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La psicologia del selfie selvaggio: nella mente dei nuovi vandali. Come bloccare questo scandalo

La conduttrice, sconvolta dal dolore per la morte per del marito Maurizio Costanzo, ha dovuto subire l'abuso di chi ha approfittato del funerale per un macabro autocompiacimento da condividere sui social

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È bufera sui selfie strappati dai fan a una Maria De Filippi impietrita nella camera ardente del marito. A pochi metri dalla bara di Maurizio Costanzo la conduttrice verosimilmente scioccata dal lutto ha subito la prepotenza di chi ha porto condoglianze per scippare autoscatti da sciorinare sui social con un macabro autocompiacimento. Questo atto di vandalismo relazionale e sociale a mezzo smartphone ha più risonanza di altre barbarie quotidiane perché coinvolge l’imperatrice della televisione in un momento di profondo dolore privato.

L’abuso dei selfie

L’abuso dei selfie e dei social travalica ormai i più elementari limiti interpersonali e calpesta i confini dell’empatia. Perché sempre più persone si aggirano per il mondo armate di un cellulare di ultima generazione come un cavernicolo impugnerebbe una clava?

In passato la tecnologia serviva ad aumentare la capacità umana di elaborare e gestire la realtà, oggi le nostre sofisticatissime protesi elettroniche sembrano prevalere sull’utilizzatore, che ne dipende in modo passivo e non le utilizza ma ne fruisce in modo superficiale e meccanico. L’essere umano sembra sempre di più un organismo che asservito alle sue protesi tecnologiche; ne è l’alimentatore mentre non ne è più alimentato, ne è anzi sfruttato ed impoverito.

Tecnoscimmie su Instagram, Facebook e altri social

L’utilizzo di massa di Instagram, Facebook e di altri social-network va ben oltre la funzione di una protesi psicosociale finalizzata ad estendere le proprie connessioni e implementare la capacità umana di interazione. Gli utenti aprono Instagram e Tik tok preda di una compulsione imponderabile, passano ore a cliccare cuoricini e ad alimentare il macchinario senza trarne alcun beneficio concreto.

Le tecnoscimmie non sanno esattamente cosa stiano facendo, ma lo fanno per ore: la protesi elettronica detta loro scelte d’acquisto, influenza la percezione dei rapporti affettivi, le fagocita e le digerisce in un intestino informatico fatto di giochini e d’informazioni inutili per il fruitore, ma indispensabili al rafforzamento dell’apparato tecnologico che (lo) utilizza. 

Il risultato è un mondo di incompetenti sociali che però hanno 6000 “amicizie” virtuali o decine di migliaia di follower mentre perdono progressivamente le capacità empatiche e comunicative minime sufficienti per intraprendere almeno una sola relazione davvero autentica.

Ovunque, è un pullulare di individui che possiedono una ricchezza lessicale inferiore al T9, il dizionario pre-caricato nelle loro magiche tavolette, e che si baloccano insensatamente con la loro protesi interpersonale. Mentre il loro cervello stalla davanti all’ultima insulsa app acquistata, tipo un simulatore di peti umani (e, purtroppo, non è una battuta) o le news di  “Uomini e Donne” e “GF VIP”, la loro protesi si arricchisce di un nuovo dato atto a sfruttare il suo oramai scimmiesco utilizzatore biologico.

Tecno-scimmia contro homo sapiens

La tecno-scimmia è il modello umano emergente: una sottospecie di homo sapiens asservita alle protesi informatiche. E ne è influenzata a tal punto che persino il suo linguaggio si limita alla sintassi asfittica degli sms e si sostanzia nell’incapacità di comprendere e, meno che mai, di formulare ragionamenti astratti e di riflettere sulla propria realtà e su di sé in modo costruttivo. 

La tecno-scimmia sbadiglia al primo congiuntivo, sbalordisce davanti a una considerazione originale, ammutolisce annoiata al primo capoverso di un romanzo. Una tecnoscimmia non arriverebbe mai a questo punto dell'articolo che state leggendo, avrebbe già cambiato sito. Viceversa, si eccita sino al parossismo per il nuovo video nonsense su Youtube e sfoggia una cultura enciclopedica su marche di scarpe o sull’intero cast di Amici di Maria De Filippi in molteplici edizioni.

Indifferente al valore della reciprocità e dello scambio, la tecno-scimmia passa gran parte del suo tempo ad agghindarsi secondo le istruzioni dei tutorial on-line, spende cifre inverosimili per una t-shirt e trascorre il suo tempo “nei locali giusti”, dove anziché interagire costruttivamente con gli altri, sfoggia la sua protesi tecnologica retroilluminata e mostra agli altri primati presenti fotografie e messaggini.

Tecno-scimmie e analfabetizzazione emotiva

Esiste una correlazione tra l’epidemia di tecno-scimmie e il declino della capacità economica del nostro Paese? Tv e cellulari, Internet e quant’altro si comportano sempre di più come dissipatori dell’attenzione e utilizzatori cinici e sfrontati del neurone residuo: l’obiettivo non è certo rafforzare la dotazione biologica intellettuale dell’umano, ma sfruttarla per “fare numeri” e per elevare al massimo grado lo svuotamento delle teste in favore del “riempimento” delle memorie elettroniche che, senza i grandi numeri, non macinerebbero i miliardi che servono alla sua ostinata, vegetale espansione. 

Poiché non è più l’uomo a usare la tecnologia, ma la tecnologia a usare l’uomo, quello che inquieta è notare che le tecnoscimmie finiscono per adottare nelle relazioni umane lo stesso stile meccanico e anaffettivo previsto dall’interazione con computer e iPhone. Non parlano più con l’amico, ma con la sua protesi informatica, inviando dal proprio device comunicazioni asettiche e comunque emotivamente poverissime.

Questo non è uno scenario fantascientifico, ma il racconto di un’invasione psicologicamente e socialmente devastante: quella delle tecnoscimmie. E non si tratta di un’invasione belligerante, armata e tumultuosa, ma di un dilagare sistemico, incipiente e pervasivo dell’apatia, della noia, dell’ozio e della superficialità. Le tecnoscimmie si moltiplicano attraverso tutte le azioni che non compiono, i pensieri abortiti e i sentimenti inespressi. Con inedia, conformismo, passività e a volte e con la prepotenza dell’ignoranza.

Come bloccare questa involuzione

E non ci sono strumenti elettronici e tanto meno giuridici e istituzionali che possano bloccare questa involuzione. Occorrono invece metodologie psicologiche per promuovere interventi sociali e politici che arginino il degrado. Per bloccare le tecno-scimmie bastano due parole: alfabetizzazione emotiva.

Bisogna aiutare le persone a recuperare ciò che la dipendenza dalle protesi elettroniche inibisce ormai sin dall’infanzia: l’empatia, la capacità di riconoscere le proprie emozioni e di comunicarle, la competenza sociale di ascoltare gli altri senza il medium esclusivo di un display. Sarà dura. Perché le tecnoscimmie odiano gli psicologi.

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