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Nei ghiacciai alpini sostanze radioattive provenienti da test e incidenti nucleari

Nei ghiacciai alpini sostanze radioattive provenienti da test e incidenti nucleari
di Stefania Elena Carnemolla

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Mentre il mondo s’interroga sull’epilogo delle schermaglie tra Stati Uniti e Corea del Nord, Morteratsch, un ghiacciaio delle Alpi Svizzere, ha svelato l’ennesimo scenario sul destino delle sostanze radioattive prodotte da test e incidenti nucleari. Sostanze come cesio-137, americio-241 e bismuto-207 che i ghiacci alpini hanno custodito per decenni.

La scoperta è dei ricercatori italiani dell’ Università di Milano-Bicocca, dell’ Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell’ Università di Genova e del Laboratorio Energia Nucleare Applicata dell’Università di Pavia. Lo studio, Cryoconite as a temporary sink for anthropogenic species stored in glaciers, è stato pubblicato su Scientific Reports e ha preso in esame le crioconiti, sedimenti scuri, risultato dell’interazione fra materiale di origine minerale e sostanza organica, presenti nelle regioni dei ghiacciai soggetti alla fusione, che contribuiscono ad accelerare. Osservandole, i ricercatori hanno scoperto che si comportano come delle spugne capaci di assorbire impurità presenti nel ghiaccio o nella neve come sostanze radioattive e metalli pesanti. Oltre al cesio-137, americio-241 e bismuto-207, i ricercatori italiani hanno, infatti, rinvenuto torio, uranio, potassio, zinco, arsenico e mercurio.

La ricerca si è avvalsa della spettroscopia gamma per l’analisi dei radionuclidi naturali ed antropici, dell’attivazione neutronica per la determinazione della composizione elementare, quindi di una tecnica termo-ottica per la misurazione del contenuto di carbonio organico ed elementare. Con questi risultati: una concentrazione di inquinanti molto più alta rispetto a quanto si osserva normalmente nel ghiaccio e nell’acqua di fusione.

I ricercatori hanno formulato alcune ipotesi per spiegare la presenza di tale sostanze, correlando le concentrazioni di metalli pesanti a trasporti ed attività industriali: “La regione alpina” spiegano “si conferma un’area critica e fragile dal punto di vista ambientale, essendo circondata da alcuni tra i distretti più densamente popolati e industrializzati del pianeta, e rappresenta un banco di prova ideale per studiare l’impatto delle attività umane sui ghiacciai e sugli ambienti d’alta quota in generale”.

Le sostanze radioattive ritrovate sono, invece, di due tipi: di origine naturale, come il torio, l’uranio e il potassio e di origine antropica, come il cesio-137, l’americio-241 e il bismuto-207.

Il cesio-137, rinvenuto in grande quantità, è tradizionalmente associato a Chernobyl, Fukushima, nonchè ai test nucleari degli anni Cinquanta e Sessanta. La sua presenza sui ghiacciai alpini si spiega con la capacità delle sostanze radioattive di viaggiare con le correnti atmosferiche, percorrendo anche migliaia di chilometri, tanto che potrebbe essere il risultato dell’esplosione della Tsar Bomba o RDS-220, nome in codice Big Ivan, la bomba all’idrogeno sovietica fatta detonare nel 1961 a Novaja Zemlja, il bismuto-207 ritrovato sul ghiacciaio.

Una bomba, originariamente progettata di 100 megatoni, quindi ridotti a 50 e anche con i suoi 50 megatoni molto più potente di Little Boy, nome in codice della Mk.1, la bomba di 15 kilotoni sganciata dagli statunitensi su Hiroshima il 6 agosto del 1945; dei 15 megatoni di Castle Bravo, nome in codice del test nucleare che gli Stati Uniti effettuarono nel marzo del 1954 nell’atollo di Bikini; dei 25 megatoni della B-41, bomba termonucleare costruita in serie dagli Stati Uniti negli anni Sessanta.

La Tsar Bomba, la più potente bomba all’idrogeno mai sperimentata è, spiegano a Milano-Bicocca, “la principale indiziata per la presenza di bismuto-207 nella regione artica ed europea”. Voluta da Nikita Khruščёv, la bomba, di cui oggi esiste una replica nel Museo Atomico Russo di Sarov, fu caricata su un Tupolev Tu-95 e sganciata nella baia di Mitjušicha, sull'isola di Novaja Zemlja a nord del Circolo Polare Artico, con le radiazioni che ionizzarono l’aria, interrompendo per quasi un’ora le comunicazioni radio e con l’esplosione che generò un’onda sismica che “fece tre volte il giro della Terra”.

Dal test nucleare sovietico sono ormai trascorsi cinquantasei anni, con i ghiacciai alpini che, complici i cambiamenti climatici, sciogliendosi restituiranno, rilasciandolo nell’ambiente, ciò ch’era rimasto intrappolato per decenni.

 

Abbiamo parlato di:

Università degli Studi di Milano-Bicocca Website Twitter Facebook Google+ LinkedIn

Istituto Nazionale di Fisca Nucleare Website Facebook

Università degli Studi di Genova Website Twitter Facebook

Laboratorio Energia Nucleare Applicata – Pavia Website

Cryoconite as a temporary sink for anthropogenic species stored in glaciers Studio

Tsar Bomba Video

01/09/2017