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Psicopatologia della competizione, cosa fare quando ne siamo sovrastati?

di Caterina Steri

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In giuste quantità la competizione, ovvero la spinta a raggiungere un risultato migliore nei confronti di altri individui, aiuta ad andare avanti nella vita professionale, sportiva, privata. Ma quando diventa eccessiva, ed è l’unico meccanismo che si mette in atto per vivere, allora qualcosa non va.

In questo caso la sensazione è quella di dover fare sempre di più, che non basti mai, che il risultato di domani dovrà esser sempre migliore rispetto a quello di oggi, che a sua volta non è ritenuto abbastanza soddisfacente.  Vi è una propensione estrema alla perfezione ed è proprio qui che si rimane incastrati, nel senso che la perfezione non esiste ed è inutile cercare di raggiungerla. Ma finchè questo non verrà riconosciuto e soprattutto accettato, non ci si potrà liberare dalla morsa della competizione ossessiva.

Come mai si cade in questi contorti e spesso dolorosi meccanismi?

Forse la necessità di dover provare sempre qualcosa e di ottenere risultati ottimi deriva dal fatto che non si è così sicuri come si vorrebbe dimostrare, ma occorre ogni volta avere i risultati migliori per potersi dire di valere qualcosa.

O forse si è stati abituati sin da piccoli che ciò che si faceva non bastava mai e allora per dimostrare agli altri di valere occorreva prefissarsi esiti sempre più alti, ma che purtroppo non risultavano mai sufficientemente apprezzati: da ciò la spinta a dare ed ottenere sempre di più.

O ancora, i risultati medi non venivano contemplati perchè espressione di mediocrità.

Mi pare che derivi anche da un senso di insoddisfazione personale dovuta all’importanza che si da al giudizio altrui. Siamo troppo abituati ad essere giudicati per i risultati “visibili” che otteniamo, piuttosto che per ciò che siamo veramente e forse siamo i primi ad adottare questo meccanismo su di noi.

Queste possono essere solo alcune delle cause della competizione ossessiva. Sta di fatto che le conseguenze potrebbero essere quelle di non riuscire mai a godere di ciò che si fa perché troppo orientati sui risultati e non anche sul percorso che facciamo per raggiungerli. Un meccanismo che origina forti ansie e stress, ma che potrebbe essere risolto attuando dei cambiamenti nel modo di pensare ed agire.

Ad esempio, iniziare a darsi l’opportunità che, anziché dover sempre competere con gli altri, si potrebbe iniziare a collaborare, laddove sia possibile.

Accettare l’idea che esistano delle persone più brave di noi ma che allo stesso tempo non annullano il nostro valore.

Ancora, che potremmo ritenerci soddisfatti anche smettendola di confrontarci sempre con qualcun altro. Riuscire ad entrare in quest’ottica permette di fare le cose con meno ansia e tensione.

Non sono cambiamenti facili da attuare, soprattutto perché dovremmo scardinare modi di pensare ed agire con i quali conviviamo da anni. Ma nonostante questa “abitudine”, se ci rendessimo conto che la competitività in noi è fagocitante e limitante dovremmo seriamente pensare di cambiare rotta e “rilassarci un po’”.

Laddove non sia possibile farlo da soli, per iniziare, potremmo chiedere l’aiuto di una persona più esperta di noi accettando l’idea che non abbiamo le competenze e le capacità di fare tutto, ma non per questo siamo meno apprezzabili degli altri.

 

18/11/2014