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Molte persone sono più predisposte di altre all’aiuto

Molte persone sono più predisposte di altre allaiuto

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La tragedia avvenuta a bordo della nave affondata di fronte all’isola del Giglio e che ci ha visti testimoni della morte di tante persone e della paura di molte altre lasciate da sole a gestire lo sbarco attraverso le scialuppe per mettersi in salvo, ha fatto chiedere a molti: quali sono le circostanze che spingono le persone a prestare aiuto oppure a rimanere passive o addirittura a scappare?

Immaginate di essere in crociera e di sentire improvvisamente suonare le sirene d’allarme, seguite dalla voce del capitano che avverte che tutti devono abbandonare la nave. Vi precipitate sul ponte e trovate che sulle scialuppe rimaste vi sono pochissimi posti liberi. Con voi ci sono il vostro unico figlio, vostro cugino, un lontano parente anziano, un amico e una recente conoscenza. Chi fareste salire per primo sulla scialuppa di salvataggio? La maggior parte delle persone a questa domanda ha risposto che darebbe la priorità assoluta al proprio figlio (Moghaddam, 2002).

I sociobiologi sostengono che attraverso la selezione per parentela (scegliere il proprio figlio perché vada per primo nella scialuppa di salvataggio) si aumentano le possibilità che i propri geni vengano trasmessi. In questo caso il comportamento d’aiuto rientra in un complesso quadro di competizione per la sopravvivenza tra geni piuttosto che tra individui. In una ricerca è emerso che quando l’aiuto è richiesto per una questione ordinaria (“Mi può aiutare ad attraversare la strada?”), i partecipanti aiutano coloro che ne hanno più bisogno (i malati e i poveri prima dei sani e dei ricchi, indipendentemente da legami di sangue). Quando però l’aiuto viene chiesto in una situazione di vita o di morte, allora viene data la preferenza ai parenti rispetto ai non parenti (Moghaddam, 2002).

Le ricerche hanno dimostrato come molte persone sono più predisposte di altre all’aiuto, in modo affidabile e duraturo. Inoltre, le persone con un alto livello di emotività positiva, empatia e autoefficacia hanno maggiori probabilità di mostrarsi preoccupate e utili agli altri. Alcuni ricercatori hanno concluso che quando ci si trova a dover affrontare situazioni potenzialmente pericolose in cui degli sconosciuti hanno bisogno di una mano gli uomini prestano aiuto più spesso delle donne. Infatti, il 90% delle persone che hanno ricevuto una medaglia Carnegie per gli atti di eroismo per aver salvato una vita umana era di sesso maschile. In situazioni meno pericolose, tuttavia, le donne risultano di poco più inclini a prestare aiuto. Più in generale, le donne rispondono ai problemi degli amici con maggiore empatia e dedicano più tempo a prestare aiuto e soccorso rispetto agli uomini (Marta e Lanz, 2009).

Nello specifico tre sono le teorie psicologiche usate per comprendere i comportamenti di aiuto. La prima è la teoria dello scambio sociale e sostiene che nei comportamenti di aiuto le persone tendono a monitorare consapevolmente i costi e i benefici che tale aiuto comporta, cercando di minimizzare i primi e aumentare i secondi. La seconda è la teoria  delle norme sociali e sostiene che le persone aiutano per ottenere delle ricompense esterne, interne o per seguire delle norme sociali, quelle della reciprocità e della responsabilità sociale. La terza è la teoria evoluzionista e si basa sull’assunto che il comportamento d’aiuto è motivato dal desiderio di proteggere i parenti e dalla reciprocità.

Per quanto riguarda i fattori che favoriscono o inibiscono l’aiuto sono da prendere in considerazione: il numero di spettatori in caso di emergenza, il fatto di notare o meno la situazione d’aiuto e di interpretarla come situazione di emergenza, la capacità di assumersi la responsabilità in tale situazione. In genere, le persone sono più inclini all’aiuto quando hanno appena osservato un’altra persona che aiuta o quando hanno molto tempo a disposizione (Marta e Lanz, 2009).

Per capire chi è predisposto ad aiutare, bisogna considerare che i tratti di  personalità sono dei modesti predittori dell’aiuto. La fede religiosa è un predittore dell’aiuto a lungo termine, soprattutto quando si parla di comportamenti quali il volontariato. Le ricerche suggeriscono che per incrementare i comportamenti d’aiuto occorre ridurre o eliminare i fattori che li ostacolano, favorire l’azione della norma di reciprocità e insegnare prosocialità e altruismo.

Ciò significa che il comportamento immorale alimenta atteggiamenti immorali, così come l’altruismo incrementa futuri gesti d’aiuto, di solidarietà e di generosità. I modelli pro sociali quindi promuovono l’altruismo. Ad esempio, in un esperimento emerse che i conducenti di Los Angeles erano più inclini a offrire aiuto a una donna al volante con un pneumatico a terra se qualche centinaio di metri prima di raggiungere quest’ultima erano testimoni di qualcuno che aiutava un’altra donna a sostituire il pneumatico dell’auto. Un elemento indubbiamente importante è quindi l’imitazione.

Per questo motivo bisogna che i bambini imparino da piccoli il senso dell’altruismo e della generosità. A tale proposito è bene tenere presente che i minori apprendono i giudizi morali sia da ciò che sentono affermare sia da ciò che osservano nella pratica. Quando si trovano in una situazione di ipocrisia, imitano tali atteggiamenti (Marta e Lanz, 2009). Speriamo allora che i bambini di oggi prendano a esempio il coraggio e la forza di quelle persone che in tante situazioni drammatiche hanno lottato e messo a repentaglio la propria vita per salvare quella di altri.

03/02/2012