Cilento, scheletri addio. Istituzioni e cittadini uniti contro il cemento

di La nuova ecologia

Nel Cilento gli ecomostri delle Ripe Rosse sono stati abbattuti dopo trentadue anni di battaglie. Il sindaco: «Finalmente liberi dal cemento armato»  

Le ruspe, dopo oltre trent’anni di battaglie giudiziarie, sono entrate in azione sulla collina delle Ripe Rosse, in località Pennino di Case del Conte, e hanno abbattuto quattro ecomostri abusivi che deturpavano il Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. «È un evento storico – commenta Pierpaolo Piccirilli, sindaco di Montecorice, piccolo comune in provincia di Salerno – che chiude una delle tante storie di aggressione edilizia nel Mezzogiorno.

È la storia delle Ripe Rosse, uno dei “polmoni verdi” del Cilento. Un’area di 4.355 metri quadrati che nelle intenzioni di un imprenditore edile del posto, Angelo Russo, doveva essere trasformato in luogo d’élite con la costruzione di ville plurifamiliari. Nel 1981 Angelo Russo ottenne la concessione edilizia per la costruzione delle ville. Ma le cose, fin dall’inizio, non andarono come lui intendeva. L’allora pretore di Agropoli, Michele Di Lieto, sospese i lavori e sequestrò il cantiere sul presupposto che l’area interessata sarebbe stata percorsa da incendi e, quindi, inedificabile. In quegli anni, a Montecorice il sindaco era Giuseppe Tarallo, grande promotore del Parco nazionale del Cilento, che fu poi istituito nel 1991 e di cui divenne presidente. Fu proprio lui, grazie alla tenace collaborazione della Soprintendenza di Salerno, a decretare prima la decadenza della concessione edilizia e poi l’annullamento, ordinandone anche la demolizione. «Ero convinto fin dal primo giorno in cui emisi quell’ordinanza di demolizione – racconta Tarallo – che saremmo arrivati al giorno in cui quegli ecomostri sarebbero andati giù. Ma i tempi occorsi dovrebbero consigliare una normativa più tempestiva e snella: nelle aree inedificabili e per i manufatti insanabili deve scattare automaticamente la demolizione senza attendere la lungaggine dei processi che anche dopo trent’anni non possono che confermare l’obbligo di demolizione».

Una convinzione che per tutto questo tempo si è dovuta scontrare con i ricorsi che il costruttore ha presentato dinanzi ai giudici amministrativi, impugnando tutti i decreti ministeriali recanti la sospensione dei lavori e l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Vano anche il tentativo di ottenere una proroga dell’efficacia della concessione edilizia così come vani sono stati i tentativi di ottenere la sanatoria delle strutture.

Il Consiglio di Stato un anno fa ha rigettato i ricorsi del costruttore, confermando la legittimità degli atti emessi negli anni dal Comune di Montecorice, retto da un anno e mezzo dal giovane sindaco Pierpaolo Piccirilli, che della difesa del territorio fa un impegno della sua amministrazione. 'Oggi chi arriva a Montecorice non vedrà una collina deturpata dal cemento – sottolinea Piccirilli – Questa è la rotta che seguiremo per far sì che lo sviluppo del territorio possa avvenire in armonia con la tutela dell’ambiente'.

La “fase finale” è iniziata il 22 luglio con gli abbattimenti, di cui si è fatto carico lo stesso costruttore nonostante il ministero dell’Ambiente avesse stanziato 270.000 euro. L’atto conclusivo di una lunga battaglia che ha visto al fianco di Montecorice il ministero dell’Ambiente e quello della Cultura, la soprintendenza di Salerno, l’ente Parco e l’Avvocatura dello Stato di Salerno, oltre a Legambiente e Codacons. Uniti contro il cemento.