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Mengoni, il corsetto e gli insulti omofobi. Il commento di Achille Lauro e la polemica assurda

Mengoni e il suo corsetto luccicante hanno scandalizzato l'Italia bacchettona e moralista. Achille Lauro interviene in sua difesa. Ma vi ricordate quando negli anni Settanta Renato Zero e Tim Curry giravano in giarrettiera?

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Gliene hanno dette e scritte di tutti i colori: offese omofobe, critiche di ogni genere, accuse di “ripiegare sul look pur di far parlare di sé”. Marco Mengoni e il suo corsetto luccicante sfoggiato al concerto allo stadio Maradona di Napoli lo scorso 26 giugno hanno scandalizzato l’Italia bacchettona e moralista e continuano a dividere. C’è chi ne fa una questione squisitamente estetica (“gli sta male”), chi di opportunità (“non si può vedere”), chi si lascia andare a commenti decisamente offensivi. Al punto che lo stesso Mengoni ha voluto rispondere con decisione a queste critiche.

Mengoni risponde alle critiche

E intonando la sua canzone “Voglio” a un certo punto a urlato: “Voglio vestirmi come mi pare” spiegando poi alla fine del concerto, come riportato dal Fatto quotidiano che: “Le mie parole sicuramente non fermeranno la violenza del giudizio delle persone, però è importante far passare il concetto che le persone hanno il diritto e il dovere di vivere la propria vita come vogliono e dovremmo fottercene di tutto il resto. Indosso e mi metto quello che mi fa stare bene, punto. E non ci sono dietrologie. Mi piaccio proprio così, punto. E tutti dovrebbero poter fare la stessa cosa. Ci sono tantissimi messaggi all’interno di questo concerto. Non era prevista questa ondata di critiche? Sono contento che ci sia e che ci sia anche dibattito su questo perché esistono molte persone che magari si sentono in difficoltà nel doversi esprimere e si chiudono all’interno di canoni prestabiliti. E poi da chi? Non lo so, ma non ci deve interessare. Le persone devono sentirsi libere perché, ripeto, ho avuto la riprova dopo 37 anni di vita, quasi, che la vita è una sola e non so se ce ne sia un’altra. Quindi se non sono me stesso adesso, forse non lo potrò essere mai più. Poi se c’è un‘altra vita, la vivrò allo stesso modo. Intanto lo dico a tutti, senza paura perché poi dopo si innescano dei meccanismi che ci portano a autoflaggellarci e non c’è assolutamente motivo”. 

Achille Lauro: "Io che a Sanremo sono andato in tutina"

Sulla questione è stato richiesto un parere anche a un’altra popstar di casa nostra, Achille Lauro, reduce dai trionfi del Circo Massimo a Roma. E Lauro si è decisamente schierato accanto a Mengoni: "Credo che si debbano rispettare il lavoro e le scelte artistiche di ognuno. Mengoni è grande abbastanza, sia musicalmente che anagraficamente, per decidere cosa sia meglio per il suo show, che tra l'altro è uno dei più ambiziosi nel panorama attuale, con un respiro internazionale".

E poi, ha ironizzato, ricordando i suoi look eccentrici di qualche anno fa: “Non sono certo io, che a Sanremo mi sono presentato in tutina, a poter giudicare le scelte di Marco. Credo che la sua sia stata una decisione ponderata e voluta. E comunque il suo è uno show pazzesco. Ho visto delle immagini, e l'impatto è forte. È giusto che chi ha la possibilità di esporsi e di fare grandi cose, le faccia. Questo incoraggia anche altri artisti, affermati o emergenti, a sperimentare. Complimenti a chi ha lavorato allo spettacolo, c'è un grande lavoro dietro". 

Quando Renato Zero, David Bowie e Tim Curry giravano in giarrettiera

Non tutti comunque hanno criticato Mengoni. Sui social c’è anche chi ha ricordato come le giarrettiere, i bustini, il trucco, le tutine attillate e i tacchi alti, sfoggiati negli anni Settanta da artisti come Renato Zero, David Bowie o il mitico Tim Curry di “The Rocky Horror Picture Show”, un tempo venivano accettati senza grandi scandali o accanimenti: era il linguaggio della musica, del rock, della ribellione a tutto ciò che suonava imposto e canonico. Chissà che fine farebbero oggi. Forse è soltanto perché un tempo non esistevano i social, o forse stiamo assistendo davvero a una regressione moralista. Peccato solo che ai più sfugga che gli artisti hanno il potere di essere apripista, di far riflettere sulle miserie sociali. E non c’è dubbio che nell’Italia del 2025 ci siano ancora troppi casi di omofobia. Ben vengano quindi i corsetti.