A scuola col niqab, ecco chi alzerà il velo per il riconoscimento. E scoppia la polemica
La dirigente scolastica: “Così evitiamo l’abbandono”, ma il dibattito si infiamma fra chi parla di diritto allo studio e chi di oppressione delle donne

Donne con il niqab - Foto Ansa
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In Italia esiste una legge del 1975 che proibisce di circolare in luoghi pubblici con il viso coperto che è stata resa più stringente dalle misure antiterrorismo del 2005 aumentando le pene da sei mesi o un anno di reclusione a uno o due anni di reclusione e all'ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Chi travisa il volto in qualsiasi modo viola la legge ma questo pone un problema di carattere culturale per le donne di fede islamica che sentono l’obbligo religioso di portare il velo che lascia solo gli oggi scoperti: il niqab. All'istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone (Gorizia) si è cercato di risolvere la situazione con uno stratagemma: prima di entrare in classe alle 8 in una stanza appartata la referente dell'istituto alza il velo nero e si sincera che a entrare a scuola sia l'allieva iscritta.
Misoginia e diritto allo studio
È questa la prassi, non codificata ma adottata, per le studentesse islamiche - molte bengalesi - che per fede indossano il niqab a lezione. Si tratta di cinque ragazze per le quali è stata studiata una soluzione non traumatica che garantisce la continuità scolastica, che per la dirigente, Carmela Piraino, è il vero obiettivo delle istituzioni evitando che "le ragazze lascino la scuola".
Materie adattate
Anche per le materie affrontate ci sono adattamenti: per frequentare le lezioni di ginnastica, le alunne a volto coperto e tunica fino ai piedi indossano abiti alternativi a quelli tradizionalmente in uso; un'insegnante ha introdotto il badminton e qualcuno ha anche dispensato le ragazze dalla corsa. Per la dirigente del Pertini "l'istituzione raggiunge il suo scopo quando l'allievo consegue i cinque anni di studio".
Le testimonianze
Il Piccolo ha intervistato anche una delle ragazze che indossano il niqab: "Ho iniziato a portarlo nel secondo semestre della prima - spiega - e capisco che faccia paura, perché è tutto nero". Per la ginnastica, "svolgo gli esercizi che non fanno vedere il mio corpo. Il problema è lo stage, perché l'insegnante non transige sulla mia identificazione. Oggi gli altri sono andati a fare l'attività, io sono rimasta a scuola. Se i problemi continuano non so se resterò fino alla quinta...". La ragazza ha riferito che i suoi genitori "non volevano che vestissi il niqab, ma è una mia scelta". Nessun problema, invece, per i compagni di classe: "È questione di cultura. Che problema c'è?" e ancora, "vestirsi così è una loro scelta, a noi non dà alcun fastidio".
Libertà o costrizione?
Una soluzione che ha già alimentato polemiche oltre che vari spunti di riflessione. Il dubbio è sempre lo stesso: tollerando il velo si rischia di avallare una cultura misogina che vuole cancellare le donne a partire dalla loro immagine o invece si difende il diritto allo studio di giovani donne che senza istruzione sarebbero ancora più emarginate? E ancora: le donne che si coprono sono libere o costrette?
La polemica
La pubblicazione dell'articolo sul Piccolo dell’esperienza del Pertini ha infatti scatenato le prevedibili polemiche politiche sul velo, i cui contorni si allargano al più complesso fenomeno migratorio e, nello specifico di Monfalcone, alla nutrita presenza di una comunità musulmana, soprattutto quella più ortodossa bengalese. Presenza da anni oggetto di scontro con l’amministrazione leghista del Comune. Dopo raffiche di comunicati di vari esponenti, è stata convocata una conferenza ad horas a Monfalcone con i vertici regionali della Lega e la battagliera ex sindaca (europarlamentare oggi) Anna Maria Cisint. "Presenteremo con la massima urgenza una mozione e un progetto di legge regionale per vietare l'utilizzo del niqab nei luoghi pubblici, a partire dalle scuole" ha annunciato Marco Dreosto, senatore e segretario Lega Fvg.
Libere o costrette a usare il niqab?
Non è solo una questione di sicurezza, puntualizza la Lega Fvg, che pure ha il suo peso: si vuole "impedire l'oppressione delle donne, dal momento che moltissime ragazze sono costrette a usare il niqab". Il pensiero corre a Svizzera, Danimarca, e alla Lombardia, dove "esistono già norme specifiche". Per un obiettivo finale che "è far diventare il divieto un indirizzo comunitario". E proprio in Lombardia, in Consiglio regionale a Milano si è aspramente discusso su due mozioni, una della Lega che chiede di vietare l'uso del velo come il burqa o il niqab negli edifici pubblici, anche comunali, e a scuola, e una del Pd per ribadire "che nessuno può imporre alle donne come vestirsi, sia esso Stato, Regione, famiglia, singoli individui o altro, riaffermando la centralità dei diritti delle donne e della loro autodeterminazione".
Rispetto della legge e delle donne
La scorsa settimana proprio il Carroccio ha presentato una proposta di legge e un'interrogazione al Parlamento europeo sempre sullo stesso tema. Ini particolare, la pdl vieta di indossare indumenti "atti a celare il volto, come nel caso del burqa o del niqab", "non solo per motivi di ordine pubblico", ma anche per un principio, costituzionalmente sancito, di "rispetto della dignità della donna". Dura la pena: fino a due anni di carcere e una multa fino a 30mila euro oltre che la preclusione dalla richiesta di cittadinanza. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha liquidato la mozione leghista come "una delle tante, piccole, inutili polemiche politiche". "I problemi non sono qui, sono altri - ha aggiunto - Il problema è parlare di un'immigrazione che oggettivamente serve, soprattutto alle città e che va gestita, regolamentata il meglio possibile".
In Veneto già vietato il velo nei luoghi pubblici
In ogni caso, sono subito cominciati i distinguo. "La proposta dei colleghi leghisti del Friuli Venezia Giulia di vietare burqa e niqab nei luoghi pubblici è una battaglia di civiltà. Già nel 2017, è stato approvato un regolamento regionale da me proposto per vietare l'accesso alle strutture pubbliche regionali, come ad esempio negli ospedali, alle persone che lo indossano. Chi entra nei nostri palazzi regionali, quindi, grazie al mio regolamento, deve essere identificabile proprio per consentire di verificarne le generalità". Lo afferma in una nota Alberto Villanova, capogruppo Lega-Liga Veneta al Consiglio regionale del Veneto. Per Villanova "non è solo una questione di sicurezza, bensì anche di civiltà. Quel velo nero non nasconde solo il volto: è un ostacolo alla piena integrazione, una barriera che tiene relegate le donne in un mondo separato. Se le comunità che vivono in Italia vogliono essere davvero integrate nel nostro Paese, devono accettarne regole, usi e costumi. Voglio sperare che la sinistra ci sostenga in questa battaglia: il burqa è il simbolo di un medioevo culturale che discrimina le donne. Va abolito per sempre con una legge statale che lo vieti in modo chiaro", conclude.