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Donne prigioniere in casa propria

di Caterina Steri

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La violenza sulle donne non è solo quella che viene fatta attraverso le percosse corporali o le armi ma anche quella esercitata con le parole che possono essere più dolorose della violenza fisica perché insinuano nella mente delle vittime una visione distorta della realtà che per anni portano a giustificare i soprusi dei mariti, considerandoli normali. Questo tipo di violenza purtroppo è molto diffusa all’interno di case apparentemente normali.

Inizio così questo post perché colpita da quanto venga sottovalutato il fenomeno delle donne oppresse, tormentate, perseguitate, “violentate” da compagni e mariti con le parole. Donne che non si rendono conto di venir soggiogate in questo modo, fino a che arrivano a degli atti estremi perché non riescono a sostenere il peso delle angherie. Uomini che si nascondono dietro il fatto di non aver mai messo le mani addosso alle proprie mogli, ma le hanno annientate e sottomettesse ai loro comandi, considerandole un bersaglio su cui scaricare i propri malumori, sospetti, minacce.

L’uomo ha come obbiettivo il totale controllo sulla donna, inizia a svalutarla e a trattarla come un oggetto. Tenta di isolarla dai suoi affetti per paura che lei “apra gli occhi” e si ribelli al suo volere.

E’ un tipo di violenza che viene subita a volte in modo consapevole, altre volte non la si riconosce, tanto da far pensare alla vittima che stia subendo ciò che si merita. Lo pensa sopratutto chi è abituata ad essere svalutata e non gode di una buona autostima. Non certo nutrita dal partner. Queste donne entrano in un circolo vizioso che blocca ogni tentativo di volersi bene.

Anche in questi casi possiamo parlare di dipendenze affettive da cui si può e si deve guarire. Età, religione, status sociale non devono costituire un impedimento al fatto di riconoscere le vessazioni del partner, di chiedere un aiuto e di aver la forza di risollevarsi per iniziare a vivere una vita serena e libera. Tutte le donne hanno il diritto e il dovere di volersi bene e non c’è uomo per cui valga la pena di rinunciare a se stesse.

Mi rendo conto che esiste una realtà in cui alcuni mariti pensano di poter avere il controllo delle proprie compagne perché sono loro a portar avanti economicamente la famiglia. Stare in coppia con un marito non significa esserne schiava e sottomettersi ai ricatti morali ed economici, significa respirare un amore reciproco basato sul rispetto, la condivisione e la libertà. Essere casalinghe non significa essere delle buone a nulla, anche se lo stato italiano non riconosce il giusto peso a queste figure e gli uomini vessatori “marciano” pure su quest’aspetto.

Ci sono diversi modi per chiedere aiuto, lo si può fare parlandone con familiari e amici,  con un terapeuta, rivolgendosi ai centri specializzati sul trattamento delle violenze o al telefono rosa.

L’idea di denunciare le angherie spesso non viene contemplata, o addirittura viene vista come un torto nei confronti del partner. L’unico torto che viene fatto non chiedendo aiuto è quello che ricade su se stesse e sul rispetto della propria vita. Concludo quindi, come psicoterapeuta e come donna, chiedendo a tutte le persone che subiscono una violenza di riconoscerla e chiedere un aiuto per risollevarsi. La vita è bella e non bisogna sprecarla per nessuno!

10/05/2012