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Fabrizio Gifuni e i fantasmi del passato: "Quando Aldo Moro e Pasolini si incontrarono"

Uno dei migliori attori italiani porta in scena due giganti della nostra Storia: i segreti e i retroscena del confronto fra due menti controcorrente

Fabrizio Gifuni. Foto Ansa - Ph.studio Musacchio, Ianniello & Pasqualini -  Ph.Esther Favilla

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Ha solo nove anni quando Pier Paolo Pasolini viene ucciso. Undici quando viene rapito e poi assassinato dalle Brigate Rosse il presidente della DC Aldo Moro. Fabrizio Gifuni, classe 1966, uno degli attori più affermati e apprezzati del panorama teatrale e cinematografico italiano, torna sul palco portando in scena proprio questi due personaggi che hanno lasciato un segno profondo nella storia del nostro Paese, con I fantasmi della nostra storia, al Teatro Franco Parenti di Milano dal 9 al 14 gennaio. Un omaggio all’intellettuale di Casarsa, intitolato Il male dei ricci Ragazzi di vita e altre visioni, ispirato agli scritti del grande poeta  Ragazzi di vita, Poesia in forma di rosa, Lettere luterane, Scritti corsari, Seconda forma de La meglio gioventù  e Con il vostro irridente silenzio Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro.

Moro e Pasolini, due totem non solo dell'artista ma del cittadino Gifuni

Due opere di cui Gifuni è artefice anche per quanto riguarda l’ideazione e la drammaturgia, che rendono omaggio a due figure alle quali l’autore si dedica da molto tempo e che rappresentano una parte importante del suo impegno, non solo di artista, ma di cittadino vigile, attento alla realtà che viviamo. Una vera passione, cresciuta e coltivata negli anni attraverso studi e ricerche approfonditi, per due uomini da conoscere, leggere, scoprire e riscoprire, per capire meglio il passato collettivo ed essere maggiormente consapevoli del presente. Due personaggi Moro e Pasolini che, tra l’altro, si conobbero tant’è che esistono delle foto che li ritraggono insieme. Inoltre, il fratello di Moro, magistrato, fu presidente del tribunale che in primo grado giudicò Giuseppe Pelosi colpevole dell’omicidio di Pasolini.

Storie che si intrecciano, che entrano nel vissuto e che, nel caso di Gifuni, trovano spazio nella narrazione d’autore già vent’anni fa: era infatti il 2004 quando debuttava con ‘Na specie de cadavere lunghissimo, spettacolo culto, andato in scena per dieci anni consecutivi, da lui ideato e interpretato, con la regia di Giuseppe Bertolucci. “Per Eraclito il mondo non è altro che un tessuto illusorio di contrari. Ogni coppia di contrari è un enigma, il cui scioglimento è l’unità, il Dio che vi sta dietro. Continuo a trovare in queste parole qualcosa che si avvicina moltissimo a quel profondo senso di mistero che accoglie la vita, l’opera e la morte di Pier Paolo Pasolini -spiegava Gifuni negli appunti per quel lavoro-. Quando alcuni anni fa iniziavo a pensare all’idea di uno spettacolo su Pasolini, è proprio in termini di opposizione che il mio istinto si muoveva: padre e figlio, natura e opera d’arte, vittima e carnefice erano solo alcune delle antinomie che continuamente si affacciavano sul mio cammino. Ma anche il buio e la luce, la violenza e la mitezza, Dottor Jekyll e Mister Hyde. Ero attento a quello che Pasolini aveva significato da un punto di vista civile, quanto fosse indistricabile quel groviglio di vita, opera e morte. C’era il desiderio di raccontare la tragedia pubblica e privata di un poeta che aveva visto scomparire in soli tre lustri il solo mondo in cui voleva riconoscersi. Il grido lacerante e disperato di un uomo che urlava nel deserto contro l’immoralità e la cecità del vecchio Potere che stava aprendo la strada all’avvento di un Nuovo Potere – di un nuovo fascismo – “il più potente e totalitario che ci sia mai stato”.

