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Luci sul Giglio: la Costa Concordia è a Genova ma i problemi da risolvere sono ancora tanti

Luci sul Giglio la Costa Concordia è a Genova ma i problemi da risolvere sono ancora tanti
di La nuova ecologia

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Giaceva come una spina sul fianco dell’isola. Da fine luglio, dopo due anni e mezzo di coabitazione forzata, il relitto è nel porto di Genova in attesa di essere rottamato. Ma con i fari puntati sul capoluogo ligure, e sul processo a Schettino, il rischio ora è di lasciare in ombra proprio il Giglio, dov’è ancora tantissimo il lavoro da fare per liberarsi dall’immagine del disastro, far ripartire l’economia e soprattutto ripristinare i fondali danneggiati dalla Costa Concordia. A tenere banco e a dividere opinione pubblica e addetti ai lavori, ma anche ambientalisti e istituzioni, sono le sei piattaforme subacquee d’acciaio piazzate a 30 metri di profondità: il piedistallo su cui in fase di parbuckling il transatlantico è stato fatto ruotare. Prima nessuno le voleva più, se ne chiedeva a gran voce la rimozione con un appello a Costa Crociere affinché non se ne dimenticasse. Poi fra i gigliesi s’è fatta strada la convinzione che rimuoverle farebbe più danni che lasciarle dove sono. E che trasformarle in un sito di immersione per il diving potrebbe essere una straordinaria occasione di rilancio turistico. Per difenderle sull’isola s’è formato un comitato, si sono raccolte firme sul web. Per incoraggiare un movimento di opinione favorevole a questo scopo è addirittura nata a Ravenna l’Associazione nazionale memoriale della Concordia, formata da un gruppo di sommozzatori professionisti. Ma andiamo con ordine.

Forse si, forse no. È il 21 agosto quando i consiglieri di minoranza di Progetto Giglio, seguiti da quelli di Orgoglio Gigliese che governano l’isola, chiedono in Consiglio comunale di non smantellare le piattaforme. Alla mozione, approvata con un solo astenuto, viene aggiunto un emendamento voluto dal sindaco Sergio Ortelli: «Lo stesso sindaco non ha mai negato il valore delle medesime piattaforme quale occasione di rilancio turistico fermo restando e puntualizzando che nella loro gestione non si pongano limitazioni o interdizioni alla balneazione o alle attività diportistiche». Insomma, restino pure dove sono senza che questo comporti ulteriori intrusioni per la fruizione di quello specchio di mare. Solo quattro giorni prima, il 17 agosto, Ortelli era ospite di Festambiente, la kermesse estiva che Legambiente organizza a Rispescia (Gr), e nel corso del dibattitto Costa Concordia: è terminato l’incubo, pensiamo al futuro del Giglio nulla lasciava immaginare quello che sarebbe successo pochi giorni dopo. A settembre Nuova Ecologia è allora andata a trovarlo per chiedergli di chiarire la sua posizione in merito. Anche nella Conferenza dei servizi del 25 giugno, l’ultima, il ministero dell’Ambiente si era espresso sulla fase WP9, quella di ripristino, insistendo sulla completa bonifica del fondale. «Orgoglio gigliese è maggioranza e deve attenersi agli atti – spiega Ortelli – ma non può non considerare che una parte dei cittadini promuove l’utilizzo delle piattaforme. L’attività di diving crea certamente indotto, ma è anche vero che al Giglio non ci sono soltanto le immersioni. E Campese e Castello (due frazioni dell’isola, l’altra è Porto, nda) delle piattaforme beneficerebbero meno. Non mi oppongo mai per partito preso, saper ascoltare è il mio più grande pregio e voglio capire i pro e i contro di una scelta del genere, anche se nel profondo del cuore resto convinto che dovrebbe essere rimosso tutto. Prima di capire la sorte delle piattaforme ci vorranno comunque mesi – continua il sindaco – Ancora deve essere affidata la gara per la bonifica. Nel caso l’appalto dovrebbe essere modificato in corsa. Se dovessi decidere io toglierei tutto ma è una decisione così importante per il futuro del Giglio... ». Nel corso dell’intervista Ortelli non nasconde la rabbia per la scelta di rimuovere la nave a luglio, nel cuore della stagione estiva. «Non si capisce come mai Costa abbia fermato i lavori a novembre 2013 per riprenderli il 20 aprile 2014, sette mesi di fermo. Per il mare mosso? Non è così, è stato un inverno particolarmente buono. Forse hanno voluto aspettare Genova (per la rottamazione del relitto era in corsa anche Piombino, nda). Non sono stupido, capisco le logiche delle lobby e degli interessi commerciali, ma qui ci hanno guadagnato tutti meno che il Giglio».

