Quel Fantozzi che è in ognuno di noi e Anna Mazzamauro icona della liberazione sessuale

L'opera di Paolo Villaggio rivive in "Fantozzi. Una tragedia", diretto da Davide Livermore e interpretato da Gianni Fantoni che raccontano come è stato portare a teatro "il ragioniere"

di Massimiliano Lussana

Racconta Davide Livermore, oggi il maggior regista di opera lirica, quattro prime della Scala stanno lì a raccontarlo, record mondiale di Sant’Ambrogio, e di tragedie greche in Italia, papà della lettura del potere al femminile con Maria Stuarda, e tanto altro, che tutti i suoi colleghi registi e direttori di teatro da mesi gli si avvicinano furtivi: “Ma davvero lo fai? Grande, anche se non si può dire”.

Fantozzi va a teatro

L’oggetto della domanda, e del desiderio, è il “Fantozzi. Una tragedia”, in scena in questi giorni al Teatro Nazionale di Genova, con, nei panni del ragionier Ugo, Gianni Fantoni, una grande carriera iniziata da giovanissimo sul palco del “Maurizio Costanzo show” e poi a “Striscia” in coppia con Claudio Bisio e poi passata attraverso “Zelig”, “Paperissima sprint”, “La sai l’ultima” due film di Pupi Avati, “Gli amici del Bar Margherita” e “Ma quando arrivano le ragazze?”, fino all’ultimo, non epocale, film della serie “Fantozzi 2000 – La clonazione”.

Fantozzi in quattro atti

Una scommessa difficile e un po’ folle portarlo in teatro con un testo che lo stesso Livermore insieme a Andrea Porcheddu e a Carlo Sciaccaluga ha ricavato, quattro atti tratti dai primi tre libri della saga di Paolo Villaggio. Perché, e qui sta il punto - prima ancora che personaggio cinematografico di dieci film, i primi due dei quali, quelli firmati da Luciano Salce, assolutamente indimenticabili ed entrati nella nostra memoria collettiva - Fantozzi è una grande opera letteraria “e Paolo Villaggio è insieme a Gabriele D’Annunzio il più grande innovatore della lingua italiana del Novecento “, spiega Livermore.

Specchio della società

Ma “Fantozzi. Una tragedia”, anzi detto meglio Fantozzi tout court, non è solo uno spettacolo teatrale, ma anche il racconto di come è cambiata la società italiana negli ultimi cinquant’anni, fino alle domande centrali che pone Livermore: “Fare questo spettacolo pone dei quesiti che giro a voi”.
E, mentre racconta lo spettacolo, il regista ci guarda direttamente, con domande che arrivano implacabili sulla pelle di tutti noi, lavoratori nel 2024: “Fantozzi aveva un lavoro a tempo indeterminato. E tu ce l’hai? E noi ce l’abbiamo?”.
E le domande che fanno male, che fanno male a un’intera generazione di non garantiti, continuano: “Fantozzi aveva le ferie pagate. E tu ce l’hai? E noi ce l’abbiamo?”.

Il lusso della normalità

Su, su, fino a quella che è diventata un lusso, mentre era la normalità, anzi un gradino sotto rispetto a chi aveva anche quattordicesima e quindicesima, un’indennità denominata nei modi più disparati, ma che sempre quindicesima era. E quindi Livermore: “Fantozzi aveva la tredicesima. E tu ce l’hai la tredicesima, e noi ce l’abbiamo?”.

Era meglio il lavoro di Fantozzi?

La precarizzazione dei diritti e del lavoro è al centro anche della settimana che ruota attorno alla prima nazionale dello spettacolo, fra cui c’è un dibattito con il segretario della Cgil Maurizio Landini e il presidente di Federacciai, la Confindustria dell’acciaio, nonché candidato alla guida della Confindustria nazionale Antonio Gozzi.
Questo sguardo sul punto di vista di come è cambiato il lavoro in Italia si porta dietro un ulteriore passaggio, quello sul cambiamento della società, che il Fantozzi di Livermore e in generale Fantozzi racconta.

