logo tiscali tv

Il mistero delle strane esplosioni in mare nell'Arcipelago Toscano

Il mistero delle strane esplosioni in mare nellArcipelago Toscano
di Stefania Elena Carnemolla

Leggi più veloce

Boati ed esplosioni nell’Arcipelago Toscano, tanto è bastato per allarmare la popolazione. Prima alcuni pescatori di Campo dell’Elba, terrorizzati da esplosioni e violenti getti d’acqua nera, fango, gas e detriti, quindi alcuni abitanti dell’Elba, che hanno raccontato di aver sentito “boati anomali”.

Cosa sarà, si sono chiesti i pescatori che si sono ritrovati all’improvviso davanti a enormi geyser? Di certo un pericolo per le imbarcazioni, tanto che il 18 marzo la Capitaneria di Porto di Portoferraio, allarmata da una segnalazione del Dipartimento della Protezione Civile sulla presenza di “fenomeni fisici presumibilmente riconducibili ad attività geologica sottomarina nei pressi delle Formiche di Montecristo”, con un’ ordinanza ha proibito il transito e qualsiasi attività marittima nella zona di mare dello Scoglio d’Africa o d’Affrica, un isolotto, chiamato anche Africhella o Formica di Montecristo, a ovest dell’isola di Montecristo, a sud di quella di Pianosa e a est della Corsica. Sullo scoglio, dove solitamente sostano uccelli migratori, c’è solo un faro.

Davanti alle “strane” esplosioni nell’Arcipelago Toscano si sono sprecate le interpretazioni: eruzioni vulcaniche, attività collegate al sisma dell’Italia Centrale, esercitazioni segrete di sottomarini (un sottomarino della Marina Militare si era, invero, esercitato nella zona il 14 marzo, ma nulla di segreto, considerato che l’esercitazione era stata pubblicizzata), ordigni. E allora vi raccontiamo cos’è avvenuto e che il fenomeno di cui in tanti si sono accorti oggi, in realtà era stato scoperto anni fa.

I getti d’acqua nel mare intorno allo Scoglio d’Africa sono il risultato dell’attività di quello che gli scienziati chiamano “vulcano di fango”, con eruzione di metano. Lo ha confermato l’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che la Protezione Civile aveva incaricato di studiare il fenomeno. Grazie a sorvoli con elicotteri della Capitaneria di Porto e a una telecamera termica è stato, ad esempio, possibile capire che le emissioni di gas non erano dovute a “variazioni di temperatura localizzate”. E se le analisi chimiche dell’acqua di mare, svolte dal gruppo geochimico dell’Ingv di Napoli, hanno rivelato un “importante aumento della concentrazione di metano”, l’ispezione con mezzi sottomarini a controllo remoto, Rov, dell’Ingv di Portovenere non ha individuato “anomalie termiche localizzate”. Alla luce di questi risultati, l’Ingv ha pertanto escluso come il “degassamento” fosse di origine vulcanica, restringendo pertanto il campo delle ipotesi a un “vulcano di fango”, fenomeno con fioriuscite, cioè, di grandi quantità di metano.

L’Ingv, che continuerà le sue ricerche, ha nel frattempo diffuso un’immagine delle emissioni subacquee riprese dal Rov, una della zona di emissione, compresa fra due motovedette, ripresa da un elicottero della Capitaneria di Porto, e una terza immagine con la vista della zona di emissione, sorvegliata da una vedetta della Capitaneria di Porto.

Le esplosioni associate a fuoriuscite di metano nei fondali fra l’isola d’Elba, Pianosa e lo Scoglio d’Africa erano state in realtà documentate fra il 1995 e il 2005 da alcuni ricercatori impegnati in alcune campagne per lo studio del biota locale. Lo studio, pubblicato nel 2016 su Frontiers in Microbiology come Methane Seep in Shallow-Water Permeable Sediment Harbors High Diversity of Anaerobic Methanotrophic Communities, Elba, Italy, contiene le mappe con la localizzazione del fenomeno e alcune immagini sottomarine con le fuoriuscite di gas metano. I ricercatori, fra cui dell’Hydra e del Max Planck Institut für Ma­ri­ne Mikrobio­lo­gie, più che indagare sulla natura del gas e dei processi geologici, si sono chiesti cosa mai accadesse intorno a queste sorgenti sottomarine di gas e quale importanza avesse il metano per gli organismi che vivevano nella sabbia.

Scoprendo, così, che nel sottosuolo marino, dove non c’è ossigeno, batteri e archei o archibatteri lavorano in tandem per utilizzare il metano senza ossigeno, con gli archei che ossidano il metano in anidride carbonica, passando ai batteri gli elettroni, con cui, grazie al solfato, che abbonda nell’acqua di mare, quest’ultimi producono solfuro di idrogeno. Un processo, di natura biochimica, chiamato Anaerobic Oxidation of Methane che cattura, cioè, il metano sott’acqua prima che raggiunga l’atmosfera.

Svelato pertanto il mistero, grazie alla scienza, dei violenti getti d’acqua, gas e detriti nel mare dell’Arcipelago Toscano, con il metano, altra scoperta affascinante, che viene catturato dai batteri per poter sopravvivere.  

 

Abbiamo parlato di:

Ingv Website Twitter Facebook

Dipartimento della Protezione Civile Website

Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera Website Twitter Facebook Google+

28/03/2017