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La lunga scia di sangue di Donato Bilancia: perché il serial killer odiava le donne

“Il torto – Diciassette gradini verso l’inferno”, è il libro del giornalista Carlo Piano che racconta con lucidità i delitti di Donato Bilancia

Foto Ansa

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In Italia e in particolare a Genova ha lasciato una scia di sangue uno dei maggiori serial killer dell’umanità, a cavallo della fine del secolo e del millennio scorso e gli anni Duemila.

Che poi sono 25 anni, non un’enormità. Eppure, ho provato a citare Donato Bilancia ad alcuni ragazzi adolescenti e nessuno sapeva nemmeno il nome di Donato Bilancia.
 
Ed è proprio per questo che “Il torto – Diciassette gradini verso l’inferno” (Edizioni e/o, i 18 euro e cinquanta meglio spesi che potete investire, con una straordinaria immagine di copertina di Flora Di Tullo) è un libro indispensabile, più che utile. E anche la forma romanzesca scelta dal suo autore, Carlo Piano, riesce ad essere una via di mezzo fra un saggio e un vero e proprio romanzo e aiuta a rendere questa storia ancora più drammatica. Ed ancora più bella, per quanto possa essere “bello” il racconto di diciassette omicidi.
 
Piano, lei in questo libro racconta di essere stato quasi ossessionato da questa vicenda, da quando la seguì come inviato per “il Giornale”. Il libro è in qualche modo catartico?
 
“Ho voluto raccontare una personalità come Donato Bilancia, che tutti chiamavano Walter, che ha dentro di tutto, dalla banalità del male, al paradosso del grande amore per i bambini, con il ritorno continuo del ricordo del suicidio di suo fratello che si buttò sotto in treno con in braccio il suo bimbo piccolo, un nipotino che Bilancia amava moltissimo”.
 
Cioè lei vuole raccontarci che Bilancia contemporaneamente ammazza 17 persone, alcune completamente a caso, ma ha un cuore di panna?
 
“Io voglio raccontare semplicemente una storia in tutti i suoi elementi. L’ultima rissa in carcere, l’unica forse, riguarda l’aggressione da parte di Bilancia ad un pedofilo. Ecco, io voglio raccontare quanto sia sottile il confine fra noi cosiddetti “normali” e un “mostro””.
 
Ogni tanto, scherzando, Beppe Grillo nei suoi spettacoli racconta che sua mamma gli diceva: “Mi raccomando Beppe, stai con Donato Bilancia che è tanto un bravo ragazzo con la testa sulle spalle”. Leggenda, battuta o realtà?
 
“Torniamo proprio a ciò che stavo dicendo e questa domanda mi porta alla compagnia di piazza Martinez, nel quartiere genovese di San Fruttuoso. C’era Beppe Grillo, c’era Vittorio De Scalzi, c’era Orlando Portento e per l’appunto c’era Donato Bilancia. E poi, fra i conoscenti del serial killer, c’era anche Carlo Pernat, che è il più talentuoso dei manager del motociclismo mondiale. Insomma, non una compagnia di sbandati”.
La lunga scia di sangue di Donato Bilancia perché il serial killer odiava le donne
Foto Renzo e Carlo Piano - Ansa
 
Che c’entrano gli amici con quello che è successo?
 
“Nulla, per l’appunto, ma occorre chiedersi come è possibile che uno, Pernat, diventi il numero uno del motociclismo mondiale; che l’altro, Grillo, prima sia un grande attore comico, poi fondi un partito che prende un terzo dei voti degli italiani e va al governo e lui partecipa addirittura alle consultazioni al Quirinale, in qualità di “elevato”; che il terzo, Vittorio De Scalzi, diventi una grande rockstar; che il quarto, Portento, è diventato un personaggio televisivo. E che l’ultimo, Donato Walter Bilancia, è diventato un serial killer”.
 
Otto delle diciassette vittime di Bilancia erano donne. Si può considerare un precursore dei femminicidi?
 
“Certamente, lui disprezzava le donne. Il fatto che avesse un pene piccolo e che venisse preso in giro per questo lo portò ad odiare tutto il genere femminile”.
 
Però anche fra le donne, la tipologia delle vittime è diversificata. La maggior parte sono prostitute, ma a un certo punto vengono uccise due donne che viaggiavano in treno e che sfuggono a qualsiasi classificazione.
 
“Proprio questa è la particolarità di un serial killer come Bilancia. Colpisce indifferentemente persone diversissime fra loro e proprio il modus operandi con profili diversissimi delle vittime non fa pensare al serial killer, che in genere ha modalità di operare diverse”.
 
Ma perché donne qualunque sul treno?
 
“A un certo punto, in quei giorni, avvenne la strage del Cermis che tolse gli omicidi dalle prime pagine dei giornali. E puntare sull’allarme sociale, con gli omicidi anche sui treni, è come se per lui fosse un modo di riprendersi la scena”.
 
Eppure, il nome Bilancia oggi a molti dice poco. Perché?
 
“E’ come se ci fosse una rimozione. Eppure, i suoi 17 omicidi avvengono in un arco di tempo rapidissimo, sei mesi. Per dare un’unità di misura, Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee, fece gli stessi morti in 13 anni, non in sei mesi”.
 
Il suo libro sembra una sceneggiatura già scritta. Perché non è stato ancora realizzato un film su questa storia?
 
“E’ vero, fino ad ora è stata realizzata solo una miniserie tv. Però, se qualcuno pensa di raccontarlo, ammetto che il mio romanzo ha il passo di una sceneggiatura. Nel caso, se suona il telefono rispondo”.
 
Perché il titolo “Il torto”?
 
“Perché a scatenare la furia omicida di Bilancia sono alcuni torti, veri o presunti, che lui pensa di avere subito. Il che, ovviamente, non giustifica in alcun modo né uno, né diciassette omicidi”.
 
“Il torto” non è il suo primo libro, ma è il primo in cui non appare, nemmeno sullo sfondo, suo papà, Renzo Piano, uno degli architetti più famosi di sempre, senatore a vita e autore di opere architettoniche ammirate in tutto il mondo. Com’è il rapporto di Carlo Piano con Renzo Piano?
 
“I due libri col racconto del viaggio verso Atlantide mi hanno portato a conoscerlo meglio, anche se è durissima scrivere con un architetto. Loro ragionano su progetti che, normalmente, hanno almeno cinque anni davanti come orizzonte temporale. Cambiano, limano, ricontrollano, verificano. Per chi scrive, anche con il più magnanimo degli editori, invece ci sono tempi da rispettare assolutamente. Insomma, lui continuava a cambiare le parole e i testi, io dovevo consegnare le bozze, ma è stata comunque una grandissima esperienza”.
 
Oddio, vi conoscevate. In cosa starebbe la novità?
 
“Credo che questi libri siano stati una grande occasione anche di conoscerci meglio, il viaggio in mare in qualche modo è una dimensione sospesa. Il viaggio in mare è come un confessionale, l’apertura di un cassetto dei segreti, che ci ha molto ravvicinato”.
 
Magari anche perché Renzo Piano è un architetto molto umanista che cita in continuazione Braudel, Calvino e gli studi classici.

“Mi è tornato in mente un giorno in cui andai a vedere il cantiere di Beaubourg. Insieme a me bambino, un giorno, fra gli altri vidi Italo Calvino che prendeva appunti su un minuscolo taccuino. Lì nacque una parte de “Le città invisibili”….”.

15/06/2023