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La storia di Nasim Eshqui, campionessa di arrampicata iraniana che ha scelto l'Italia: "Il costo della libertà"

Nel podcast di RaiPlay Sound, "La rivoluzione andrà avanti", racconta quello che accade nel suo Paese, dove non può tornare per la sua sicurezza

Foto Ansa e Instagram

di Redazione

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Lo sport fa bene e a volte ti salva la vita: lo può ben dire Nasim Eshqui, scalatrice iraniana che era in Italia per allenarsi quando nel suo paese è scoppiata la rivolta contro l’uccisione di Mahsa Amini. Pioniera dell'arrampicata all'aperto, non ci ha pensato due volte e ha deciso di non fare ritorno: “Oggi per me tornare è troppo pericoloso. Ma da qui posso essere megafono della voce della mia gente”. Nasim, che ha dedicato la vita ad aprire "nuove vie", come si dice in gergo, sulle pareti rocciose del suo Paese, ma anche in Oman, Emirati Arabi, in Turchia, fino alle "nostre" Alpi, racconta la sua storia a Francesca Borghetti in "Nasim, Iran verticale", un podcast con la regia di Fabio Sabatini, disponibile dal 2 marzo su RaiPlay Sound. Un viaggio in cinque episodi, che arriva tre anni dopo Climbing Iran, il primo documentario che Borghetti le aveva dedicato, finalista ai David di Donatello e Premio del Pubblico al Trento Film Festival (disponibile su RaiPlay). 

La sua voce anche per le iraniane che non possono parlare

"La morte di Mahsa Amini, a settembre - racconta Nasim- è stato l'episodio che ha fatto scoppiare la rivoluzione nel mio Paese. Ma erano 44 anni che la protesta montava". Scalando sempre più in alto, lei ha trovato quello spazio di libertà che la Repubblica Islamica non concede alle donne. E ora che le strade della sua Teheran sono teatro di proteste della gente che chiede libertà e delle violente rappresaglie da parte della polizia del regime, è diventata un simbolo e una voce fortissima.

La campionessa simbolo

Già campionessa di kickboxing, figlia di insegnanti, Nasim ha sfidato leggi e tabù (a partire dal velo che per sicurezza in arrampicata non si indossa) per quello sport che per la prima volta le ha fatto "vivere" la parola "libertà". La stessa per la quale ora si protesta in strada in Iran. "Quello che è accaduto a Mahsa Amini, essere arrestata per aver 'mal indossato il velo', è capitato più volte anche a me - dice - Ti caricano e ti portano in commissariato e tu taci perché sai che può accadere di tutto. A protestare oggi sono anche giovanissime, ragazzine di 10 anni". 

Le bimbe avvelenate

E proprio su di loro ha puntato ora il dito il regime, con centinaia di casi di avvelenamento nelle scuole per bambine. "In questo modo le rendono un posto non sicuro - commenta Nasim - e scoraggiano le famiglie a mandare le proprie figlie in classe". Obiettivo, far crescere la prossima generazione di donne senza istruzione e quindi più assoggettabile. "Cosa accadrà? La rivoluzione andrà avanti. Per vincere non ci servono aiuti. Basta che gli altri Paesi smettano di aiutare il regime islamico", dice la scalatrice. Una vittoria che, spiega bene bel podcast, ne innescherebbe altre ancora. "Se noi ci liberiamo del regime, anche l'Afghanistan si sbarazzerà dei talebani, che sono sostenuti dal governo iraniano. E le donne afghane sarebbero libere. Non è una cosa semplice. Ma com'è possibile - si domanda Nasim - che la Repubblica islamica dell'Iran abbia ancora un posto alle Nazioni Unite?". 

La sua storia oltre gli stereotipi

"La prima volta lessi di lei su un giornale - dice Francesca Borghetti - Era il momento dell'accordo sul nucleare, all'epoca di Obama. Mi colpì perché era una scalatrice, donna, ma che viveva in Iran. E in Iran sono pochissime. Ad aprire nuove vie, poi, c'è solo lei. Così sono partita per incontrarla. È importante raccontare la sua storia perché va oltre stereotipi e cliché. Noi abbiamo un'immagine bidimensionale dell'Iran. Grazie a Nasim ho conosciuto anche una parte di Paese completamente diversa, molto piccola, ma piena di colori, senza Komehyni". 

03/03/2023