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Foie gras: gusto gourmand, amaro tortura

Un’inchiesta nei Pirenei francesi ha documentato le atrocità per la produzione del foie gras, cibo di lusso

di Stefania Elena Carnemolla

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Brigitte Bardot, icona del cinema francese, odia il foie gras, il fegato ingrossato di oche e anatre sottoposte ad alimentazione forzata con un tubo infilato nell’esofago. Con la sua fondazione, la Fondation Brigitte Bardot per i diritti degli animali, porta avanti la sua battaglia da anni, come quando il 2 settembre 2004 scrisse all’allora governatore della California, l’ex attore Arnold Schwarzenegger, chiedendogli di avallare, cosa poi avvenuta, un disegno di legge del senatore John Burton contro il foie gras: “Mi trovo nella posizione di poter parlare di questa barbarie perché combatto da anni, senza grande successo, ahimè, contro questa tradizione crudele che appanna l’immagine del mio paese, la Francia, il principale produttore mondiale di foie gras”. Poco prima nella sua lettera aveva denunciato le condizioni di animali infelici, fatti ammalare a forza di essere ingozzati, con il cuore agonizzante e i polmoni compressi dal fegato ormai ipertrofico.

Caro commissario europeo, ti scrivo 

O come quando il 23 dicembre di quell’anno scrisse al lituano Vytenis Povilas Andriukaitis, commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione Juncker, ricordandogli l’importanza di proibire l’alimentazione forzata di oche e anatre per la produzione di foie gras e di estendere a livello comunitario il divieto di una “pratica crudele, indegna di standard europei” fatta di “sofferenza estrema”, “metodi meccanici dolorosi”, con le femmine “schiacciate o gasate” e “i maschi condannati alla tortura di un’alimentazione forzata”.

Un’Europa divisa 

E siamo all’oggi dove al Parlamento Europeo dal 26 novembre scorso giace un’interrogazione alla Commissione Europea, la E-005952/2018, nonché l’ennesima in materia, sull’alimentazione forzata, gavage, per la produzione di foie gras. Nell’interrogazione si chiede - dopo aver ricordato che l’alimentazione forzata, “illegale in 23 Stati membri”, è “osteggiata” da gran parte dei cittadini comunitari - di intervenire per “sopprimere il requisito del peso minimo del fegato” per “consentire la produzione di foie gras senza alimentazione forzata”.

Tutti pazzi per il foie gras! 

E mentre l’ultima interrogazione sul foie gras attende risposta, il 16 gennaio scorso al Parlamento Europeo, a Strasburgo, s’è tenuto un  incontro conviviale del Cercle des Amis du Foie Gras, pubblicizzato anche sui social media, sponsorizzato dall’europarlamentare francese Franck Proust, membro del circolo. Una settantina di persone fra amici del foie gras, eurodeputati dei paesi produttori e consumatori, nonché rappresentanti della Commissione Europea. Partner della serata, con degustazione di portate a base di foie gras preparate dallo chef Stéphane Turillon, Euro Foie Gras, la federazione europea del foie gras, che, costituitasi nel 2008 a Strasburgo, raggruppa le federazioni dei produttori di foie gras di Belgio, Bulgaria, Francia, Spagna e Ungheria.

Non ti produco, ma timporto 

In Italia la produzione di foie gras, ma non la sua importazione, è, invece, vietata dal 2004 ai sensi dell’art. 19 dell’allegato del decreto legislativo 146/2001 in attuazione della direttiva comunitaria 98/58/CE: “A partire dal 1 gennaio 2004 è vietato l’uso dell’alimentazione forzata per anatre ed oche e la spiumatura di volatili vivi”.

Mode culinarie

Nonostante la modalità di produzione sia considerata crudele, il foie gras è sempre più presente nei menu stellati: a solo come scaloppina, come ingrediente di ravioli, accompagnato a tortelli di zucca mantovana, gamberi rossi caramellati, tonno in trancio, ricciola, ventresca di tonno, zuppe, formaggi, croccantini in crosta di mandorle, filetto di vitello, millefoglie di mele, mostarda di zucca, mela arrosto e pan di noci. Ristoranti e bistrot stellati a parte, c’è chi se n’approvvigiona nelle gourmanderies, mentre chi non può, s’affida a piattaforme generaliste di e-commerce in cerca dell’occasione a poco prezzo, con il rischio di acquistare prodotti scadenti spesso non corrispondenti a quelli messi in vendita con aggettivi altisonanti – superbo, fra i più usati.

