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Condividiamo emozioni in modo sempre più compulsivo, ma i social fanno male? Parla lo psicologo delle nuove tecnologie

Emoji, messaggi vocali e video ci rendono più emotivi? La risposta di Ivan Ferrero, divulgatore e osservatore di tutto ciò che accade sul web

Condividiamo emozioni in modo sempre più compulsivo ma i social fanno male Parla lo psicologo delle nuove tecnologie

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“A cosa stai pensando?” È questa la domanda quotidiana che Facebook, il social network per eccellenza, rivolge a ogni suo utente dandogli in più la possibilità di affiancare al pensiero uno stato d’animo, confidare la cosa in particolare a qualcuno taggandolo, e corredare il tutto con foto o video. I social stanno inevitabilmente cambiando il nostro stesso modo di comunicare sentimenti ed impressioni. Quanto queste possibilità espressive stiano cambiando la nostra stessa emotività, è tema per psicologi e noi siamo andati a intervistarne uno che è un acuto osservatore di tutto ciò che accade sul web e, in particolare, sui social network. Ivan Ferrero è psicologo delle nuove tecnologie e divulgatore attraverso il suo sito bullismoonline.it.

Come influiscono i nuovi media sulle emozioni e sull’espressione delle emozioni?
“In realtà se cambino le emozioni non si sa ancora, il tema è oggetto di studi che però potrebbero non dare risultati esaurienti. Il problema di queste ricerche è che si concentrano su campioni molto piccoli: 100 o 200 persone e puntualmente vengono smentite da quelle di un altro ricercatore. Quindi non sappiamo ancora se emoji, messaggi vocali, clip video, ci stiano rendendo più emotivi. Ma possiamo iniziare a porci alcune domande su come l’esteriorizzazione quasi compulsiva dei nostri stati interiori possa modificare il nostro modo di sentire”.

Quali sono le sue conclusioni?
“Sicuramente è cambiato il modo di esprimere le emozioni e di conseguenza anche tutto il discorso legato alla nostra privacy, quindi relativo a chi partecipa alle nostre esternazioni. Nei tempi del pre-web era diverso il modo in cui esprimevamo verso l’esterno, ad esempio qualcosa che ci aveva impressionato. Prima ce la dovevamo tenere dentro e gestire quella emozione finché non avessimo incontrato qualcuno al quale raccontarla. Potevano passare anche dei giorni prima che potessimo raccontare i fatti che ci avevano impressionato. Questo comportava una zona cuscinetto in cui quel sentimento ci rimaneva dentro. Oggi non succede più perché nel momento in cui provo l’emozione, posso subito esternarla e condividerla con gli amici. Ma proprio questa possibilità di ‘vomitare’ stati d'animo accende un campanello d’allarme”.

Cosa la preoccupa di questa immediatezza?
“Il fatto che prima dovevo imparare a gestire le emozioni, a digerirle come diciamo noi psicologi, elaborarle mentre restavano dentro. Per questo mi chiedo: la rapidità con la quale le esterniamo e condividiamo, cambia le emozioni? Quando capita, ai miei pazienti consiglio spesso di aspettare prima di verbalizzare un sentimento. Dico ‘calma, prenditi cinque minuti e dimmelo dopo che ci hai riflettuto’. Ora c’è la tendenza ad esibire l’emozione spinti anche dalle piattaforme e dagli stati d’animo collegabili ai contenuti. Posso fare un post in cui affermo di sentirmi “alla grande” o “soddisfatto”. La domanda è: stiamo diventando sempre più incapaci di contenere e gestire gli stati emotivi? E questo discorso lo lego anche a quello dell’aggressività e dell’impulsività. Con questo non dico che le piattaforme social ci stiano spingendo ad essere più aggressivi e impulsivi perché non ci sono ancora ricerche nette che lo affermino. Mi sto chiedendo quanto lo strumento alimenti, ad esempio, il fenomeno dei leoni da tastiera”.

Pensa che la possibilità di esprimersi senza filtri stia cambiando la nostra emotività?
“Possiamo perlomeno affermare che ci sia una maggiore esibizione delle emozioni e una minore riflessione preventiva. Tanto è vero che spesso, quando si induce una persona a ripensare a ciò che ha scritto, avvengono delle ritrattazioni, cancellazioni di commenti e a volte delle scuse perché ci si accorge dell’errore solo dopo”.

I leoni da tastiera ogni tanto si ravvedono.
“A volte sì. Ho saputo di un’iniziativa che ha ormai 2 o 3 anni di una ricercatrice indiana, che è stata poi assoldata dal Mit (Massachusetts Institute of Technology), per aggiungere un secondo passaggio alla pubblicazione e alla ricondivisione di qualcosa. Ad esempio, quando scrivo un commento e do invio, prima di eseguire il comando il sistema mi avverte che sto per condividere un contenuto e mi chiede se voglio davvero farlo. In base alla ricerca, il progetto che è stato chiamato semplicemente “rethink” (ripensare), ha prodotto un calo di oltre il 95% dei commenti negativi. Questo dimostra che molti messaggi d’odio sono legati all’impulsività del momento. Ma la minore riflessività è anche responsabilità di chi gestisce le piattaforme che sono disegnate proprio per spingere gli utenti alla condivisione impulsiva”.

Il fenomeno non è legato soltanto ai commenti negativi ma anche a quelli positivi. Sui social, infatti, un “sei bellissima” non si nega a nessuna e gli apprezzamenti acritici si sprecano.
“Sì, l’esibizione dei sentimenti riguarda quelli negativi e quelli positivi”.

Quindi, per farla breve, i nuovi media sono cattivi o buoni?
“Per rispondere posso citare i risultati della ricerca di Amy Orben e Andrew K. Przybylski pubblicata nel 2019, 'The association between adolescent well-being and digital technology use, Nature Human Behaviour'. Lo studio afferma che il digitale incide sulla salute mentale dell’individuo per lo 0.4%, meno di quanto influisce, per esempio, il fatto di portare gli occhiali da vista, che incide invece per lo 0.5%”.

Insomma è sempre la solita vecchia paura dell’innovazione: chi è attempato la teme e la critica mentre i giovani l’abbracciano acriticamente?
“È sempre stato così. Ho letto da poco dei trafiletti di un giornale americano che parlava di una pericolosa innovazione che avrebbe prodotto effetti deleteri sulla salute dei giovani stimolandoli a stare a casa attorno al diabolico attrezzo invece che giocare a guardia e ladri all'aperto. Era un giornale d’inizio del ‘900 e palava della radio. È normale che i giovani siano attratti dalle innovazioni e le pratichino con una disinvoltura che invece spaventa i loro nonni”.

Poi starà a loro, quando saranno vecchi, fare i retrogradi con i loro nipoti.
“Già, il mondo funziona così”.

28/08/2019