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Riconversione alle rinnovabili, carbon tax e politiche di sviluppo. Parla l’economista statunitense Jeffrey Sachs

di La nuova ecologia

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Il New York Times ha definito Jeffrey Sachs come 'probabilmente il più importante economista al mondo'. La Nuova Ecologia l'ha incontrato a margine della prima 'Conferenza perla ricerca di soluzioni sostenibili da applicare alla regione mediterranea ' che l'Università di Siena ha organizzato nel luglio scorso presso la Certosa di Pontignano.

Direttore dell'Earth institute alla Columbia University, Sachs è uno dei rappresentanti della segreteria generale Onu dedicata agli obiettivi del millennio (Un Mdg). Nel suo ultimo libro, The price of civilization, esprime la necessità che i paesi economicamente avanzati finanzino gli strumenti per la sopravvivenza delle popolazioni interessate dal progetto delle Nazioni unite e che smettano di eludere il pagamento delle tasse, il 'prezzo della civilizzazione' appunto. Secondo Sachs d'altro canto ci sono azioni che il mercato può realizzare, altre no: la promozione della ricerca, dello sviluppo di base e della difesa ambientale. Con queste premesse abbiamo cercato di capire che tipo di cambiamento Sachs auspichi per porre le basi di uno sviluppo sostenibile non solo nella regione mediterranea.

D. Recentemente sul Financial Times ha definito la scelta dell'amministrazione Obama di finanziare guerre come quella afgana e irachena uno spreco di risorse. Come si possono investire meglio quei soldi?

R. In molti modi. Sono preoccupato per l'attività militare in molte altre regioni come il Corno d'Africa o lo Yemen. In questi luoghi, dove ci sono già problemi economici, le guerre portano instabilità sociale. Non penso che l'approccio militare possa assicurare il raggiungimento della sicurezza per un paese. Gli alti costi militari sono spesso destinati a distruggere e ricostruire, credo invece che ci sia bisogno di riorientare significativamente le politiche e di ricominciare a parlare di sviluppo.

D. Lei pone molta attenzione alle responsabilità umane nei cambiamenti climatici che stanno influenzando emettendo a rischio l'economia e il nostro stesso futuro. Ma si può mantenere un elevato stile di vita tagliando le emissioni?

R. La chiave sta nel produrre elettricità in modo diverso. L'energia, che oggi dipende per l'80% da combustibili fossili, dovrebbe essere basata sulle rinnovabili. Applicando le migliori tecnologie disponibili ad approcci creativi è possibile risolvere problemi energetici in modo innovativo, e assicurare un'ottima qualità della vita. L'utilizzo dell'energia diventerebbe molto più flessibile, efficiente e sicuro, anche grazie al supporto dell'information technology.  Abbiamo perciò bisogno di investire in ricerca, formare scienziati e ingegneri. Un altro aspetto importante sono le tasse sulle emissioni di CO2 a livello mondiale, ne abbiamo assolutamente bisogno.

D. Per l'area del Mediterraneo bisogna puntare su progetti ambiziosi per produrre energia da rinnovabili come Desertec, ormai tramontato, oppure creare una smart grid di impianti locali ridimensionati?

R. Credo che entrambe le esperienze siano importanti. Da qui ai prossimi cinquant'anni, nel Mediterraneo come altrove, dobbiamo creare un sistema tecnologico completamente diverso, abbiamo perciò bisogno di definire una sorta di piano d'azione. Dobbiamo cominciare da subito con iniziative significative e lasciare la porta aperta all'innovazione, alle sperimentazioni locali e contemporaneamente guidare le esperienze e trasmetterle in altri luoghi della Terra.

D. Che cosa si aspetta dal Forum per le innovazioni sostenibili del prossimo novembre a Cracovia?

R. Una delle ragioni per cui ho promosso questa conferenza sulle soluzioni sostenibili è che finora i processi e le trattative a livello mondiale sono stati lenti e impacciati, senza che si sia raggiunto un cambiamento di direzione sulle energie. Abbiamo bisogno di iniziative pratiche.

D. Che cosa pensa invece dei movimenti ambientalisti, come quelli che hanno animato il Global power shift di Istanbul?

R. Le giovani generazioni sono molto più sintonizzate e impegnate nel trattare quelli che sono 'i temi'. Le altre persone non riescono realmente a concentrarsi, a comprendere, forse hanno un pregiudizio in merito. I giovani sanno invece che si sta parlando del loro futuro, del loro mondo...E che la mobilitazione, in ogni parte del mondo, debba partire da loro. Ripongo una grande speranza nei giovani, come nelle università.



06/09/2013