logo tiscali tv

L'alga tossica nel piatto

Lalga tossica nel piatto
di Stefania Elena Carnemolla

Leggi più veloce

Tappeti di pesci, crostacei, molluschi a cielo aperto. Siamo in Sud Africa, sulle spiagge di Città del Capo. La gente del luogo lo sa: andare sulla spiaggia con ceste e sacchi a raccogliere pesci, crostacei, molluschi è ormai un rito. Anche molti turisti s’avventurano, ignorando il pericolo. Nei ristoranti di Città del Capo pesci, crostacei e molluschi arrivano in pentola dalle spiagge della capitale sudafricana, raramente dal mercato ittico e anche il mercato ittico non è sempre cristallino, con quelle cassette che traboccano di ciò che, raccolto sulla spiaggia, viene venduto per prodotto certificato.

Perché sono pericolosi pesci, crostacei e molluschi di Città del Capo?

È una sera d’estate, ristorante di Città del Capo, dove i piatti a base di pesce profumano l’ambiente. Ecco una bella langoustine rossa dall’aspetto invitante. Un crostaceo mai mangiato prima. Poco dopo cena, i primi sintomi di malore con il blocco della digestione – tampona un digestivo –, quindi un fastidioso prurito. Un prurito diffuso e notte insonne: “Cuoio capelluto, inguine, ascelle, palmi delle mani, dita dei piedi”, ci racconta una viaggiatrice. “Stamattina avevo il viso gonfio, le orecchie a salsicciotto, il corpo pieno di ponfi rossi. Avevo poi strani brividi improvvisi e, cosa stranissima, il cuoio capelluto non aveva più sensibilità. Credo sia stata colpa di un crostaceo che non avevo mai mangiato. Il crostaceo era una langoustine, tipo piccola aragosta. Fortunatamente sto meglio. Gli sfoghi sono passati e non ho più prurito. La cosa più brutta è stata l’insensibilità del cuoio capelluto. Mai provata una sensazione simile. Veramente sgradevole”.

In Sud Africa casi come questi, con le tossine delle alghe killer che raggiungono l’uomo attraverso la catena alimentare, sono frequenti. Le carni di crostacei e molluschi sono, infatti, insensibili all’azione patogena delle tossine, ma se ingerite da pesci e uomo si trasformano in veleno. In Invaders from the Sea, documentario realizzato tempo fa da BBC Worlwide e dalla International Maritime Organization, agenzia Onu con sede a Londra, viene, ad esempio, riferita la vicenda di un abitante di Città del Capo sopravvissuto a un caso di intossicamento da molluschi in un’area a forte presenza di dinoflagellati tossici e di maree rosse. L’uomo racconta di aver raccolto dei frutti di mare e di averne consumato una certa quantità, ignaro del pericolo: i molluschi, in apparenza normali, avevano in realtà filtrato l’acqua contaminata dalle tossine algali. L’intervistato ricorda di aver avvertito stanchezza, disturbi gastroentestinali, progressiva perdita di sensibilità dei muscoli facciali e delle mani, tutti sintomi, questi, tipici del Paralytic Shellfish Poisoning, che, nelle sue forme più acute, può condurre al decesso.

Le sindromi da avvelenamento da molluschi – anche se le tossine possono contaminare anche i crostacei – causate da specie diverse di alghe e relative tossine (PSP, DSP, NSP, ASP) sono state classificate in paralitiche (Paralytic Shellfish Poisoning o PSP), diarroiche (Diarrethic Shellfish Poisoning o DSP), neurotossiche (Neurotoxic Shellfish Poisoning o NSP), amnesiche (Amnesic Shellfish Poisoning o ASP). 

Uno dei primi casi conosciuti di PSP risale al 1773, allorquando nella Columbia Britannica alcuni uomini dell’equipaggio di George Vancouver, dopo aver mangiato una partita di mitili contaminati, furono colpiti da paralisi e soffocamento. La gente del luogo riferì a Vancouver di considerare pericoloso il consumo di molluschi ogni qualvolta, di notte, si vedevano le maree diventare rosse. Colpa, s’è poi scoperto, delle fioriture del Pfiesteria piscicida, un dinoflagellato fosforoscente capace di emettere tossine letali anche in minime quantità. In Tasmania, anni fa, fu invece probabilmente il dinoflagellato Gymnodinium catenatum, importato dal Giappone con una nave trasportante sughero, a causare la chiusura degli stabilimenti per la lavorazione dei frutti di mare, dopo che questi erano stati infettati da acqua marina contaminata.

Fra le sindromi da avvelenamento da molluschi, la PSP è tra le più diffuse tanto da rappresentare ormai un problema di sanità pubblica oltre che economico. Se nei paesi industrializzati i programmi di controllo costituiscono, se applicati, un contenimento del rischio, vietando la commercializzazone di prodotti nei cui tessuti siano state riscontrate condizioni inaccettabili di tossine, non sono rari i casi in cui crostacei e molluschi non trattati raggiungono tavole e mercati, tranne che non vengano scoperti in tempo, come quel carico di molluschi giunti via nave dalla Cina e sequestrati in un porto italiano, ciò che impedì la loro immissione nel circuito commerciale. Il consumo di crostacei e molluschi non trattati, nonché di pesci infetti, è in molte zone del mondo una vera e propria piaga. In Sud Africa è ancora difficile da arginare, tanto da costringere tempo fa il Ministero per l’Ambiente e il Turismo a diffondere RED TIDE. Harmful Algal Blooms on the South African Coast, opuscolo sui rischi connessi al consumo di pesci, crostacei e molluschi raccolti sulle spiagge sudafricane. Una piaga che preoccupa anche l’Unesco, che ha ben pensato di varare il programma Harmful Algal Bloom Programme.

Altre ancora sono le tossine pericolose per l’uomo, come le ciguatossine e la maitossima, responsabili della Ciguatera Fish Poisoning, sindrome dovuta all’ingestione di pesci dei mari tropicali e subtropicali, normalmente considerati non velenosi. Responsabile della produzione dei due gruppi di tossine è il Gambierdiscus toxicus, un dinoflagellato bentonico di cui si nutrono i pesci erbivori, a loro volta preda di quelli carnivori. Questi finiscono con l’accumulare le tossine all’interno del loro organismo, con successiva trasmissione all’uomo. Tempo fa tracce di ciguatossina sono state, ad esempio, rinvenute in salmoni che erano stati alimentati con farine di pesci tropicali. Il termine ciguatera risale al XVIII secolo, quando ancora si credeva che la patologia fosse dovuta al consumo della Turbo livonica pica, un mollusco del genere Cittarium, la cigua, chiocciola, in cubano. Oggi, le specie ittiche coinvolte in questa forma di intossicazione sono più di cinquecento. La ciguatera si manifesta con vomito, diarrea, dolori addominali, disturbi neurologici e, in alcuni casi, con bradicardia o tachicardia. Quando non trattata, la comune sindrome gastroenterica si risolve nell’arco di ventiquattro o quarantotto ore, mentre i sintomi neurologici possono persistere per mesi.

Amore per l’esotico, sì, ma con prudenza. 

 

Per un approfondimento:

Harmful Algal Blooms in Southern Africa Website

Harmful Algal Bloom Programme Website

Invaders from the Sea Website

 

 

15/07/2015