Il massacro del Circeo: stupro e morte per noia. Che fine hanno fatto i carnefici Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido

di Daniela Amenta

“Era nella bara, vestita di bianco e aveva una lacrima, proprio sotto l’occhio destro”. Quando lo racconta Letizia Lopez, sorella di Rosaria, si tocca il volto, indica un punto impreciso tra le labbra e i capelli. Poi si commuove. Perché certe cicatrici non si rimarginano mai. Neppure 47 anni dopo. Neppure rassettando con ostinazione il piccolo appartamento di famiglia a Roma in via di Grottaperfetta, quartiere Montagnola, la “borgata” che in fondo borgata non è mai stata, un quartiere della ex periferia Sud. Qui i Lopez abitavano tutti assieme, i vecchi genitori Maria Antonietta e Giuseppe, e otto figli. Donatella era la più piccola, l’ultima di quella famiglia emigrata dalla Sicilia a Roma negli anni Cinquanta. Aveva 19 anni, faceva la barista, cresciuta in un collegio di suore perché i soldi in casa erano pochi, troppo pochi.

Massacrata al Circeo nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975. Seviziata, pestata, irrisa “perché femmina e povera”, stuprata a turno da Andrea Ghira, Gianni Guido e Angelo Izzo. Uccisa per affogamento nella vasca da bagno di Villa Moresca, la dimora di proprietà della famiglia Ghira. Tra una tortura e l’altra Gianni Guido prese la macchina e tornò a Roma, per cenare con i suoi nel bell’appartamento di via Capodistria 4, quartiere Trieste, dove oggi vive da uomo libero dopo aver scontato poco più di 14 anni di carcere tra evasioni, fughe all’estero, indulto, buona condotta e ottimi avvocati.

 Quella notte di 47 anni fa, dopo la cena, Guido tornò verso il mare per vedere come finiva “la festa”. Non lontano c’è via Pola, dove venne parcheggiata la sua auto, una 127 bianca, che conteneva nel bagagliaio i “corpi delle morte, senti come dormono”. Ci ridevano su i tre massacratori, criminali prima di allora di piccolo cabotaggio, fascistelli cresciuti con la convinzione di farla sempre franca, e così inattendibili e sopra le righe che pure Teodoro Buontempo, il gran capo romano del Fronte della Gioventù, li allontanò dalle sedi frequentate dagli altri giovani neri. Ridevano di ritorno a Roma dopo il massacro, ascoltando la musica dell’Esorcista. Ma, lo sappiamo:  Donatella Colasanti, amica di Rosaria, era viva. Una maschera di sangue, di terrore, ma viva. Anche lei della Montagnola, 17 anni. Urlò, pianse da dentro quel bagagliaio, accanto a Rosaria che non respirava più da ore. Finché un metronotte sentì i lamenti e avvertì i Carabinieri. Erano le 22.50 del 30 settembre 1975.

Dai verbali dell’interrogatorio a Donatella

“Gianni Guido mi aveva fatto sdraiare per terra, mi aveva messo un piede sul petto e legato una cinghia attorno al collo. Ha tirato così forte che alla fine la fibbia si è rotta. Allora ha cominciato a infierire con la spranga e con i calci in testa. Sono svenuta, poi ho finto di essere morta. I morti non provano dolore”.

Donatella Colasanti se n’è andata, dopo una esistenza travagliata e dolorosissima, nel 2005 per un cancro al seno. Vittima anche lei, come Rosaria, di un incubo infinito.

Ad Angelo Izzo fu concessa la semilibertà nel 2004. L’anno successivo uccise Maria Carmela e Valentina Maiorano, madre e figlia. Valentina aveva solo 14 anni. Per questo duplice delitto sta scontando l’ergastolo. Andrea Ghira non ha mai fatto un giorno di galera. Grazie a coperture e amicizie importanti, fuggì poco dopo il massacro del Circeo. Si arruolò nella Legione Straniera, sarebbe morto di overdose a Melilla, nel 1994.  Sarebbe, sembra. Altro non sappiamo. Di Guido abbiamo detto: è libero.

Il giorno dei funerali di Rosaria

Il 4 ottobre 1975, tutta la Montagnola scese in strada, si radunò nel piazzale davanti alla Chiesa del Buon Pastore, l’edificio che porta incise sulla propria facciata le 53 croci di uomini, donne, soldati caduti il 10 settembre del 1943 per fermare l’avanzata nazista, primo e piccolo presidio di Resistenza popolare nella Roma piegata dalla guerra. Una folla immensa, sgomenta, andò a salutare Rosaria: la sorella, l’amica, la figlia di un quartiere che un tempo era periferia, ora è un agglomerato quasi residenziale tra l’Eur e la Garbatella. Tra le tante corone c’era anche quella di Donatella. Ad officiare l’omelia fu un vecchio prete partigiano, Don Pietro Occelli. Disse parole che restano scolpite: «Vi è qui una sperequazione evidentissima che il delitto sottolinea: “loro” hanno avvocati di altissimo grido, hanno una magistratura che guarda benevola, hanno padri ricchissimi. I figli di queste canaglie possono ammazzare, spendere e spandere, assassinare per non annoiarsi….».

Dove Donatella e Rosaria sono cresciute c’è un piccolo parco ora, in loro memoria, a tenere viva una ferita sempre aperta frutto di una “sperequazione evidentissima” e di una giustizia mai completa, di un concetto di impunità in cui alcuni sguazzano tra arroganza del potere,  apologia dello stupro, e, per citare "La scuola cattolica" di Edoardo Albinati , di “quella malattia incurabile dell’essere maschi”.

Musiche: www.fiftysounds.com