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Disabilità: amicizia e innamoramento tra pregiudizi e ignoranza

Disabilità amicizia e innamoramento tra pregiudizi e ignoranza

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Perché sovente un’amicizia di un disabile viene scambiata per innamoramento? Sono un disabile, sono entrato per caso nel suo sito e ho trovato le sue risposte in diversi ambiti soddisfacenti. Vengo al mio quesito. Ho avuto un’amicizia con una collega di lavoro ma poi per diverse situazioni e per una frase mal interpretata ho rovinato la nostra amicizia. Io avevo un debole per lei, cosa normalissima tra esseri umani, e capita a chiunque dire una frase che ognuno di noi poi può interpretare come vuole. Per anni non ci siamo più parlati poiché lei mi ha detto che io ero innamorato di lei (premessa stiamo parlando di una donna sposata). So bene che nei luoghi di lavoro bisogna essere accorti a certe situazioni, ma tutto ciò solo perché io sono un disabile? Oggi dopo diversi anni non ci penso più e siamo ritornati a salutarci, ma io vorrei chiarire il perché lei avesse questi dubbi nei miei confronti. È giusto che le parli o lascio perdere il tutto e la tratto come una semplice collega nel rispetto dei ruoli tra persone comuni? Grazie Giuseppe

Gentile Giuseppe, ti ringrazio della tua lettera perché mi dà l’opportunità di trattare un tema che non avevo mai affrontato nella mia rubrica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità propone una classificazione generale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap e ci indica che “l’handicap è la condizione di svantaggio conseguente ad un deficit (menomazione o disabilità) che limita l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto, in relazione all’età, sesso e fattori socioculturali”. Una maturazione della coscienza collettiva, attraverso una serie di leggi e provvedimenti, ha portato a riconoscere il valore e la dignità di una persona disabile nel partecipare alla vita lavorativa e sociale. C’è stata infatti un’evoluzione dalla completa istituzionalizzazione ed esclusione dalla vita comune (attraverso leggi che, fin dal 1923 con la riforma Gentile, introdussero il concetto di inserimento, inizialmente mantenendo classi speciali ed il ricovero in istituto per determinate minorazioni fisiche e psichiche) fino all’obbligo dell’inserimento di tutti i disabili nelle strutture normali. In particolare, le più recenti leggi 104/92 e 68/99 forniscono le indicazioni più esaustive riguardo all’integrazione sociale e lavorativa per la tutela dei diritti dei disabili. Al di là di qualsiasi aspetto legislativo, è importante che vi sia una convergenza rispetto all’integrazione e alla qualità della vita, prendendo in considerazione i vari contesti della vita di una persona: affettivo, culturale, spirituale, quotidiano, ecc. Grazie al supporto della tecnologia il disabile oggi riesce a superare molte delle barriere architettoniche che incontra durante la sua giornata, anche se ancora tanto si deve fare in questa direzione (Causin e De Pieri, 2006).

D’altra parte l’obiettivo è andare incontro ad una normalizzazione della vita di un disabile. Per normalizzazione si intende che l’esistenza di una persona disabile possa adeguarsi agli standard di vita dei normodotati. Ciò significa essere autonomi nella pratica della vita quotidiana, come fare la spesa, lavarsi, pulire la casa, fare telefonate, ecc. Nell’ambito delle relazioni interpersonali è importante riuscire ad esprimersi ugualmente con entrambi i sessi in modo non stereotipato; nel contesto sociale significa avere un lavoro che permetta di essere autonomi economicamente e di potersi integrare completamente nella società. In sintesi, l’obiettivo della normalizzazione è  fare in modo che il disabile sia in grado di gestire la propria vita nel modo più autonomo possibile rispetto alle proprie capacità (Causin e De Pieri, 2006). Fatta questa premessa teorica per contestualizzare il problema, Giuseppe, la situazione che mi poni capita molto frequentemente negli ambienti lavorativi. Ora bisogna distinguere varie modalità di comportamento e risoluzione delle infatuazioni tra colleghi. C’è chi ne è lusingato ma lascia che la cosa rimanga solo a livello platonico, c’è chi intesse una relazione clandestina all’insaputa dei colleghi, c’è chi non è capace di gestire questi sentimenti altrui e decide di mettere una certa distanza tra sé e l’altra persona e c’è chi invece sceglie di vivere la propria storia alla luce del sole.

Nella tua lettera scrivi che “sovente un’amicizia di un disabile viene scambiata per innamoramento”. Non credo che la donna a cui ti riferisci, per di più sposata, abbia deciso di allontanarsi da te per via della tua disabilità in senso stretto. Piuttosto potrebbe essersi sentita in difficoltà nel non sapere come comportarsi con te per non farti soffrire. In questo caso, ci si scontra con l’ignoranza o i pregiudizi in merito a come può vivere l’emotività di un sentimento o la sessualità chi è disabile, il quale invece può innamorarsi, condividere emozioni e gesti affettuosi, così come può anche vivere semplicemente un’amicizia sincera. Quando si parla di amore, passione, sessualità a volte le persone normodotate sono a disagio perché pensano che il disabile non possa percepire nel modo giusto le sensazioni e gli affetti, ritenendo in modo erroneo, che ciò che è adatto per loro non lo sia per il disabile. La vita affettiva e sessuale delle persone con disabilità è un argomento troppo spesso messo sotto silenzio, su cui si addensano imbarazzi, equivoci, ignoranza e pregiudizi. Partendo dal presupposto che ognuno cerca di condurre la propria esistenza all’insegna del benessere fisico e psicologico, ma rendendosi anche conto che chi, per una malattia o a causa di un incidente, vive una condizione di disagio e di dolore per non poter realizzare la maggior parte delle proprie aspirazioni, appare particolarmente evidente la discrepanza nella qualità della vita tra chi è disabile e chi non lo è. La tua collega può aver pensato che tu, come disabile, non avessi le risorse per affrontare una delusione e quindi ha preferito troncare ogni rapporto. D’altra parte lei stessa forse non ha trovato in sé le modalità psicologiche per affrontare il tuo “debole” per lei, si è trovata in difficoltà e non è stata capace di risolvere il problema in altro modo. In conclusione, mi pare di capire che vorresti un chiarimento, perché no? Ormai è passato tanto tempo e una chiacchierata, nel rispetto dell’altra persona, potrà magari ricreare un clima di serenità tra di voi e far nascere un rapporto basato sulla stima e la fiducia reciproca.

 

 

 

 

 

10/07/2013