Guerra e business: quel dossier del Ministero delle Attività Produttive sul petrolio di Saddam

di Stefania Elena Carnemolla

È il febbraio 2003: al Ministero delle Attività Produttive, quello che è oggi il Ministero dello Sviluppo Economico, finito nel ciclone dello scandalo sul petrolio lucano, arriva un dossier. Nell’aria, l’attacco all’Iraq di Saddam Hussein. Un’occasione d’oro per gli interessi italiani: ricostruzione e petrolio iracheno, con il ministero di via Veneto particolarmente attivo nel valutare, sfruttando il conflitto, i benefici di un ingresso dell’Italia in Iraq. “Esiste una elevata possibilità che entro la metà dell’anno venga rovesciato da una azione militare guidata dagli Usa il regime di Saddam Hussein”: questo l’incipit del dossier Iraq: le opportunità del dopo-Saddam – si veda il video a questo articolo – che il ministero aveva commissionato, sei mesi prima dell’attacco, a Giuseppe Cassano, professore di Statistica Economica dell’Università di Teramo. Un documento con cui s’invita l’Italia a non “perdere l’occasione”, sfruttando la ricostruzione, un affare da 300 miliardi di dollari. Una ricostruzione in due fasi: la prima, per “gli aiuti immediati alla popolazione”, accelerando “l’utilizzo massimo” dell’unica risorsa del paese, il “petrolio”; la seconda, per lo “sviluppo economico e sociale” dell’Iraq.

Nel dossier s’invita il governo a riflettere sull’opportunità Iraq, dove si sarebbe potuta giocare una “carta” anche per le “iniziative dell’Eni circa i giacimenti di Halfaya e Nassiriya”. L’interesse per il petrolio iracheno sarebbe stato tuttavia nascosto dal governo prima, durante e dopo l’ingresso in Iraq. Ciononostante, l’8 febbraio 2003 IlSole24 Ore riferì: “Il pieno sostegno del Governo Berlusconi alle posizioni degli USA e della Gran Bretagna sul conflitto iracheno […] potrebbe generare importanti ricadute economiche a favore dell’ENI (di cui il Ministero del Tesoro decide ancora dirigenti e politiche, essendo proprietario del 30 per cento delle azioni) […] se la guerra si dovesse fare […] si porrebbero le condizioni per l’ingresso del cane a sei zampe in territorio iracheno. L’eventuale caduta di Saddam aprirebbe la strada ad una collaborazione delle grandi compagnie, secondo uno schema già collaudato in altri Paesi produttori. In questo quadro troverebbe spazio anche l’Eni”.

Nella primavera del 2003, durante la Force Generation Conference for Iraq, l’Italia chiese e ottenne di “stanziare i propri militari nella provincia di Dhi Qar”, con capitale An Nasiriyah. Il 30 maggio di quell’anno l’Adnkronos riferì che l’Eni era “molto interessata alla possibilità di entrare in Iraq, secondo paese al mondo per importanza di riserve petrolifere”, questo, dopo che il 22 marzo l’Ansa aveva spiegato – la nota fa parte del dossier per il ministero – come l’Eni fosse in trattative con la spagnola Repsol per il “giacimento di Nassiriya” e come fino ad allora dal grande gioco fossero escluse le grandi compagnie anglo-americane: “Riserve di petrolio certe e probabili per 130 miliardi di barili che mettono l’Iraq al terzo posto per importanza dopo quelle di Arabia Saudita e Russia.

Una ricchezza dalla quale sono, per ora, escluse le grandi compagnie anglo-americane e che vede, invece, tra quelle meglio piazzate, la franco-belga Totalfinaelf. Ma, ovviamente, la guerra potrebbe cambiare questa situazione. L’Eni è in trattative insieme alla spagnola Repsol, per il giacimento di Nassiriya. A fare la mappatura del petrolio iracheno è uno studio del Royal Institute of International Affairs, pubblicato dalla Staffetta Petrolifera. Secondo lo studio, che sarà presentato ufficialmente al Rome Energy Meeting di giovedì 27 marzo, l’anno scorso l’Iraq ha estratto 2,5 milioni di barili di petrolio, il 2% della produzione mondiale. Ma questa quota potrebbe raddoppiare o arrivare in 5-10 anni fino al 6-7% una volta eliminate le sanzioni Onu e a condizione che si riuscisse a fare investimenti per più di 20 miliardi di dollari […] Per quanto riguarda l’Italia lo studio cita il giacimento di Nassiriya per il quale ha avanzato negoziati insieme alla spagnola Repsol”.