Piattaforme cercasi. Il 14 luglio il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, l’aveva detto a chiare lettere: «Abbiamo ipotizzato fin dall’inizio di ripristinare il Giglio com’era prima: prima le piattaforme non c’erano e dopo non ci devono essere». Il punto è che negli ultimi documenti presentati dalla compagnia Costa della rimozione di quel gigantesco letto d’acciaio e cemento, che per trentuno mesi ha retto il relitto, sembra essersi persa ogni traccia. Ad aiutarci a capire di che cosa parliamo è la relazione finale sullo stato dei fondali nell’area del cantiere, presentata a metà ottobre dall’università La Sapienza di Roma all’Osservatorio di monitoraggio. Le foto, che il sito del Tirreno ha pubblicato in esclusiva, sono impietose e mostrano parti della nave, valigie, sedili, sedimenti fini sulla posidonia. E una grossa crosta di cemento, come una cicatrice. Le mappe contenute nella relazione, a firma del professor Ardizzone e del dottor Belluscio, indicano invece la distribuzione dei detriti: “23.486 metri quadri di spazzatura concentrata a nord e a sud della Punta della Gabbianara (dov’è rimasta appoggiata la Concordia dal momento del naufragio al raddrizzamento, nda) fino a una profondità di 90 metri, con la maggiore concentrazione tra i 45 e i 60”. Tradotto significa che le operazioni di bonifica saranno più complesse del previsto perché in parte andranno effettuate dai sommozzatori con tecniche di saturazione. Un altro problema è legato alla dimensione degli oggetti, sia molto grandi che molto piccoli, dai pezzi dei finestroni ai frammenti di vetro inferiori al centimetro. L’effetto della presenza di questi oggetti sui fondi duri è particolarmente pesante “poiché vanno a ricoprire le comunità animali soffocando le specie presenti, impedendone l’alimentazione e la crescita”. Sono inoltre presenti i 1.380 sacchi di malta cementizia messi sul fondale per garantire stabilità alla nave, “in parte integri e in parte rotti a causa del peso e delle pressioni esercitate dalla chiglia della Concordia durante il ribaltamento e la permanenza sul sito”. A questo quadro si aggiungono le sei piattaforme, che messe in fila avrebbero una lunghezza equivalente a una volta e mezzo quella di un campo di calcio. In un secondo documento, ancora a firma del dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, si parla dei criteri di ripristino dell’ambiente. Ma nel progetto sembra sparito ogni accenno alla rimozione delle piattaforme pubblicamente promessa dal ministro e dallo stesso armatore.

Obiettivo, aprile 2016 Ma chi si occuperà della bonifica, e in che tempi? Le due ordinanze che dichiarano la fine dello stato di emergenza al Giglio, firmate dall’ex commissario e capo della Protezione civile Franco Gabrielli, vengono pubblicate il 18 settembre in Gazzetta ufficiale: la Regione Liguria è responsabile dello smantellamento del relitto, la Regione Toscana del ripristino ambientale dell’isola; “i costi sono integralmente a carico della società Costa Crociere”, monitoraggio quinquennale delle acque incluso. Il 2 ottobre – dopo un incontro a Firenze col sindaco Ortelli, i rappresentanti di Costa Crociere, quelli del Club degli assicuratori e l’Osservatorio curato dall’università La Sapienza – il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, in qualità di coordinatore per le attività di recupero ambientale, parla di «un piano articolato in quattro fasi: la rimozione dei materiali depositati sui fondali, il recupero dei sacchi di cemento cui seguirà la rimozione della piattaforme metalliche, infine la pulizia dei sedimenti depositati sul fondale. I lavori saranno affidati al più presto e si concluderanno nel giro di un anno e mezzo». Entro aprile 2016 insomma, staremo a vedere. Intanto l’appalto, stimato in 100 milioni di euro, sarebbe dovuto essere affidato entro fine luglio, termine poi slittato al 20 settembre. Ma al momento di scrivere del capitolato della gara per questi lavori non si sa ancora nulla. Due dovrebbero essere i contendenti rimasti in gioco: un’associazione fra Castalia, Neri e Saipem (gruppo Eni), che fa parte anche della cordata che si sta occupando dello smantellamento della Concordia, e il consorzio italo-americano Titan Micoperi, che ha già gestito raddrizzamento, rigalleggiamento e rimozione del relitto.

