priva di pregiudizi e stereotipi. Adottare norme per garantire la parità salariale e, dunque, l'identica retribuzione a parità di lavoro svolto. Rendere possibile l’accesso ai ruoli dirigenziali, a prescindere dal sesso.

Il settore pubblico In Italia

E in Italia? Nel nostro Paese la situazione è diversa a seconda che si parli di settore pubblico o privato. Quando si parla di settore pubblico, infatti, tra i dipendenti minori di 30 anni, la retribuzione media della componente femminile supera del 11,4% quella media maschile. Tutto cambia però col trascorrere del tempo, visto che tra le persone con più di 50 anni la differenza diventa favorevole alla componente maschile per un 5,3%.

Il settore privato

Nel settore privato, invece, il gender pay gap pende subito a favore dei maschi di un buon 8,2% raggiungendo il 24,4% quando si fa riferimento a individui maggiori dei cinquant’anni.

Il lavoro autonomo

Nell’ambito del lavoro autonomo poi il divario diventa notevole, visto che – considerato sul reddito medio annuo - è a favore degli uomini di un buon 45%.

A chi si applica

La direttiva europea mira a combattere questa differenza stabilendo prima di tutto che la norma “si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato” e “a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro” (art. 2).

Disposizioni, diritti e doveri

Premesso che i datori di lavoro saranno obbligati a fornire l’indicazione della “retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati, riportandole nel relativo avviso di posto vacante o comunicandole prima del colloquio di lavoro”, essi saranno sottoposti al "divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro”. Inoltre – come si legge sul sito del Consiglio Europeo - “una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Avranno inoltre accesso ai criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera, che devono essere oggettivi e neutri sotto il profilo del genere”.

Trasparenza delle retribuzioni

Le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute “a riferire annualmente all’autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione. Per le imprese più piccole (all’inizio quelle con più di 150 dipendenti), l’obbligo di comunicazione avrà cadenza triennale”.

La valutazione congiunta

Se dalla relazione emergerà un divario retributivo superiore al 5% non giustificabile sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere”, le imprese saranno “tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.

Risarcimento

Non solo, chi subisce una discriminazione retributiva basata sul genere (lavoratori e le lavoratrici ) potrà ottenere un risarcimento, compreso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura.

Sanzioni

In caso di violazioni sono previste anche sanzioni che dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive e comporteranno ammende.

Inversione dell’onere della prova

Ci sarà poi una inversione dell’onere della prova. Dovrà essere cioè il datore di lavoro a dimostrare di non aver violato le norme UE.

Tre anni per recepire

Dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE gli Stati membri hanno tre anni per “recepire” la direttiva, adeguando la rispettiva legislazione nazionale per includere le nuove norme. Due anni dopo il termine di recepimento, l’obbligo di comunicare informazioni sulle retribuzioni in base al genere ogni tre anni sarà limitato alle imprese con almeno 150 dipendenti. Poi l’obbligo sarà esteso alle imprese con più di 100 dipendenti.

Obbligo del rapporto in Italia

Va precisato che nel nostro Paese l’obbligo di rapporto esiste già. Un decreto ministeriale infatti stabilisce che tutte le aziende del settore privato come del settore pubblico con oltre 50 dipendenti «sono tenute a redigere un rapporto ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta». Bisognerà vedere, comunque, come verrà declinato il recepimento della Direttiva europea.

Una direzione chiara

Sull’argomento – in ogni caso – la direzione tracciata dall’Europa sembra chiara. "Questa legislazione – spiega Kira Marie Peter-Hansen della commissione per l'occupazione e gli affari sociali - chiarisce in modo inequivocabile che nell'Unione europea non accettiamo alcun tipo di discriminazione retributiva di genere. Storicamente, il lavoro delle donne è stato sottovalutato e sottopagato. Con questa direttiva facciamo un passo importante per garantire la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore. Sono molto orgogliosa che il Parlamento sia riuscito ad ampliare il campo di applicazione, a rafforzare il ruolo delle parti sociali e a garantire solidi diritti individuali e collettivi."

24/05/2023