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È italiana l’unica scuola dalla quale “i ragazzi devono essere mandati via a forza”

Un’area felice quella della scuola italiana ad Addis Abeba. Una scuola internazionale frequentata in maggioranza da etiopi. Esempio di integrazione ed inclusione

di Laura Aprati

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Addis Abeba è una capitale con molte facce: quella dei grandi grattacieli, in parte costruiti dai cinesi, dei mega alberghi e dei compound dove vive la gran parte delle delegazioni internazionali che pullulano nella capitale diplomatica dell’Africa. Dall’altra le baraccopoli che nascono sotto i grandi palazzi, in ogni luogo libero, dove si assiepano e vivono, senza acqua luce e men che meno servizi igienici, le migliaia di persone che arrivano dalle campagne, anche le più lontane, in cerca di un lavoro, di una vita migliore.

La scuola italiana

Migliore di quella in una capanna di fango e foglie in cui si vive nei villaggi a 100 km dalla capitale. Migliore perché anche una baracca con il tetto di lamiera dà l’idea di una casa vera e di una vita diversa.
Tra grattacieli e tetti di lamiera, tra i famosi “bajaj” (una sorta di ape taxi) e gli asini da soma girando per Addis Abeba, attraversando la “Piassa” quello che era il quartiere italiano dove ancora si trovano pasticcerie e locali di nostrana memoria, si arriva davanti al cancello che apre le porte alle scuola italiana, una delle tante internazionali della capitale etiope.

Aperta a tutti

Retta 450 euro l’anno contro i circa 28mila dollari della scuola americana. Uno degli 8 istituti statali scolastici italiani nel mondo (ce ne sono solo 2 in Africa), nasce nel 1953/54 come supporto alle maestranze italiane e poi nel tempo si trasforma in un istituto aperto a tutti. La maggior parte degli studenti è etiope, circa il 75%, e attraverso una convenzione la scuola italiana supporta anche i ragazzi che non possono permettersi la retta. Inoltre, come dice la preside Stefania Pasqualoni, sostiene l’ingresso e la frequenza anche a chi è portatore di handicap (come sindrome di down e spettro autistico) che altrimenti sarebbe destinato ad una totale esclusione dalla vita scolastica. Ci sono 29 docenti dall’Italia e 5 etiopi (in gran parte ex studenti della stessa scuola).

La testimonianza della preside

La Preside, arrivata ad Addis Abeba nel 2017, dice che lavorare qui è avvincente. Ha molti progetti: gli spogliatoi, la mensa, rifare gli impianti elettrici, le finestre. La scuola ha anche attività integrative pomeridiane di cui lei è molto fiera e ci dice pure che i ragazzi chiedono di rimanere a scuola il più a lungo possibile. L’edificio scolastico può essere definito “l’unica piazza di Addis Abeba” dove incontrarsi, chiacchierare, giocare. C’è un campo da calcio. Quando suona la campanella “i ragazzi devono essere mandati via a forza”.

In una bolla

I professori arrivano da tutta la penisola e qui, in questa scuola, dove non ci sono muri, si diventa “famiglia” anche con gli assistenti locali che, in un pomeriggio di maggio, festeggiano, con musica e cibo, la fine dell’anno scolastico. O con il professore Sergio Laverda da Vicenza che dice: “Certo l’impatto all’arrivo non è stato facile. Sono arrivato qui con la mia famiglia. Le mie figlie hanno frequentato questa scuola. L’unico rischio è che viviamo in una bolla, quella che ci siamo creati nella scuola. Non è semplice frequentare al di fuori del nostro ambiente. Si va al circolo della Juventus (punto di riferimento per gli italiani della capitale). Ci si ritrova tra di noi. Ma l’Etiopia è un paese da conoscere”. Il professore ha subito una rapina di sera. Nella piazza più famosa, Meskel Square, gruppi di ragazzi di strada spesso derubano i “ferengi” (i bianchi). Basta un telefonino in bella vista. Ma certo la criminalità locale non può essere paragonata a quella di altre capitali africane come Nairobi, Lagos.

Ma gli italiani restano “ferengi”

La scuola è stata costruita da una delle tante imprese nazionali di Etiopia. Perché qui gli italiani sono tanti, rimasti dopo il 1941 e dopo il “derg” di Menghistu. E Carlo Iori è uno di loro, nato qui, cresciuto ad Asmara e poi ritornato. Parla amarico, ha sposato una donna etiope e ha insegnato nella scuola italiana. “I ragazzi che sono usciti dalla scuola hanno tutti trovato un’occupazione soprattutto nell’edilizia”, ci racconta. E parla anche del rapporto tra gli italiani e questo paese che porta una profonda cicatrice il massacro, tra il 19 e il 21 febbraio del 1937, passato alla storia come “Graziani massacre”. Una ferita indelebile tanto che Carlo dice “vorrei che mio padre fosse ancora qui per chiedergli dove era in quelle notti”. Ma il rapporto tra Italia ed Etiopia, nonostante tutto, è sempre rimasto forte forse, come ci dicono, perché l’imperatore Hailesse Lassie ha preferito gli italiani agli inglesi!
Nella Addis Abeba di oggi comunque gli italiani sono “ferengi” come tutti gli altri bianchi diversi solo dai “cina” che sono arrivati numerosi e stanno conquistando pezzo pezzo l’Etiopia e il continente africano.

20/05/2019