Le mire italiane su An Nasiriyah sarebbero sempre state negate. Almeno ufficialmente. Il 13 novembre 2003, dopo l’attentato a Base Maestrale, IlSole24Ore parlò di un viaggio di una delegazione Eni in Iraq nel giugno 2003, e quindi ancor prima dell’arrivo delle truppe italiane, a bordo di aereo militare: “Da tempo l’ENI ha gli occhi sui campi petroliferi di Nassiriya. All’ENI quel giacimento da 300 mila barili al giorno e con riserve tra i 2 e i 2,6 miliardi di barili interessa dai tempi del regime di Saddam, ma dopo la guerra l’azienda italiana ha riaperto il negoziato con gli americani di Paul Bremer e con il ministero del Petrolio irakeno. A giugno una delegazione dell’ENI si è recata a Baghdad a bordo di un aereo militare italiano per discutere nei dettagli”. Con il quotidiano Milano Finanza che il 1° aprile 2009 scriverà: “Oggi o domani Eni presenterà l’offerta per il contratto relativo al giacimento di Nassiriya in Iraq. Lo ha rivelato oggi l’Ad del gruppo oil italiano, Paolo Scaroni, a margine di un’audizione in Senato. Eni presenterà l’offerta da sola, anche se è prevista la possibilità successivamente di associarsi”.

Fra le “bugie” del governo italiano di allora, quella della scelta di non belligeranza. Niente di più vero, dal momento che l’Italia partecipò fattivamente al conflitto con un sostegno silenzioso alla preparazione dell’offensiva a Saddam con, secondo un cablogramma del plenipotenziario di George W. Bush a Roma, l’ambasciatore Melvin Sembler, “movimenti a notte fonda, cambiamenti di programma all’ultimo minuto, inganni”. Nei suoi cablogrammi della primavera del 2003, Sembler confermerà, infatti, la risposta positiva dell’Italia nell’assistere la “coalizione nel vincere la guerra in Iraq”: “Il supporto logistico all’esercito USA è stato eccezionale”, scriverà. “Abbiamo ottenuto quel che avevamo richiesto in termini di accesso alle basi, transito e sorvoli, assicurando che i soldati – comprese le truppe su voli charter civili – potessero attraversare agevolmente l’Italia per recarsi a combattere. Gli aeroporti, i porti e le infrastrutture dei trasporti italiani sono stati messi a nostra disposizione. La baia di Augusta, in Sicilia, è diventata uno snodo fondamentale per i rifornimenti, più di 1.000 missioni sono state completate con successo alla stazione aeronavale (NAS) di Sigonella e Aviano ha sostenuto il più vasto movimento bellico di C-17S dal suolo italiano della storia. Inoltre le autorità di pubblica sicurezza hanno impedito a manifestanti determinati a fermare treni e autocarri che trasportavano equipaggiamenti USA attraverso l’Italia alle aree di sosta per l’inoltro in Asia Sud-occidentale. La protezione militare è stata aumentata presso le installazioni militari USA in tutta Italia e il governo italiano ha aderito virtualmente a tutte le nostre richieste per garantire che le navi USA che transitavano nella baia di Augusta a sostegno dell’Operazione Iraqi Freedom fossero adeguatamente protette”.

In un altro cablogramma, Sembler scenderà nei dettagli: “Il governo italiano ha appoggiato 124 decolli/atterraggi di Globemaster ad Aviano, il più grande movimento bellico di C-17S che sia mai avvenuto. Il governo italiano ha dato assistenza al completamento, con successo, di circa 1.300 missioni dalla base aeronavale di Sigonella. Il governo italiano ha aderito alla nostra richiesta di usare Sigonella come aeroporto alternativo per il sorvolo di campioni di Armi di Distruzione di Massa. I porti italiani hanno ospitato 71 vascelli USA. La baia di Augusta, in Sicilia, ha servito da principale snodo di rifornimento. Voli charter USA che hanno trasportato più di 8.000 soldati in Asia Sud-occidentale hanno toccato terra in aeroporti civili/militari italiani. Il governo italiano ha impedito che manifestanti compromettessero il flusso di uomini/materiali attraverso l’Italia, compresi spostamenti complessi a supporto dell’impiego della 173sima. Le autorità delle forze dell’ordine hanno continuato una stretta collaborazione con i comandanti delle basi USA per evitare incidenti seri. Grande aumento/sostegno della protezione militare a Sigonella e alla baia di Augusta comprese scorte armate della Marina Italiana, ronde di guardie, nuovi sistemi di sicurezza litoranea. Permesso alle navi della Marina USA di condurre esercitazioni di addestramento disarmate in acque territoriali italiane”.

E il trofeo finale: “Il governo italiano ha dimostrato all’Ambasciata di sapere benissimo come gestire una delicata situazione politica interna, specialmente il Parlamento e i rapporti con il Presidente Ciampi. In alcuni casi abbiamo messo in discussione le decisioni del governo italiano di notificare al Parlamento dettagli operativi specifici. In realtà il Ministro della Difesa Martino ci ha detto di aver probabilmente posto l’asticella troppo in basso e che ultimamente ha dovuto dissuadere il Parlamento dall’attendersi dettagli minuziosi circa gli sforzi italiani di assistenza”.

Un sostegno alla Casa Bianca (e al Pentagono) senza precedenti, in nome dello sfruttamento delle risorse naturali dell’Iraq.