Foie gras, unindagine social

Perché l’attrazione per il foie gras? Una semplice questione di palato o un bisogno di sentirsi alla moda anche a tavola? Perché, al contrario, non consumarlo? Per capirlo abbiamo condotto una survey sui social media. Le risposte degli utenti sono state di varia natura: c’è chi non lo mangia e non l’ha mai mangiato perché non ama il fegato; chi non lo mangia più dopo aver saputo come viene prodotto; chi lo mangia, amandone il gusto, ma che non lo compra per ragioni che esulano dall’etica; chi non l’ha mai provato; chi vorrebbe provarlo ma che evita di consumarlo perché sa come viene prodotto; chi non lo mangia e pensa che il proprio piacere non “valga tanto dolore”; chi non lo mangia perché, oltre a essere contro l’alimentazione forzata, ne considera il mancato consumo affatto “una grande rinuncia in termini di sapore”; chi l’ha mangiato dopo tanto tempo, pur non amandolo già allora, dopo aver ascoltato amici tendenza alla moda che “ne decantavano il gusto come sublime”, salvo provare l’ennesima delusione; chi, non senza sarcasmo, racconta di averlo “assaggiato una volta in una casa importante”, che in fondo “non era male” ma che “io sono rozzo e preferisco fagioli e cotiche”.

C’è chi ne ama il sapore ma che non lo mangia perché un po’ gli “dispiace per le oche torturate” e anche perché “quello davvero buono costa tanto”, una risposta cui fa èco quella di un altro utente: “Buonissimo, ma non lo uso. Mi piace un sacco ma non ne consumo per via del nutrimento forzato delle oche”; chi l’ha mangiato 15-20 anni fa giusto perché vive nella Svizzera francese e chi non lo mangerebbe “neanche se mi pagassero”.  

C’è, quindi, chi non l’ha mai assaggiato e che mai lo farà perché “decisamente” contro la propria etica; chi rifiuta l’idea per “ecologia” e “rispetto”; chi non l’ha “mai assaggiato”, condannando la crudeltà che fanno sentire agli animali; chi non l’ha “mai mangiato per principio”; chi non l’ha mai mangiato, giurando di non avere “intenzione di farlo”; chi non lo ama “particolarmente” e che non lo mangia “per ragioni etiche”; chi non l’ha mai mangiato anche perché non sopporta l’odore del fegato e poi “quelle povere oche, non capisco con che coraggio lo si possa mangiare, lo vieterei”; chi prova raccapriccio alla sola idea che “questi animali” vengano “ingozzati” per “produrre fegato grasso”; chi, pur avendo adorato in passato, prima di diventare animalista, il fegato bovino, non ha mai assaggiato il foie gras, confessando di aver “scoperto solo di recente l’assurda pratica del gavage, motivo in più per non assaggiare questa pappetta”; chi non l’ha mai utilizzato, al solo pensiero della tortura e dell’odore: - “mi sono sempre rifiutata… l’odore mi disturba e pensare cosa è, amplifica questo disturbo”; chi ringrazia di non trovarlo nel luogo dove vive, ricordando una certa “amica buddhista” che “sostiene come non si debba mangiare il pollo, è un animale che soffre troppo a causa delle modalità di allevamento” e “figuriamoci queste povere oche o queste povere anatre”; chi, infine, al solo sentire parlare di foie gras, ha risposto di preferirgli un “pomodorino del piennolo del Vesuvio D.O.P.”

Campagne animaliste 

Contro il foie gras da tempo si muovono le associazioni per diritti degli animali, come la bolognese Essere Animali che tempo fa, raccogliendo adesioni, ha lanciato nell’ambito di Stop foie gras, destinari brand alimentari e grande distribuzione, la petizione #ViaDagliScaffali, chiedendo di “non proporre ai propri clienti quello che è un prodotto di pura crudeltà”. Con una seconda petizione ha, invece, chiesto al cooking show televisivo MasterChef Italia di “non accettare né proporre più ricette a base di foie gras”, confidando nella popolarità e nell’influenza del programma per veicolare “un messaggio importante che prenda posizione contro una pratica che è una vera e propria tortura nei confronti degli animali”.

Anatre dei Pirenei

Con Promoviendo el Veganismo di Saragozza, Essere Animali ha, invece, condotto un’inchiesta in sei stabilimenti dei Pirenei francesi dove si produce foie gras, documentando le “terribili condizioni di vita” di milioni di anatre “ingozzate a forza con un tubo metallico per indurre il loro fegato ad ammalarsi”, sviluppando la lipidosi epatica, con il fegato che raggiunge “dimensioni abnormi”, fino a dieci volte il normale. Oltre al tubo metallico, gli animali vengono ingozzati con tubi d’altro materiale o appositi imbuti. 