Danni incalcolabili. Tutto questo sarà finanziariamente a carico di Costa Crociere. E qui per inciso bisogna ricordare che nel processo civile in corso a Grosseto alla compagnia di navigazione il Comune Isola del Giglio ha chiesto danni per 80 milioni di euro, 37 invece quelli richiesti dallo Stato italiano tramite l’Avvocatura. Ad aprile 2013 il gup Molino ha inoltre accolto anche la costituzione di parte civile della stessa Costa, che chiede al responsabile dell’incidente (Schettino o chi per lui lo stabilirà il Tribunale) il risarcimento dei “danni incalcolabili” causati dall’affondamento della nave. Eppure, a maggio 2012, le assicurazioni hanno risarcito Carnival (il colosso mondiale cui fa capo Costa Crociere) staccando un assegno da 383 milioni di euro. Richieste di danni a parte, il presidente Rossi ha annunciato che per il Giglio si aggiungerà anche un impegno diretto della Regione: «Stiamo pensando non solo a iniziative di rilancio della vocazione turistica dell’isola e di promozione della qualità dell’offerta, ma anche al sostegno alla viticoltura attraverso reimpianti di vitigni autoctoni e allo sviluppo della telemedicina per favorire l’attività sanitaria degli operatori. Sarebbe infine significativo, e anche attrattivo, fare del Giglio un’isolacarbon-free, sostituendo l’attuale centrale elettrica a gasolio con la produzione di energia rinnovabile, a zero emissioni di CO2». Per l’Associazione nazionale memoriale della Concordia, «stanno cercando di comprarsi L’amministrazione del Giglio, la comunità dell’isola e gli ambientalisti inconsapevoli delle realtà sottomarine». Si tratterebbe di false promesse per questioni già previste dagli obiettivi energetici e ambientali indicati dall’Ue per il 2020, «che qualcuno sta cercando invece di barattare con la demolizione del Memoriale (leggi: piattaforme, nda) con tutti i danni economici e ambientali conseguenti».

Ripartire dal disastro. Quello della memoria è un tema caro anche a Greenpeace. Ad agosto, in una lettera aperta al ministro Galletti, l’organizzazione ambientalista scrive che «per onorare la memoria delle vittime abbiamo proposto di istituire un Parco della Concordia, che rappresenterebbe l’occasione per sviluppare attività economiche, come il turismo subacqueo, in grado di compensare l’isola e i suoi abitanti del danno subito ». Un’apertura, insomma, alla permanenza delle piattaforme: «Per evitare che un’area già duramente colpita subisca ulteriori danni occorre vigilare affinché le operazioni di rimozione del cantiere garantiscano prima di tutto la bonifica dei fondali e quindi le migliori condizioni per il ripristino ambientale. In tale contesto, riteniamo che non sia da scartare a priori la possibilità che la permanenza di una minima parte delle strutture del cantiere possa essere più utile della totale rimozione ai fini di un più rapido ripristino dell’habitat danneggiato dal naufragio e dal cantiere». La pensa diversamente Legambiente, che insieme a Greenpeace ha seguito tutta la partita del trasferimento del relitto dal Giglio a Genova. «Tutto dovrà tornare com’era prima del naufragio – dice Stefano Ciafani, vicepresidente dell’associazione – Bisogna liberare i fondali, ripulire tutto. Ripristinare il più possibile. È inconcepibile che un disastro possa diventare un monumento da osservare, un’attrazione per turisti. È stato cancellato un ambiente integro che ospitava una prateria di posidonia, una popolazione di pinna nobilis e una ricca fauna ittica a pochi metri dal porto. Ancora aspettiamo la presentazione da parte di Costa del piano di ripristino vero e proprio per rimuovere, con un intervento ambientale di altissimo livello tecnico e scientifico, tutti i possibili residui di cantiere e di lavorazione presenti sul fondo del mare». Legambiente rilancia inoltre la proposta di istituire subito quell’Area marina protetta dell’Arcipelago Toscano prevista da una legge del 1982, dalla legge quadro sui parchi del ‘91 e dalle sue successive modifiche, ma anche da accordi europei e internazionali che il nostro paese ha sottoscritto. «Si potrebbe partire dai luoghi del disastro, le Scole (gli scogli a pochi metri dall’isola dove urtò la Concordia, nda) e la Gabbianara, per costituire il nucleo di un’Area marina protetta che di fatto già esiste a Gorgona, Capraia, Pianosa, Montecristo e Giannutri – riprende Ciafani – E che i localismi hanno impedito di realizzare anche all’Elba e al Giglio, lasciando al Parco nazionale il compito di gestire solo i vincoli».

13/11/2014