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Perchè il terapeuta non è un nostro amico?

di Caterina Steri

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Sapete perchè terapeuti e pazienti non possono essere amici?

·      Innanzi tutto c’è da dire, così come dichiara l’articolo 28 del Codice Deontologico degli psicologi che “Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito” […]

Avere a che fare con pazienti “conosciuti”, ancora peggio se stretti da un legame affettivo, non solo sarebbe controproducente ai fini della terapia, ma dannoso. Si potrebbe andare incontro a pregiudizi, giudizi, critiche e influenze dettate dal cuore o da altri motivi personali. Lo studio del terapeuta è e deve essere privo di considerazioni personali e giudizi morali. Ciò che viene messo al centro di tutto è il paziente, le sue problematiche e i suoi vissuti.

·      I buoni ingredienti di una terapia efficace si basano anche sul tipo di relazione che intercorre tra terapeuta e paziente che deve innanzi tutto vertere su una totale fiducia e la disponibilità a risolvere i problemi. So che può sembrare paradossale e che molti di voi si stiano chiedendo come ci si possa fidare totalmente di un estraneo, ma nella relazione terapeutica l’obiettivo  comune è il benessere del paziente, solo ed esclusivamente quello. Ecco perché devono essere totalmente aboliti dei legami affettivi come quelli amicali, ad esempio, in cui la relazione è reciproca e conta il bene di entrambi.

Quella terapeutica è una relazione talmente particolare che raramente si presenta in altri tipi di contesti  umani. Da la possibilità al paziente di godere di uno spazio totalmente unico e personale e di esplorare i propri vissuti con un’intensità tale da essere  quasi impossibile poterla raccontare e spiegare a terzi.

Inoltre, se ci si fida del terapeuta si capisce di poter parlare  con maggiore libertà rispetto a quella che si potrebbe raggiungere con un amico o un qualsiasi conoscente: lo specialista è lì solo per lui, non giudica ed è tenuto per legge al segreto professionale.

La terapia non è un apprendimento passivo in cui il terapeuta insegna al paziente ad essere un uomo migliore, ma un contesto in cui vengono attivate le risorse delle persone creando dei cambiamenti e nuovi equilibri psicologici. Proprio per questo il terapeuta si pone totalmente al servizio del suo paziente, non potendo permettersi di incorrere in questioni emotive che potrebbero offuscare la sua oggettività e il suo far da specchio all’altro o travolgerlo e ferirlo così da non poter più proteggere lo scopo terapeutico.

Il terapeuta non può legarsi affettivamente ai pazienti, perché non è un amico (anche se alcuni colleghi fanno credere il contrario), lui offre un servizio professionale (tanto è che per questo viene pagato), circoscritto da regole ben precise che richiedono il rispetto da entrambe le parti.

Tutti questi sono i motivi che servono a tutelare il paziente, ma ce ne sono altri che servono anche a proteggere il terapeuta.

·      Avete mai pensato ad esempio che un terapeuta quotidianamente può ricevere nel suo studio circa sei/sette pazienti, se non di più? Immaginate se dovesse farsi coinvolgere emotivamente da tutti cosa gli succederebbe? Non avrebbe più una vita privata perché “porterebbe a casa” tutti i casi che segue e relativi dolori, traumi, soddisfazioni. Rischierebbe di rinunciare alla propria di vita per quella degli altri.

Fortunatamente, durante i periodi di formazione ci viene insegnato a non fare questo e anche da professionisti abbiamo la possibilità di farci aiutare da un supervisore laddove da soli non riusciamo a trovare soluzioni adeguate.

Certo è che prima di esser specialisti siamo persone e ci dispiacciamo se i nostri pazienti stanno male e gioiamo con loro quando stanno bene. Ma i cambiamenti in positivo non potrebbero avvenire se la relazione terapeutica non venisse protetta da un grado di “distacco” tale da render tutto più obiettivo.

Ricordatevi quindi che il terapeuta non è solo un professionista, ma prima di tutto una persona in carne ed ossa, così come voi e che come voi si è rivolto ad altri terapeuti.

E ricordate pure che la relazione con il vostro terapeuta, per quanto non possa avere connotazioni amicali sarà sempre unica, intima ed indescrivibile. Parola di terapeuta e di paziente.

 

25/02/2015