Chi sono oggi i Ragazzi di vita 

Fabrizio Gifuni ha continuato il suo percorso e ritorna alle pagine di Pasolini, ai nostri giorni, con una nuova drammaturgia originale. La rilettura di Ragazzi di vita, storicizzata con altri scritti pasoliniani (poesie, lettere, editoriali, interviste), dà vita a un racconto molto personale che l’attore trasferisce in teatro, dialogando ogni sera con i rappresentanti della città, i cosiddetti spettatori. Conduce dentro le giornate di questi giovani, restituisce la loro generosita e i loro egoismi, il comico, il tragico, il grottesco, la violenza di questo sciame umano che dai palazzoni delle periferie si muove verso il centro, in un percorso che è anche un rito di passaggio dall’infanzia alla prima giovinezza. Ma il corpo/voce di Gifuni porta al contempo a misurarsi con un fantasma poetico, una voce inquieta che continua a reclamare un ascolto. 

La morte di Moro e Pasolini inaugura una nuova Italia

Un ascolto che va rivolto anche ad Aldo Moro. “L’affair Moro e quello Pasolini -ha sottolineato Gifuni- rappresentano due ferite che segnano un passaggio tra due diverse Italie. Le loro morti inaugurano un nuovo Paese. Il teatro e il cinema alle volte riescono ad aprire delle porte che sono come dei cortocircuiti. È una grande responsabilità perché puoi falsificare la realtà storica, ma se riesci ad accendere qualcosa, allora diventa una memoria viva, perché si trasmette alle generazioni successive”. E con Moro Gifuni ha un forte legame; allo statista ha infatti dato vita sullo schermo, vincendo il David di Donatello 2023 come miglior attore protagonista, in Esterno Notte di Marco Bellocchio: “Un film speciale che ho amato moltissimo -ha raccontato qualche tempo fa ospite del programma Propaganda Live, su La7-. Si può dire che mi ero portato avanti, perché avevo iniziato a lavorare su questo personaggio già dieci anni fa per scelta e per occasione, a tappe. Prima l’incontro con Marco Tullio Giordana, con un Aldo Moro più giovane, in Romanzo di una strage, del 2012 (“Moro, il ministro degli Esteri di allora è impeccabilmente interpretato da Fabrizio Gifuni”  scrisse Corrado Stajano sul Corriere della Sera, il 28 marzo 2012, ndr), poi un lungo lavoro che ho portato in teatro e cha inaugurato il Salone del libro di Torino nel 2018, sulle lettere e sul Memoriale di Moro, che sono dei documenti incredibili della storia del nostro Paese, e quindi l’incontro con Bellocchio”. Ed è proprio la pièce Con il vostro irridente silenzio ad essere dedicata al Memoriale di Aldo Moro, ossia all’insieme delle lettere e degli scritti che il grande statista italiano elaborò nei 55 giorni della sua prigionia. Si tratta di un corpo di scrittura autografa di Moro, scoperto nel 1990, che parte dalle risposte date ai suoi carcerieri. Aldo Moro durante la prigionia parla, ricorda, scrive, risponde, interroga, confessa, accusa, si congeda. Moltiplica le parole su carta: scrive lettere, si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni; annota brevi disposizioni testamentarie. E insieme compone un lungo testo politico, storico, personale - il cosiddetto memoriale - partendo dalle domande poste dai suoi carcerieri.

