La giraffa, simbolo della bellezza di terre esotiche, è in declino. Dal 1999 le sue popolazioni sono diminuite quasi del 50%, passando da 140.000 a meno di 80.000 esemplari. Più drammatico il caso della giraffa reticolata del Kenya, che ha perso l’80% della propria popolazione. Percentuali, considerato anche l’esiguo arco temporale, preoccupanti. Un’estinzione silenziosa che Last of the Longnecks, film-documentario, in produzione, sulla fauna selvatica in pericolo, ha voluto raccontare, indagando sulle cause del fenomeno. La casa cinematografica è la texana Iniosante. Dal suo incontro con biologi e conservatori è nata l’idea di installare una telecamera live-action sulla testa delle giraffe per aiutare gli scienziati a identificare i fattori alla base della decadenza delle popolazioni selvatiche. Fra gli sponsor del documentario, infatti, la Giraffe Conservation Alliance, la Giraffe Conservation Foundation, The Nature Conservancy, l’Oakland Zoo e il Natural Bridge Wildlife Ranch.
Per il suo documentario, Ashley Scott Davison, amministratore delegato e direttore della Iniosante, ha girato il mondo con la sua troupe, filmando giraffe e intervistando scienziati. “Tutto è iniziato con la nascita di due giraffe gemelle al Natural Bridge Wildlife Ranch” racconta. È il maggio 2013 quando la Camera di Commercio di New Braunfels telefona alla Iniosante chiedendo di documentare qualcosa di “unico”. Davison “afferra” allora la sua macchina fotografica e un “paio di lenti” a scelta e raggiunge il ranch, trovando, accanto ai recinti, una piccola giraffa di una settimana. Pronto a scattare, Tiffany Soetching, la specialista di animali del ranch, gli indica, nascoste dietro l’angolo, “un altro paio di gambe”. Con grande sorpresa di Davison, erano nate due giraffe gemelle, una rarità — dall’Ottocento il nono caso: un maschio, Nakato, soprannominato Buddy, e la sorella Wasswa, nomi tradizionali Swahili, in Africa tradizionalmente dati alle coppie miste di gemelli.
Tornato in studio per montare il video promozionale, dopo un mese la società di pubbliche relazioni che aveva gestito la notizia, comunicherà a Davison che nella sola prima settimana il filmato aveva totalizzato 500.000 visualizzazioni, “numeri impressionanti” per una “storia sulla fauna selvatica”. Voleva dire che la gente aveva un “interesse travolgente” per le giraffe. Perché non girare allora un documentario sulla loro conservazione? Nascerà così l’idea di Last of the Longneck, con contatti con gli scienziati cui chiedere consigli su come raccontare la storia delle “meravigliose creature” a rischio estinzione. Non solo, oltre a filmare le giraffe con tecniche tradizionali, perché non guardare il mondo con i loro occhi? Non certo arrampicandosi sulla loro schiena, ma installando una telecamera sulla loro testa per poter catturare il loro punto di vista, studiando, così, da vicino le abitudini potenziali cause del loro declino.
Nello Oakland Zoo, dove si curano e proteggono specie a rischio, vive Benghazi, una giraffa reticolata di diciannove anni. Confortata dalla presenza di Amy Phelps, l’esperta di Sud Africa dello zoo, Benghazi ha accettato di ospitare sui suoi ossiconi, le sue protuberanze, un dispositivo con telecamera. “È la prima volta che riusciamo a vedere dal punto di vista di una giraffa”, così, Francis Deacon, il cui team ha accolto con entusiasmo l’idea della Iniosante. “Sento che possiamo imparare di più, ciò che si tradurrà in un migliore processo decisionale sulle pratiche di gestione e conservazione. Se non impariamo di più su cosa sta causando il suo declino, potremmo veder scomparire dal nostro pianeta questa magnifica creatura”. Un “punto di vista innovativo” che ha conquistato anche i curatori dello zoo di Oakland.
Francis Deacon è un ricercatore della University of the Free State, nel Sud Africa. Tempo fa è diventato famoso per aver creato collari GPS e marchi auricolari per giraffe per il loro controllo satellitare, un sistema basato su una piattaforma di comunicazione mobile globale bidirezionale, utilizzando dati di comunicazione satellitare a due vie con sistemi GPS. “Ci permette di rintracciare gli animali giorno e notte, mentre noi monitoriamo i loro movimenti a distanza dal computer. Tale sistema rende possibile il controllo efficiente e il monitoraggio della fauna selvatica in tutte le condizioni atmosferiche e in tempo quasi reale. Possiamo anche comunicare con gli animali”.
Se il suo interesse per l’ecologia spaziale, applicata alle giraffe, è testimoniato dalla sua tesi di dottorato su ecologia spaziale, preferenze ambientali e dieta della giraffa nella regione del Kalahari, in Sud Africa, Deacon si è anche occupato di tapiri, caracal, licaoni, leoni, ghepardi, bovini, kudu, rinoceronti, partecipando a programmi di allevamento e gestione di giraffe, bufali, zibellini, roani e rinoceronti e altri ancora per la raccolta del latte di giraffe “che allattano”, nonché di DNA, campioni di sangue e parassiti delle giraffe dell’Africa australe. Fino all’oggi con la progettazione di un dispositivo per fotocamera che aiuterà a vedere il mondo con gli occhi delle giraffe. Un lavoro che lo ha visto impegnato per tre mesi a fianco di ingegneri meccanici per poter sviluppare un sistema di sgancio automatico: “C’era bisogno di un metodo che staccasse la fotocamera dagli ossiconi delle giraffe garantendo la sicurezza degli animali e il loro ambiente naturale”.
La giraffa Benghazi, simbolo di questo esperimento, svelerà ora al mondo il mondo visto con i suoi occhi.
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