L’inchiesta ha documentato la presenza di animali con evidenti segni di stress, problemi respiratori e diarrea; anatre che si dimenavano alla sola vista dell’allevatore e altre ancora che cercavano di sottrarsi “disperatamente” all’alimentazione forzata; animali che vomitavano dopo “essere stati alimentati forzatamente”, rischiando di “morire soffocati per il troppo cibo ingerito”, quindi la “presenza di cadaveri e di anatre stremate, lasciate morire senza cure veterinarie”.

Dall’inchiesta è nato il video FOIE GRAS, solo crudeltà, voce narrante dell’attrice italiana Daniela Poggi, che ha anche prestato il proprio volto.

Dalla Francia, secondo dati Istat citati da Essere Animali, nel 2014 sono state esportate in Italia 33 tonnellate di foie gras, di cui il 59% d’oca e il 41% d’anatra, mentre il 59% di tutto il foie gras d’anatra importato in Italia viene dalla sola Francia, che a sua volta, con oltre il 70% rimane il maggior produttore mondiale.

La strage delle femmine 

L’inchiesta spiega cosa avviene dalla nascita dei pulcini fino alla macellazione degli adulti per l’estrazione del fegato. Dopo la nascita, le femmine, il cui fegato è considerato meno pregiato, vengono generalmente soppresse, con i pulcini tritati o soffocati in sacchi. Per la produzione del foie gras le più usate sono le anatre Mulard per la loro “naturale tendenza” ad “accumulare riserve di cibo”.

Il grande inganno

Negli allevamenti gli animali vengono in un primo momento allevati a terra dentro un capannone e spostati per circa 2 mesi in recinti all’esterno, questo quando il piumaggio diventa “più consistente”, “l’unica immagine” denuncia l’inchiesta “che l’industria del foie gras vorrebbe mostrare”. Subito dopo, infatti, gli animali vengono riportati nel capannone e rinchiusi in piccole gabbie individuali, come quelle documentate dall’inchiesta, vietate dalla legislazione comunitaria, con gli animali impossibilitati ad aprire le ali o a girare su se stessi.

Come t’ingozzo l’anatra

Nel capannone ha inizio l’alimentazione forzata. L’inchiesta ha documentato quella degli allevamenti francesi, con le anatre ingozzate 2 volte al giorno per 15 giorni con una razione di circa 500 gr di un pastone a base di mais cotto e acqua: “L’allevatore preme la gola degli animali per aprire il becco e inserire un tubo metallico di 30 cm direttamente nello stomaco, dove viene rilasciata in pochi secondi l’enorme quantità di cibo. Il massaggio eseguito dall’allevatore al momento dell’inserimento del tubo purtroppo non allevia le sofferenze degli animali, ma serve unicamente ad assicurare che tutta la porzione raggiunga lo stomaco. Durante l’intero processo ogni anatra può arrivare ad ingerire sino a 10 kg di mangime e il suo peso può aumentare anche di 3 kg”.

I danni dell’alimentazione forzata

L’alimentazione forzata causa infiammazione del fegato con conseguente lipidosi epatica. Ingrossando, il fegato risulta “gravemente compromesso” mentre “aumentando di volume” spiega l’inchiesta “preme sui polmoni, impedendo una corretta respirazione e rendendo doloroso qualsiasi movimento”. Gli altri danni, complice anche una pratica quotidiana pressante, sono quelli causati dal tubo di metallo che provoca lesioni alla gola e all’esofago, tanto che “molti animali non sopravvivono in queste condizioni e muoiono prima di essere trasportati al macello, per emorragie interne o infarto”.

Verso il mattatoio 

Dopo 15 giorni di alimentazione forzata, gli animali vengono portati al mattatoio, dove vengono appesi per le zampe. Vengono, quindi, storditi in acqua elettrificata, con il becco che viene spezzato per “agevolare” il taglio della carotide: “Alcune anatre” denuncia l’inchiesta “sembravano pienamente coscienti mentre morivano dissanguate”. Dopo il decesso, gli animali vengono spiumati, scottati e privati del fegato, che, “sottoposto a successive lavorazioni”, è pronto per il mercato, venduto come foie gras.

 

Abbiamo parlato di:

Fondation Brigitte Bardot Website Twitter Facebook Instagram LinkedIn

Parlamento Europeo Website Twitter Facebook Google+ Instagram Pinterest Flickr LinkedIn

Commissione Europea Website Twitter Facebook Google+ Instagram LinkedIn

Euro Foie Gras Website Twitter

Essere Animali Website Twitter Facebook Instagram

Stop foie gras Campagna

Promoviendo el Veganismo Facebook

FOIE GRAS, solo crudeltà  Video

 

 

 

 

31/01/2019