“Perché ci ho lavorato? Perché queste carte -sottolinea Gifuni-, sono una sorta di meteorite che viene da un passato che ci appare molto lontano e quello che io faccio in teatro, sempre, è un esperimento con una parte della comunità, gli spettatori che arrivano, i rappresentanti della polis. E’ deporre questo meteorite, incarnarlo e provare a verificare con loro se davvero questo oggetto è un corpo freddo, dimenticato nel tempo, che non ha più niente a che fare con noi, o se quel corpo ci riguarda ancora. Naturalmente sono convinto che ci riguardi moltissimo. E credo che, mentre nella prima parte di questa storia, cioè fino al 1989/90, quelle carte sono state scientemente nascoste, perché urticanti, perché contenenti segreti di Stato nazionali e internazionali -e quindi in qualche modo la nostra responsabilità non c’è, dato che non potevamo leggerle- quel che succede dal 1990 in poi, momento a partire dal quale chiunque può andare in libreria e comprare tutte le lettere di Moro e il Memoriale,  è qualcosa che riguarda noi, cosa ci è successo. Perché ci siamo fatti convincere che la memoria, in questi ultimi trenta quarant’anni, sia una faccenda inutile, divisiva, pericolosa? Penso che se non abbiamo la pazienza di continuare a riannodare i fili che ci legano ai decenni precedenti, ogni mattina ci svegliamo e non ci rendiamo conto di cosa sia successo. Se abbiamo la pazienza di riannodare i fili della storia, il risultato non cambia nel senso che sempre qui viviamo, però abbiamo un po’ più di contezza di quel che è accaduto, siamo un po’ meno sprovveduti. E questo riguarda soprattutto le nuove generazioni”.  

Le analogie tra Pier Paolo Pasolini e Moro

“Due figure distanti, ma con degli imprevedibili punti di contatto. I corpi di Aldo Moro e Pier Paolo Pasolini occupano da quasi mezzo secolo la scena della nostra Storia di ombre", afferma Fabrizio Gifuni. "Corpi a cui non è stata data ancora degna sepoltura. E quando a dei cadaveri non si dà degna sepoltura, come ci insegnano i tragici greci, quei fantasmi tornano continuamente a disturbarci, ed è questo il motivo per cui Moro e Pasolini ricorrono continuamente nel dibattito pubblico. Sono corpi su cui inciampa, storcendosi le caviglie, un’intera nazione: amici, nemici, distratti o interessati, autenticamente indifferenti o affetti da un’assai consapevole ansia di rimozione, è impossibile per molti non farci i conti. E allora può accadere che questi fantasmi vengano a interrogarci con le loro parole, scomode e urticanti, che troppi, quando erano in vita, irrisero, volutamente distorsero o non vollero ascoltare. 

La tragica conclusione delle loro vite matura all’interno di vicende diverse, accomunate però dal medesimo contesto storico: Moro e Pasolini, da postazioni fatalmente contrapposte, vissero con crescente e acuto dolore quello stesso clima, cercando ciascuno di immaginare possibili soluzioni. Pur all’interno di condizioni esistenziali e caratteriali diametralmente opposte, entrambi finirono per sprofondare nel medesimo stato di angoscioso isolamento. Fino al tragico epilogo.

Per questo motivo ho scelto di riportare in scena, eccezionalmente insieme per pochi giorni, i due lavori teatrali più rappresentativi di questo percorso: Con il vostro irridente silenzio - ‘rituale scenico’ dedicato alle carte di Moro e Il male dei ricci - Ragazzi di vita e altre visioni, sintesi e nuova elaborazione drammaturgica di precedenti lavori dedicati a Pasolini. Restituire una voce a questi due fantasmi non è, oggi, soltanto un esercizio di memoria, ma un rito collettivo più che mai necessario a un’intera comunità”.

In scena al teatro Franco Parenti di Milano:
-Il male dei ricci. Ragazzi di vita e altre visioni: martedì 9 Gennaio alle 20; mercoledì 10 Gennaio alle 19.45; giovedì 11 Gennaio alle 21
-Con il vostro irridente silenzio
Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro: venerdì 12 Gennaio alle 19.45; sabato 13 Gennaio alle 19.45; domenica 14 Gennaio alle 16.15

12/01/2024