Alessandro Gassmann e quella “n” aggiunta al cognome. Oggi spiega perché l’ha fatto e il rapporto col padre Vittorio

L'attore parla del suo rapporto con il figlio Leo e di quello con il padre Vittorio Gassman spiegando il motivo della modifica del suo cognome

di Massimiliano Lussana

Per l’anteprima della quarta edizione di “Genova Reloaded”, il festival genovese diretto da Giorgio Viaro e Alessandro Giacobbe in programma dal 15 al 19 giugno, Alessandro Gassmann è l’ospite perfetto. Perché è l’unico festival cinematografico in cui al posto della giuria vota il pubblico e in particolare i ragazzi; perché fra le sedi delle proiezioni c’è il “Circuito al mare” con le sedie a sdraio davanti al mare di Sturla, anche in questo caso una location molto particolare, e perché attori e registi fanno a gara a venire: dopo Elio Germano e Zerocalcare – che è un ospite fisso e tornerà anche quest’anno – l’edizione 2023 avrà anche Pierfrancesco Favino a presentare il suo film. A salutare Alessandro ci sono anche Pivio e Aldo De Scalzi, autori di straordinarie colonne sonore e ospiti quasi fissi dei David di Donatello, e Francesca Savino, docente di critica cinematografica elegantissima nel suo abitino nero, spettacolo nello spettacolo.

Insomma, in questo contesto Gassmann ci sta come il cacio sui maccheroni (metafora perfetta, torneremo sul formaggio) con la sua doppia enne, come ha raccontato al “Corriere della sera” intervistato da Aldo Cazzullo: “Mi sono aggiunto una enne alla fine: ora sul passaporto sono Alessandro Gassmann. Non per recidere il legame con mio padre, che è sempre stato fortissimo. Ma per recuperare la storia familiare. Noi siamo ebrei. Io a metà, mio padre per intero. Nel 1934 la nonna, che era rimasta vedova con due figli e intuiva la bufera che incombeva, tolse la "enne" al cognome dei figli e cambiò il suo da Ambroon ad Ambrosi. Mio padre Vittorio aveva tutte le caratteristiche che si attribuiscono agli ebrei, compresa la parsimonia: uomo generosissimo — non gli ho mai visto lasciar pagare un pranzo o una cena al suo commensale —, in casa spegneva di continuo le luci, staccava l’interruttore centrale, svitava le lampadine. Era ossessionato dal consumo elettrico. Aveva il senso della provvisorietà delle cose, della caducità della vita. Anche l’ultima cosa che mi disse fu: "Spengi la luce".”.

E questo racconto ci porta in tasselli della sua vita che Alessandro racconta presentando il suo libro “Io e i #Green Heroes” (Piemme editore), per il quale si pianterà un albero per ogni copia venduta.

Alessandro e mamma Juliette Mayniel

“Lei nell’animo è sempre stata legata alla terra, figlia di una famiglia che veniva da una zona della Francia dove c’erano solo menhir e si mangiava solo formaggio che, insomma, tanto bene non fa. Poi ha fatto l’attrice, ma non sopportava la gente di cinema. E’ una pittrice, un’intellettuale, un po’ fuori dalle righe. Ad esempio, quando arrivò a Roma lo storico musical “Hair”, lei fu fra le donne che si spogliarono nude sul palcoscenico avvolgendosi nelle bandiere americane. Oppure, ricordo quando all’Argentario un giardiniere eradicò la sua piantagione di marijuana per farci delle corde, per lei fu un dramma. Poi andammo in una specie di baracca a San Casciano dei Bagni, perché a lei bastava solo ciò che serviva per essere contadina. E anche io mi ricordo che verso i 9-10 anni ci fu un incendio e gli animali scapparono nel bosco, io li sentivo come miei parenti. Ed è per questo che anche oggi che sono un signore di mezza età sono rimasto un contadino. E raccontare la mamma serve a capire perché sono così, di chi sono figlio”.

Alessandro e papà Vittorio Gassman

Con lui avevo un rapporto molto fisico. Lui era un raffinato grecista, io una capra assoluta a scuola e falsificavo le pagelle trasformando i 3 in 8 e i 4 in 7. Quando entravo in casa lui stava nella stanza in fondo, la più buia, e diceva: “Sei tornato? Hai portato la pagella?” (e imita alla perfezione la voce ndr) e io mi ero già portato avanti…. Fino a 14 anni, del resto, sono stato con mia mamma che, quando le dicevo che un giorno non sarei andato a scuola, mi incoraggiava: “Fai benissimo, ma che ti frega?”. Quando invertirono i giorni di affidamento e stavo con papà durante la settimana e con lei nel week-end mi andò peggio”.

