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Rischiamo di restare senza banane. Contro il fungo letale non c’è difesa

La minaccia per la specie Cavendish incombe da 20 anni. Ma perché l’allarme scatta solo adesso? Il ruolo delle multinazionali

Rischiamo di restare senza banane Contro il fungo letale non cè difesa
di Maurizio Ricci

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Una banana è una banana è una banana, si potrebbe dire, riecheggiando il famoso verso di Gertrude Stein sulla rosa. E, invece, no: c’è banana e banana. Quelle che mangiavano i nostri genitori, ad esempio, erano più buone. Si chiamavano Gros Michel ed erano più dolci e saporite di quelle che troviamo oggi nei supermercati, le Cavendish. Purtroppo, negli anni ’50, l’attacco di un fungo – il Panama tipo 1 – ha distrutto tutte le piantagioni di Gros Michel, lasciandoci a sbucciare le Cavendish. Non per molto, però, a quanto dicono gli scienziati.

Il fungo letale

Perché, ora, un altro fungo – chiamato Panama tipo 4, anche se, in realtà, viene da Taiwan – sta attaccando le Cavendish. Sfortunatamente, non c’è difesa. E, così, rischiamo di restare senza banane, in attesa che le piantagioni delle grandi multinazionali – Chiquita, Del Monte, Fyffes, Dole, Noboa – ripartano da zero o, più probabilmente, rinascano altrove, ridandoci i 100 milioni di tonnellate di banane che consumiamo ogni anno.

Minaccia da 20 anni

La natura è matrigna, certo. Ma, in realtà, la seconda maledizione della banana – il frutto più commerciato a livello internazionale – è, in larga misura, il risultato dell’incrocio fra tecniche produttive e convenienze economiche di un’industria mondiale, incapace di guardare al di là del proprio naso e di imparare dai suoi errori. In fondo, quello che sta avvenendo alle Cavendish è la ripetizione esatta di quanto accaduto alle Gros Michel. E non è, propriamente una sorpresa: il Panama tipo 4 o Fusarium è comparso, 40 anni dopo il tipo 1, in Asia negli anni ’90 ed è sbarcato da tempo in Africa e in Medio Oriente. Insomma, il “Cavendish crash”, il disastro Cavendish, come lo chiamano gli addetti ai lavori, è una minaccia nota e incombente da almeno vent’anni.

Perché l’allarme scatta adesso?

Perché, allora, l’allarme scatta solo adesso? Perché il Fusarium è stato avvistato, ad inizio agosto, in Colombia. Il fungo è, cioè, arrivato alla fine, in America, nella fascia fra Messico ed Ecuador che è il cuore delle piantagioni di banane mondiali e, in particolare, dei frutti da esportazione e, dunque, delle Cavendish.

Il ruolo delle multinazionali

Esistono, infatti, un migliaio di tipi di banane, ma, negli anni ’60, le grandi multinazionali si buttarono in massa sulle Cavendish. Le cinque grandi non dominano più il commercio come una volta: negli anni ’80 coprivano i due terzi del mercato internazionale, oggi sfiorano il 45 per cento. Le grandi catene di supermercati sono capaci, infatti, di raggiungere direttamente i produttori indipendenti. Ma tutti sono spinti a seguire l’esempio dei più grandi, quando si affacciano sui mercati internazionali. A cominciare dalla monocultura delle Cavendish. Globalmente, questo tipo di banana rappresenta il 47 per cento delle banane cresciute nel mondo. Ma il 99 per cento di quelle che vengono esportate.

Perché si scelse la Cavendish

Il motivo per cui l’industria della banana scelse compattamente la Cavendish è semplice: naturalmente resistente al Panama tipo 1, l’albero di banana Cavendish poteva essere piantato esattamente dove, prima, c’era quello Gros Michel. Meno dolci, più saponose delle Gros Michel e di tante altre banane, le Cavendish hanno, inoltre, dalla loro un tempo di maturazione abbastanza lungo. In altre parole, durano di più dopo essere state colte, ancora verdi, dall’albero, un requisito importante per una produzione destinata ad essere venduta su mercati lontani.

Frutti geneticamente modificati

Il problema è la loro intrinseca fragilità. Le banane che conosciamo – un po’ come le mandorle – sono un accidente genetico: quelle originarie hanno i semi. Queste banane mutanti vengono riprodotte per clonazione. In altre parole, ogni banana Cavendish è, geneticamente, esattamente uguale a tutte le altre. Questo vuol dire che, se un batterio o un fungo può uccidere un albero, li può uccidere tutti. Nessuna speranza che ne incontrino qualcuno più resistente. Per questo, le piantagioni di banane vengono sistematicamente inondate di pesticidi (solo per il cotone se ne usano di più). Ma così si selezionano batteri e funghi sempre più resistenti. E’ il caso del nuovo ceppo di Fusarium, difficilmente attaccabile di suo, perché sta nel suolo. Non aggredisce i frutti, ma direttamente l’albero, infettandone le radici e bloccando la trasmissione di nutrienti nel sistema vascolare. L’albero muore, ma sradicarlo non serve a nulla, perché il fungo resta nel terreno, anche per 30 anni. Ecco perché, anche se l’offensiva sarà lenta, le piantagioni attaccate non hanno speranza.

Saranno le ultime banane?

Le si può chiudere o ripiantare con banane diverse e resistenti al fungo. Se non si riesce a contenere l’espansione del Fusarium nelle piantagioni già in quarantena (per ora, meno di 200 ettari), dunque, anche le Cavendish americane spariranno e i piantatori dovranno affrontare una drastica e costosa riconversione. Se non ricadranno nell’errore della monocultura, può essere una novità gradita per i consumatori: un ventaglio di banane diverse da cui scegliere. Chi è stato sul posto, giura che ce ne sono di buonissime, in giro per il mondo, come le piccole lady banana africane. Nell’attesa, accontentatevi delle ultime Cavendish.

22/08/2019