Altro che favole Disney: Marius Borg Høiby, il ventisettenne figlio della principessa norvegese Mette-Marit e figliastro del principe ereditario Haakon, è finito in un vortice giudiziario che sembra uscito dai peggiori thriller nordici. Accusato di ben 32 reati, tra cui quattro stupri commessi tra il 2018 e il 2024, il ragazzo rischia ora fino a 10 anni dietro le sbarre, mentre la famiglia reale si trova a dover gestire l'ennesimo terremoto mediatico in una monarchia che sembrava aver trovato la sua dimensione moderna.
La caduta del principe (senza corona): da palazzo a tribunale
Il castello di carte è crollato lo scorso agosto, quando Marius è stato arrestato per la prima volta con l'accusa di aggressione alla compagna. Da lì, come in un domino maledetto, sono emerse una dopo l'altra le altre denunce: violenze domestiche, riprese di donne dormienti senza consenso dopo rapporti inizialmente consensuali, minacce di morte e persino insulti agli agenti di polizia. Il Procuratore Generale Sturla Henriksen non ha usato giri di parole: "Si tratta di reati molto gravi che possono lasciare cicatrici indelebili e distruggere vite", ha dichiarato in conferenza stampa con la solennità di chi sa di star parlando non solo di giustizia, ma di storia.
Il peso del sangue e della responsabilità: quando la corona diventa un fardello
La vera tragedia di questa vicenda non sta solo nei reati contestati, per quanto gravissimi, ma nel cortocircuito che genera quando chi dovrebbe rappresentare i valori più alti di una nazione si trova a dover spiegare l'inspiegabile. Mette-Marit, che aveva già affrontato il suo passato turbolento prima di sposare il principe, si ritrova ora a dover gestire il crollo del figlio nato da una relazione precedente. I fatti si sarebbero protratti per sei anni, dal 2018 al 2024, anni in cui il giovane ha vissuto nell'ombra dorata del palazzo, ma evidentemente non protetto dai propri demoni.
Il prezzo dell'impunità: quando essere "quasi reale" non basta più
Quello che emerge da questa vicenda è il ritratto di un sistema che per troppo tempo ha chiuso gli occhi, sperando forse che il problema si risolvesse da solo. Ma la giustizia norvegese ha dimostrato che non esistono immunità quando si tratta di violenza contro le donne: il processo potrebbe iniziare già a gennaio 2026, e stavolta non ci sarà paravento reale che tenga. La monarchia norvegese, che aveva saputo reinventarsi come moderna e vicina al popolo, si trova ora a dover dimostrare che la giustizia è davvero uguale per tutti, anche quando a finire sotto processo è chi porta nel DNA il sangue blu.