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La stazione spaziale Tiangong I verso la Terra: occhio ai detriti tossici

La stazione spaziale Tiangong I verso la Terra occhio ai detriti tossici
di Stefania Elena Carnemolla

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Da fine marzo ai primi di aprile tutti a scrutare il cielo per catturare Tiangong 1, la stazione spaziale cinese lanciata il 30 settembre 2011 dal centro spaziale di Jiuquan, nel deserto del Gobi, e che due anni fa ha iniziato la discesa incontrollata – il rientro sarebbe dovuto avvenire nell’Oceano Pacifico – verso la Terra.

Tiangong I – Tiangong in cinese mandarino vuole dire Palazzo Celeste – era stata progettata come laboratorio e stazione sperimentale per l’attracco di navette Shenzou. Il suo modulo pesa circa 7600 kg, è lungo 10,5 metri, ha un diametro massimo di 3,4 metri ed è provvisto di due ali solari. Come spiega la Protezione Civile, coinvolta nel monitoraggio dovuto alla sua discesa, al lancio la massa complessiva era di 8500 kg, incluso il propellente. Questa massa si è progressivamente ridotta perché “la vita operativa inizialmente pianificata in due anni è stata ampiamente superata” e anche perché una grande quantità di carburante è stata consumata per “sostenere l’orbita e le condizioni di abitabilità all’interno del modulo”. Si pensa, inoltre, che il “propellente residuo” che sarebbe dovuto servire per il “previsto rientro controllato nell’Oceano Pacifico” si trovi “ancora a bordo”.

Dove cadranno gli eventuali frammenti che dovessero resistere all’attrito con l’atmosfera? Si parla della zona compresa fra i -44°S e i +44°N di latitudine: “L’area è molto ampia” spiega la Protezione Civile “e costituita in gran parte da oceani e deserti, ma il raggio di impatto include anche zone di Stati Uniti, Brasile, India, Cina e l’Italia”. La parte d’Italia interessata è stata individuata con quella centro-meridionale, dall’Emilia-Romagna verso il sud.

“Questo modulo dell’ Agenzia Spaziale della Repubblica Popolare Cinese spiega, dal canto suo, l’ingegnere Claudio Portelli, responsabile dell’ Agenzia Spaziale Italiana per lo studio dei detriti spaziali e il controllo degli asteroidi “è l'oggetto più tracciato dagli organi di sorveglianza dello spazio: la massa dell’oggetto desta un po’ di attenzione. Inoltre al suo interno sono stipati anche elementi che difficilmente possono bruciare”. L’ingegner Portelli spiega anche che il 66% dei detriti che non “bruciano in cielo” di solito cadono in acqua e che il 34% può cadere sulla superficie terrestre. Quello dei detriti spaziali è un problema molto sentito: nell’ambito di Clean Space, ad esempio, l’ ESA, l’agenzia spaziale europea, ha sviluppato il progetto e.Deorbit con l’utilizzo di un veicolo spaziale che può operare tra gli 800 e i 1000 km di altezza e capace, spiega l’Agenzia Spaziale Italiana, di “catturare satelliti in disuso per poi farli precipitare in modo controllato e in tutta sicurezza nell’atmosfera”.

L’Agenzia Spaziale Italiana è coinvolta con la Protezione Civile nel monitoraggio della stazione cinese, che tiene sotto controllo attraverso radar e telescopi, da qui il ruolo del Centro di Geodesia Spaziale di Matera. Presenti al tavolo tecnico di sorveglianza anche ENAC, ENAV e il Ministero della Difesa. L’ingegner Portelli pensa che l’Italia potrebbe non essere interessata dalla caduta dei detriti, senza per questo nascondere l’importanza del monitoraggio: “Ci sono così tanti radar di sorveglianza per cui è in piedi un meccanismo ben rodato con la Protezione Civile e con altri attori come la Difesa nazionale, e il contributo di altri paesi europei. Ci sono scarsissime possibilità che il nostro territorio venga coinvolto. I radar comunque stanno seguendo, istante per istante, l’evoluzione del rientro del satellite cinese”.

La Protezione Civile, nel frattempo, ha stilato per precauzione un decalogo comportamentale con norme di autoprotezione. Nonostante sia poco probabile che i frammenti possano causare il crollo di edifici, considerati comunque più sicuri rispetto ai luoghi aperti, il decalogo consiglia di stare comunque lontani da finestre e porte vetrate. In caso di impatto con gli edifici, i detriti potrebbero perforare tetti e solai sottostanti, costituendo, così, un pericolo per le persone: “non disponendo di informazioni precise sulla vulnerabilità delle singole strutture” così, il decalogo “si può affermare che sono più sicuri i piani più bassi degli edifici”. All’interno degli edifici i “posti strutturalmente più sicuri” in caso di impatto sono, per quelli in muratura, “sotto le volte dei piani inferiori” e “nei vani delle porte inserite nei muri portanti”, quelli, cioè, “più spessi” e, per quelli in cemento armato, “in vicinanza delle colonne e, comuque, in vicinanza delle pareti”.

Se è poco probabile che “i frammenti più piccoli siano visibili da terra prima dell’impatto”, quelli di grandi dimensioni potrebbero, al contrario, sopravvivere all’impatto e contenere idrazina, composto dell’azoto dal potere corrosivo, tossico e cancerogeno e che a temperatura ambiente si presenta come un liquido incolore e dall’odore pungente: la Protezione Civile raccomanda pertanto a chiunque avvisti un frammento di non toccarlo, di mantenersi ad una distanza di almeno 20 metri e di segnalarlo immediatamente alle autorità competenti.

 

Abbiamo parlato di:

Dipartimento della Protezione Civile Website Facebook Instagram

China National Space Administration Website

Agenzia Spaziale Italiana  Website Twitter Facebook Google+

Clean Space Website Twitter

European Space Agency  Website Twitter Facebook Google+ Instagram Flickr

e.Deorbit Scheda

Centro di Geodesia Spaziale – Matera Scheda

ENAC Website

ENAV Website Twitter Instagram

Ministero della Difesa Website Twitter Facebook Instagram

27/03/2018