“Di papà ricordo quando si andava in tournèe e ogni albergo gli riservava la suite imperiale e lui invece chiedeva una stanza “sul retro, senza vista”, facendo arrabbiare ogni volta sua moglie. Oggi ho imparato ad amare tutto di lui, come sempre accade quando amiamo anche ciò che detestavamo dei nostri genitori e in cui invece siamo simili a loro. E’ una gioia aver avuto un padre simpatico, figo, oggi sarebbe molto vecchio, avrebbe 101 anni, ma non so se gli sarebbe piaciuta l’Italia di oggi, a lui, Pasolini, Moravia, Dino Risi… Oggi sarebbero stati molto utili”.

Alessandro e suo figlio Leo

“Oggi con lui sono molto severo, lo amo moltissimo e la paternità mi ha cambiato, ha acceso la mia sensibilità. Credo che la sua sia una generazione straordinaria, bellissima, molto meglio della nostra, sono più informati e sanno tutto. Io venivo dagli anni Ottanta dove c’erano i paninari, avevamo macchine, avevamo tutto, l’Italia era la sesta potenza economica al mondo. Questi ragazzi invece sono alle prese con i cambiamenti climatici, la guerra, il Covid, le paure…”.

Alessandro e il suo amico “Gimbo”, Gianmarco Tognazzi

Anche se ci sentiamo poco, siamo amicissimi e anni fa abbiamo fatto film bruttissimi di successo. Un capolavoro trash, che piacque moltissimo a Walter Veltroni fu “Teste di cocco”, che me lo disse un giorno e capivo che era talmente orrendo che gli piaceva davvero. Eppure aveva due sceneggiatori doc come Benvenuti e De Bernardi, lo girammo in due mesi nel Borneo malese dove piove sempre e vivono 80mila persone in una superficie che è quattro volte l’Italia. Gimbo ha paura di ragni, serpenti, se c’è un geco in camera non può far l’amore, ma non chiedetemi ulteriori particolari. Un giorno c’era una guardia del corpo armata per proteggerci dagli oranghi maschi, ma fortunatamente incontrammo solo oranghe femmine. Schivato questo rischio, Gimbo si mise a chiamare scimmiette per dare loro pane. Erano gibboni, animali dai canini più affilati esistenti in natura, e lo inseguirono in cento, tanto che dovette scappare in acqua. Ma era già mezzo pelato e gli avevano messo una parrucca tenuta da tante mollettine. Le ragazze della troupe, tutte romane, gli urlarono: “A Gianmà, salva ‘a parrucca, c’avemo solo questa”. Quindi mi porto l’immagine di lui che affonda con una mano che tiene la parrucca fuori dall’acqua e i gibboni sulla spiaggia”.

Alessandro e Ferzan Ozpetek

“E’ merito suo e della parte ne “Il bagno turco”, film che ha avuto enorme successo, se è cambiata incredibilmente la mia carriera. Prima di me quella parte era stata rifiutata da altri due attori di cui non farò il nome. Uno era Kim Rossi Stuart che in questa circostanza se l’è andata a prendere in saccoccia”.

Alessandro e Gigi Proietti – Era uno dei migliori amici di papà e con lui girai un road movie, “Il premio”, che si concludeva a Stoccolma. Lui ci fece il classico del “Cavaliere nero”, Rocco Papaleo suonava la chitarra e la sua moglie svedese Sagitta ci portò a mangiare un piatto tipico che era la zuppa di renna. Lui me la presentò così: “Sai de che sa? De sto giubbotto de renna”. La bevvi convinto di sorseggiare un giubbotto liquido”.

Alessandro e l’impegno civile

 “Con la nascita di mio figlio il mio futuro si è allungato oltre la mia vita, anche alla sua, e sento un dovere impegnarmi per il futuro del pianeta sfruttando la mia popolarità per divulgare un messaggio positivo. Nel libro parlo anche di tutto questo e ci ho messo anche un QR code, per il quale Leo mi prende per il culo sul mio essere tecnologico…”.