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Kasia Smutniak: "Io, senza filtri e senza trucco, alla ricerca della genesi del male"

Kasia Smutniak racconta al Mia Market la sua prima esperienza da regista tra i migranti respinti dalla Polonia: un viaggio intimo tra muri, intolleranza ma anche eroica generosità

Kasia Smutniak e il doc sui muri

"ll mio primo documentario, speriamo non l'ultimo è partito con l'idea di essere una specie di ribellione, una denuncia, ma poi si è rivelato un viaggio molto più intimo, molto personale.

Di partenza c'è l'idea di raccontare il un muro che è stato costruito al confine tra Polonia e Bielorussia per fermare il flusso dei migranti che sono stati spinti dal presidente bielorusso Lukashenko per creare un valico nuovo per entrare in Europa. Io ho iniziato a seguire questa crisi dall'inizio quando un gruppo di migranti, due settimane dopo la caduta di Kabul si sono ritrovati- ed era effettivamente una cosa molto strana- in un confine che non apparteneva alla famosa rotta balcanica.

Ho cominciato a seguire sui social e a creare una piccola rete di persone che mi dessero informazioni su questi uomini, donne, anziani e bambini in viaggio per trovare un posto dove stare. Successivamente qualche mese dopo sono andata in Polonia con Diego Bianchi per girare un reportage di 50 minuti per Propaganda Live. Mi sono così resa conto di quanta forza ha un racconto, del tipo di arma che avevo in mano per poter in qualche modo fare la differenza, aiutare gli altri, gli attivisti e le persone del luogo.

Decisi così di farne un documentario un po' più complesso seguendo i muri d'Europa partendo, dal muro di Berlino a quelli più recenti. Ma quando fui pronta con la troupe per partire è scoppiata la guerra in Ucraina. Non volevo perdere quei contatti e così insieme alla mia coautrice abbiamo comprato una telecamera, imparato come usarla, come usare il microfono e siamo partite per raccontare quella meravigliosa accoglienza che l'Europa, non solo il mio Paese, la Polonia, stava offrendo nei confronti degli ucraini.

Ma allo stesso tempo non sentivano la stessa empatia rispetto ai rifugiati che venivano da altre guerre, siriani, afghani, da tutti i Paesi dell'Africa ma anche da Cuba da altri posti del mondo.

Nei loro confronti tanti muri invisibili. Ho deciso così di raccontare una storia anche se non sono una giornalista, anche se non sono una reporter, attraverso quello che so fare, lavoro da più di 20 anni con le emozioni, e io volevo costruire un racconto sulle emozioni quindi ho pensato di utilizzare questo mezzo per portare alla luce una storia che stavo vivendo in quel momento è che nessuno voleva sentire.

Una storia difficile da raccontare perché per poterlo fare dovevamo farlo di nascosto con telefonini con tutto quello che avevamo a disposizione. Hanno girato tutti: i miei figli, i miei amici, mio marito, appena accadeva qualcosa dicevo loro, filma, regista, così in presa diretta. In questo documentario uso quindi un linguaggio molto diretto anche se formalmente non perfetto.

 

Questo film è prima di tutto una mia ricerca interiore sulla genesi del male. Testimonia chi non si gira dall'altra parte ma ha aiutato i rifugiati.

E poi mi premeva raccontare quello che sta succedendo adesso, il muro di 186 km lungo tutto il confine tra Polonia e Bielorussia. Per poterlo realizzare è stato tagliato un bosco che in polacco ha proprio un nome specifico si chiama Pustza, bosco antico dove ci sono ancora i bisonti, l'unico posto in Europa. Un parco naturale dove le persone che vivevano intorno hanno dovuto scegliere se fingere che tutto questo non accadesse oppure prendere una strada illegale cioè aiutare spontaneamente altri esseri umani.

Questo film è stato presentato a settembre al Toronto Film Festival e ora al Festival di Roma per poi uscire nelle sale. Spero di poterlo accompagnare il più possibile. Spero di avere la possibilità di incontrare il pubblico e di avere una rete di scambio".

(Videointervista raccolta al Mia Market da Laura Rio)

 

19/10/2023

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