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Celiachia, quando la diagnosi non viene accettata

Celiachia quando la diagnosi non viene accettata
di Caterina Steri

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Per ogni persona il cibo ha un valore molto più importante rispetto al solo piacere che esso da e alla soddisfazione della fame, bisogno primario degli esseri viventi.

Il cibo è anche significato di condivisione, interazione, potere. Ha un’importanza sociale fondamentale, significativo è il detto secondo cui le decisioni più importanti vengano prese soprattutto a tavola.

Quando si scopre di avere delle patologie legate al consumo di cibo questo può causare disagi psicologici veri e propri, dati dal rapporto con esso e sul significato che gli si attribuisce. Parliamo ad esempio della celiachia, una patologia autoimmune che può comparire ad ogni età, in cui l’intestino del celiaco non riesce ad assimilare il glutine, presente in alcuni cereali come grano, farro, orzo, segale, avena ed in tutti i prodotti derivati.

La terapia possibile per questa patologia non è di carattere farmacologico ma è la dieta priva di glutine, stando attenti anche ad eventuali contaminazioni mentre si cucina.

Nonostante la dieta “terapeutica” permetta al celiaco di stare bene fisicamente, essa stessa potrebbe causare dei problemi a livello psicologico. Ad esempio, può diventare molto difficile l’accettazione della malattia e di tutte le rigidità alimentari a cui essa  costringe, in cui anche al nucleo familiare viene richiesta un’attenzione e partecipazione attive rispetto a ciò che viene consumato ogni giorno a tavola.

I bambini ad esempio possono non comprendere a fondo il divieto di mangiare alcuni cibi, soprattutto quando si ritrovano in mezzo ai coetanei liberi di consumare tutto.

Occorre aiutarli ad avere un quadro chiaro della situazione, abituarli a capire cosa possono mangiare e cosa no, chiedendo anche l’aiuto di tutte le figure di riferimento che ruotano attorno ad essi.

Anche gli adolescenti possono vivere male la diagnosi di celiachia, perché tendono a voler essere uguali al gruppo di coetanei e la ristrettezza alimentare potrebbe minare il loro senso di inclusione. E’ anche un periodo dello sviluppo molto delicato in cui si fanno passi enormi nei confronti della autonomia e gestirsi una dieta priva di glutine fuori da casa potrebbe risultare difficile. Anche se fortunatamente esistono sempre più aziende alimentari che stanno attente a creare prodotti privi di glutine, o luoghi pubblici dove vengono proposti menù appositi.

Così come il bambino, anche l’adolescente ha bisogno del supporto e della responsabilizzazione da parte dei genitori. Questi ultimi possono vivere a loro volta il disagio dei figli, diventando ansiosi e iperprotettivi e hanno bisogno di qualcuno che possa aiutarli a contenere le paure e le preoccupazioni.

Chiunque debba avere la possibilità di parlarne liberamente perché aiuta ad affrontare le paure e le insicurezze.

La non accettazione della diagnosi e della costretta abitudine alimentare può causare il senso di inadeguatezza che spinge a volte a rinunciare ad alcuni aspetti della vita sociale, per non trovarsi di fronte alle differenze con gli altri o a spingere, soprattutto nel caso di adolescenti a consumare i cibi “proibiti”.

In diversi casi la diagnosi della malattia cronica, e non mi riferisco solo alla celiachia ma ad esempio anche al diabete, può creare ansie, preoccupazioni, bisogno di trovare nuovi equilibri che a volte da soli non si riesce a fare per i motivi più svariati. Proprio per questo sarebbe utile, come per qualsiasi disagio psicologico che non si riesca a risolvere da soli, chiedere un aiuto professionale che possa far emergere le varie difficoltà per affrontarle nel modo migliore possibile.

 

30/03/2016