Dal riso alla tragedia

Francesca Corso, giovanissima assessore alle Politiche giovanili e al marketing territoriale del Comune di Genova, che è la più amante del teatro e della cultura di tutta l’amministrazione, un modello virtuoso, ricorda: “Quando ero piccola, il mio papà mi parlava di Fantozzi e mi faceva vedere i film, mi ricordo che ridevo tanto”. E proprio qui sta lo scarto, il passaggio dal riso alla tragedia che Livermore e i suoi hanno arricchito anche di alcuni brani shakespeariani da Re Lear e Amleto e di Sofocle. E, detto così, sembra un po’ una “sboronata”, e invece ci sta, senza quasi accorgersi che c’è un coautore in quel momento.

Fantozzi come termine di paragone

Ma lo scarto da “Fantozzi, quello che faceva ridere i bimbi” a “Fantozzi, quello che ci racconta l’Italia degli ultimi cinquant’anni”, passa da Giovanni Toti, presidente di Regione Liguria e appassionatissimo della saga di Paolo Villaggio, che spiega: “Per comprendere bene Fantozzi occorre partire dal 1968, l’anno del maggio francese e del fervore che poi portò ai cambiamenti del decennio successivo, al nuovo diritto di famiglia, ai movimenti e poi purtroppo anche al terrorismo. E non è un caso che questi libri nascano a Genova, uno dei tre tasselli del triangolo industriale con Milano e Torino”.

La giovinezza di Paolo Villaggio

Paolo Villaggio lavorava alla Cosider, nell’ufficio eventi, ma si occupava anche di piccola amministrazione, come le note spese, per poi la sera andare a far bisboccia nei vicoli insieme a Fabrizio De Andrè, suo amico fraterno, per cui scrisse anche “Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers”. Ed era un mondo fatto di grandi aziende che avevano addirittura l’”ufficio raccomandazioni”, con tanto di apposite divisioni separate per la Curia e per i politici.

Quell’anelito alla libertà sessuale

“Fantozzi ci racconta perfettamente come siamo cambiati – racconta Giovanni Toti, che insieme alla sua responsabile della Politiche Culturali Jessica Nicolini ha voluto una prima “diffusa” nelle carceri, nelle rsa, negli ospedali e in tanti altri posti dove altrimenti lo spettacolo non sarebbe arrivato – e probabilmente ha aiutato l’Italia a cambiare come e più dei movimenti. La signorina Silvani, ad esempio, altro non è che la rappresentazione dell’anelito alla libertà sessuale…”.

Mazzamauro come icona della liberazione sessuale

E così, ancora turbati dall’immagine di Anna Mazzamauro come icona della liberazione sessuale, andiamo avanti nel viaggio totiano: “Il cardinale del taglio del nastro è l’ultima resistenza di una Chiesa patriarcale, che si contrappone a quella aperta al mondo, di cui Genova ha la più grande testimonianza che sono i cappellani del lavoro”. E la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare: “E’ l’immagine di certi salotti e di certe terrazze, che invitano gli operai alla cena, ma tutto questo acuisce le contraddizioni, anziché limitarle”.

E poi Genova, città del cuore

Il governatore ricostruisce la Genova di quegli anni “quando il Porto Antico di Renzo Piano non esisteva e un muro divideva la città dal mare, dove arrivavano le navi con la stella rossa sul fumaiolo. E poi c’era un classe dirigente coi cappotti cammello di tessuti preziosissimi, ovviamente doppiopetto, mentre Fantozzi e i fantozzi andavano in giro con i maglioncioni fatti con i ferri. Il cielo era grigio, perché tutta l’alimentazione della città era affidata a carbone e gasolio….”.

Fantozzi è tutto questo, ma anche di più

Insomma, Fantozzi è tutto questo, ma anche tutti i suoi personaggi, Calboni, Filini, Pina, il Ducaconte, Mariangela, la Silvani e tutti gli altri, racconta Livermore, “sono come figure della Commedia dell’Arte, maschere Universali come Arlecchino o Pulcinella”.
Commedia e tragedia, passato e presente, risate e malinconia, lingua e suoni, in Fantozzi c’è tutto. Tutto.