logo tiscali tv

"Può capitare a tutti" e allora come si resiste psicologicamente a una gogna mediatica?

Al di là della vicenda specifica, è oramai innegabile come le gogne mediatiche o le campagne aggressive sui social possano avere conseguenze gravi, come il suicidio o un atto di violenza compiuto da terzi

Può capitare a tutti e allora come si resiste psicologicamente a una gogna mediatica

Leggi più veloce

Al giorno d'oggi i social network riescono ad alimentare i peggiori istinti giudicanti delle persone scatenando vere e proprie gogne mediatiche, versione moderne della gogna pubblica. In pratica, una persona viene giudicata negativamente per qualcosa che ha postato con il risultato che a volte si può scatenare una shitstorm (tempesta di escrementi), cioè una pioggia di insulti e minacce tramite social che aumenta in maniera esponenziale ogni secondo.

Cosa è lo shitstorm

La peculiarità che caratterizza una shitstorm è la crudeltà dei commenti, estremamente brutali e senza alcun filtro e l'istantaneità di esecuzione, che porta ad una diffusione virale dei commenti in modo rapido e veloce, innescando una reazione a catena. Questo fenomeno può colpire tutti: persone o enti con grande popolarità, ma anche persone comuni, come è successo alla ristoratrice che è stata trovata morta nel Lambro. Il caso della ristoratrice (leggete qui) deve portare ad una riflessione generale sull'eccessivo potere degli influencer in Italia e ad una stretta verso chi lancia gogne mediatiche e alimenta odio su web e social network. 

Al di là della vicenda specifica, è oramai innegabile come gogne mediatiche, campagne aggressive sui social network e messaggi tesi a gettare discredito su una persona possano avere conseguenze anche pesanti, (leggete qui) come può essere un suicidio o un atto di violenza compiuto da terzi sotto l'influenza del clima di odio generato sul web (Codacons, 15 gennaio 2024). Questo fenomeno si chiama hate speech, ovvero i discorsi di odio online. Vittime ne sono soprattutto le donne (47 per cento dei casi), seguite da persone con disabilità, omosessuali, migranti, ebrei e islamici, stando agli ultimi dati dalla Mappa dell'Intolleranza voluta da VOX – Osservatorio Italiano sui Diritti, che fotografa l'odio via social. I social sono diventati veicolatori della diffusione dell'odio online anche perché si ritiene che il mondo virtuale sia meno sottoposto a vaglio e verifica in caso di denuncia all'Autorità giudiziaria.

L'idea che l'offesa non sia tangibile

La volontà con cui i messaggi di ogni genere vengono diffusi sul web, autorizza a pensare a chi offende, che non si lascia traccia tangibile tale da determinare l'attivazione della macchina della giustizia. Cosa assolutamente non vera (Mazza, 10 dicembre 2023). Gli attacchi che le persone subiscono in rete non rimangono in una “bolla” e non terminano quando si spegne il pc o il telefono: il loro impatto va oltre e ha conseguenze sia sulla mente delle persone colpite ma anche nel concreto della quotidianità.

Ad esempio, pensiamo ad un professionista che è stato attaccato e criticato con un post: questa persona potrebbe ricevere telefonate di insulti o lamentele, potrebbe veder diminuire la propria attività lavorativa e aver timore per sé e per i propri familiari, sentendosi esposto all'aggressività di sconosciuti. La consapevolezza che l'attacco online sia opera non di un singolo, ma di più persone è un fattore che aggrava la percezione di quello che accade, anche se questo è opera di profili fake. 

La violenza mediatica giustificata

Le giustificazioni della violenza mediatica assumono varie forme, quella più efficace è la protezione costituzionale della libertà di parola. Ma i veri meccanismi che consentono questi attacchi d'odio improvvisi consistono nel fatto che i social creano un indebolimento dei freni morali per mezzo della spersonalizzazione che favorisce i comportamenti trasgressivi e aggressivi (Brasi, 15 gennaio 2024). In particolare, il fenomeno collettivo agisce sulla base di una serie di caratteristiche psicologiche tipiche delle dinamiche di gruppo (Brandolese, 30 giugno 2020):

la disinibizione comunicativa: la credenza di poter comunicare con facilità qualsiasi cosa, senza limiti e senza riflettere sulle conseguenze;

  1. l'anonimato (disinhibition effect): i social network danno la possibilità di creare profili fake, dove è possibile nascondere facilmente la propria vera identità;
  2. deindividuazione: perdita di controllo e di consapevolezza, tipica nelle situazioni di gruppo, che fa compiere azioni che un individuo da solo non metterebbe mai in atto;
  3. distanza fisica dalla vittima: non vedere in volto il bersaglio umano riduce l'empatia;
  4. deumanizzazione: la negazione dell'identità della vittima, che non viene più percepita come una persona con sentimenti ed emozioni, ma solo come bersaglio;
  5. la responsabilità condivisa: distaccarsi dalle proprie responsabilità e minimizzarle perché “tanto lo fanno tutti e non sono l'unico”.

Sono state individuate tre fasi che contraddistinguono il fenomeno:

fase 1: i toni degli utenti sono a livelli normali;

fase 2: la fase acuta, ovvero la realizzazione della shitstorm attraverso una cascata di commenti negativi. Gli utenti perdono il controllo, i commenti trattano qualsiasi argomento e spesso sono decontestualizzati. L'unico scopo è la brutalità comunicativa;

fase 3: la fase conclusiva, dove si normalizza la situazione. Alcuni utenti fedeli possono dimostrare la loro solidarietà, ma le conseguenze rimangono gravi.

Gli effetti psicologici e sociali di questo tipo di violenza possono essere devastanti. La distruzione dell'autostima e della reputazione sociale producono ferite psichiche che perdurano nel tempo. Per questo motivo la vittima di questi attacchi può chiedere aiuto ad un esperto psicologo (e parallelamente ad un legale) per:

  1. far fronte alla situazione,
  2. recuperare un senso di controllo sulla propria vita,
  3. contenere le emozioni negative,
  4. recuperare le relazioni interpersonali.

Infine, un ultimo aspetto da non sottovalutare è il rischio suicidario: gli elementi depressivi, l'angoscia e la preoccupazione per quanto accade, il pessimismo relativo al futuro, la vergogna e l'isolamento sono alcuni dei fattori che non devono essere trascurati, ma trattati insieme alla persona e ai suoi familiari, in quanto la vittima può temere di non riuscire a far fronte a quanto sta accadendo.

23/01/2024