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Differenza tra corteggiamento e molestie: come riconoscerla e intervenire dentro e fuori l’azienda

In occasione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, i consulenti di Mindword affrontano il tema con consigli pratici

di Mindwork

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Il 25 novembre ricorre la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

Istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si tratta di una ricorrenza che nasce con l’obiettivo di stimolare un’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su più livelli, rispetto al fenomeno della violenza fondata sul genere.

A tal proposito, la Dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne, condanna qualsiasi atto volto a provocare un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne - incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.

Nonostante vi sia crescente attenzione sul tema, una recente indagine realizzata dalla Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza in collaborazione con La Sapienza, rende noto che, in Italia, dall’inizio del 2022 ben 104 donne hanno perso la vita per atti di violenza: dato che mette in luce e racconta un allarme sociale che non può essere più ignorato, specialmente all’interno di contesto formali e organizzativi.

In tal senso, qual è il ruolo che aziende e organizzazioni possono assumere ogni giorno?

Un passo indietro: la questione linguistica

Il gender gap è figlio di una cultura non inclusiva, che fa della questione di genere una non questione. Ecco perché è necessario sensibilizzare, informando e formando sul tema tutta la popolazione aziendale. La strada da percorrere è quella di far comprendere il problema a chi il problema non lo percepisce e solo successivamente agire per mitigarlo.

Il sessismo è un linguaggio, un atteggiamento e una modalità di pensiero che può essere disappresa insegnando modalità diverse, che possano tradursi in comportamenti concreti di rispetto, inclusione e parità, sempre attraverso la comprensione e l’integrazione delle differenze

Il sessismo è un linguaggio e proprio per questo parte dalle parole: da battute, terminologie, e omissioni che a loro volta danno vita a stereotipi e pregiudizi di genere.

La matrice culturale e linguistica della questione è dunque evidente. Una matrice che pone le basi al gap salariale, al soffitto di cristallo, alle molestie, allo stalking, fino ad arrivare alla violenza. Certo, linguaggio sessista e stereotipi sono condizioni necessarie ma non sufficienti per comportamenti violenti, eppure ne rappresentano pur sempre la base. Ecco perché è necessario partire dal linguaggio per affrontare la questione di genere. Come quasi sempre accade, infatti, non è possibile risolvere un problema se non agendo alla sua fonte.

Affrontare la questione di genere: dalle parole ai fatti

Il linguaggio struttura il modo che abbiamo di vedere il mondo e se le parole che si utilizzano in azienda non prevedono, ad esempio, il femminile, l’organizzazione avrà difficoltà a vedere, riconoscere e valorizzare le donne. Il linguaggio struttura talmente tanto il pensiero che quest’ultimo, senza parole, nemmeno esiste. Il pensiero, a sua volta, dà vita ai comportamenti. Da qui, la necessità di ristrutturare il linguaggio per ristrutturare i comportamenti, passando, appunto, dai pensieri e dalle rappresentazioni che si hanno del femminile.

Wittgenstein, filosofo che studiò a fondo il linguaggio, disse:

“I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo”.

Ecco allora che diventa fondamentale varcare quei limiti e ampliarli, a partire proprio dalla comunicazione, da ciò che si scrive nelle email e da ciò che si dice nelle riunioni, fino ad arrivare alla comunicazione con l’esterno e i diversi stakeholders. Così come il linguaggio può ferire, può e deve, infatti, educare.

Educare a una cultura organizzativa inclusiva, dove non ci sia spazio per molestie e violenze nei luoghi di lavoro, dove le donne si sentano valorizzate e non discriminate, dove la leadership sia leadership, ma il femminile possa esprimersi, dove allungare la mano, ammiccare, approcciare, siano comportamenti stigmatizzati e non dimostrazioni di stima. 

Se i fatti sono molestie

Cosa succede quando in azienda il linguaggio si traduce in comportamenti inopportuni, sfociando nelle molestie?

Il 25 novembre è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e dal momento che le molestie sui luoghi di lavoro sono una forma di violenza, è fondamentale parlarne.

Le molestie sono infatti comportamenti indesiderati a connotazione sessuale non solo di tipo fisico, ma anche verbale. Offendono la persona e contribuiscono altresì a lederne l’immagine personale, inficiando il suo lavoro e la sua salute.

Le molestie enfatizzano l’immagine della donna come oggetto, mettendo in secondo piano il suo ruolo aziendale e il suo essere collega, collaboratrice o capa. Sono parole e comportamenti, spesso difficili da riconoscere proprio per le ragioni culturali e linguistiche alla base della questione di genere.

Sono molestie tutte le avances e i contatti fisici non desiderati, certo, ma lo sono anche i doppi sensi offensivi, gli apprezzamenti allusivi, i commenti fuori luogo sul corpo o sull’aspetto. Tutti elementi che mettono gravemente a rischio il benessere e la salute psicofisica delle donne.

Come riconoscere le molestie?

Quando si sensibilizza e si fa formazione in azienda su questi temi, spesso le persone chiedono: ma come distinguere le molestie dai semplici complimenti o da un sincero corteggiamento? Domanda che mette in luce quanto la questione di genere vada affrontata anche, e soprattutto, nei luoghi di lavoro. Il corteggiamento è tale quando viene accettato e in qualche modo condiviso: il corteggiamento è paritario, la molestia si basa invece su un disequilibrio di forze e potere. Un no è un no: la molestia c’è quando il no si travalica e si genera imbarazzo e disagio.

Dai fatti ai rimedi per affrontare la questione di genere

Il 25 novembre le organizzazioni - così come la società in senso generale - hanno l’occasione di promuovere iniziative di sensibilizzazione che non si riducano a un’informativa o a fiocchi rossi appuntati alle camicie; iniziative che possano smuovere le persone, andando a toccare la matrice culturale e linguistica. La condivisione di video a forte impatto emotivo o brevi eventi formativi diffusi possono essere i primi passi per lanciare la tematica e cominciare a favorire il dialogo e il confronto.

Così come la violenza comincia con una parola, così il viaggio verso una cultura di genere inclusiva comincia da un passo. Un passo dopo l’altro si può passare a piani di comunicazione ad hoc, percorsi formativi, azioni organizzative di  Diversity&Inclusion e people care, servizi di supporto psicologico  che riguardino l’intera organizzazione e poi, l’intera comunità.

Perché intervenire sul gender gap, sul sessismo e sulla violenza fa certamente bene alle donne, ma fa bene anche agli uomini.

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