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Sara Lazzaro: "Luca Argentero e 'Doc' sono il mio salvagente. Ma ora ho un altro amore"

L'attrice racconta l'ultimo anno: "Un giorno ero Agnese, uno Monica di Call my agent e un altro ancora Teresa di Lidia Poet! Con Luca un legame meraviglioso"

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“Avevo visto Scene da un matrimonio, il film di Bergman, anni fa, e l’ho riguardato l’anno scorso per prepararmi allo spettacolo teatrale attualmente in scena. E’ un viaggio incredibile questo testo, e l’ho trovato tuttora molto attuale, in grado di indagare in profondità temi come la relazione tra uomo e donna, l’amore, l’istituzione del matrimonio: argomenti che secondo me rimangono universali”. Sara Lazzaro è entusiasta del suo ruolo di Marianna nella trasposizione teatrale di un caposaldo della celebre produzione di Ingmar Bergman, nata come serie tv nel 1973 e divenuta poi un lungometraggio con gli indimenticabili Liv Ullman e Erland Josephson; la pièce è la nuova produzione del Teatro Franco Parenti di Milano (in scena fino al 24 marzo, prevista una tournée per la prossima stagione) per la regia di Raphael Tobia Vogel, che esplora con tatto e sensibilità, insieme a Lazzaro e all’attore Fausto Cabra nei panni di Giovanni, la complessità della relazione di coppia e dei sentimenti familiari. “Questo lavoro è estremamente stimolante, tocca corde scoperte, smuove internamente chiunque lo porti in scena: chi interpreta Giovanni o Marianna attinge a se stesso, alla propria storia, alle proprie esperienze, anche a quelle d’amore, vissute o non vissute che siano. Devo dire che è stato ed è un viaggio intensissimo”.

Una sfida, professionale e umana, dunque? “Assolutamente. Tornare su un palco per uno spettacolo di due ore e mezza è una sorta di test, e rendermi conto di essere riuscita a dare vita, con Fausto e Raphael, a questa “creatura” è una soddisfazione enorme. Penso che sia anche un insegnamento di vita, perché non si finisce mai di imparare, di alzare l’asticella e di scoprire nuovi aspetti di noi stessi. Spesso non ci rendiamo conto della capacità che abbiamo di superare i nostri limiti e le nostre paure”.

Ancor più con un’opera come questa, impegnativa e profonda “Sì. Perché non è solo un discorso sul matrimonio, è come se una relazione venisse sezionata, e a me piaceva l’idea di questa anatomia, capire quali sono gli elementi che la compongono, lo scheletro, i muscoli che la tengono in piedi. Amare è una parola enorme, e in questo percorso ci siamo interrogati tutti sul suo significato. La risposta? Io non ce l’ho, forse mi ci vorrà tutta la vita per capirlo. Credo che l’amore abbia moltissime forme, c’è chi lo collega alla cura, chi all’ascolto, chi al supporto. Ed è bellissimo che questo lavoro ne parli in modo universale, senza morale e senza giudizio. Qui siamo di fronte a queste due persone, in verità molto sole, che cercano amore nell’altro. Sul palco abbiamo cercato di sviluppare questo tema, e cioè che la relazione con l’altro attiva anche il porsi delle domande rispetto a chi si è, cosa si vuole, affrontando i propri demoni. Spesso si fa del male a noi stessi, e agli altri; è tutto un groviglio di umanità questo testo”.

Un groviglio in cui c’è anche una parte di violenza, che in qualche maniera inquieta “In questo spettacolo c’è, ed è anche controverso, lo è stato con Bergman e lo è qui, con la scelta registica di non risparmiarla. Bergman ha tracciato una linea, e i protagonisti, dopo il momento di rottura, condividono qualcosa. Trovo questo approccio molto coraggioso, e anche un po’ provocatorio, perchè spinge a porsi molte più domande. Si indaga la necessità di due persone che, nonostante il male che si sono fatte, non riescono a staccarsi l’una dall’altra; è una dinamica che si esprime anche in questa imperfezione finale, e interroga su cos’è amare e se questo è amore. E’ una riflessione aperta”.

Oltre al teatro lei frequenta con successo anche la tv e il cinema: che analogie o differenze riscontra, cosa le dà ciascuno di questi ambiti? “Non amo definirmi di un genere o di un altro, ho una formazione internazionale, e posso dire che gli attori inglesi mi sono sempre piaciuti molto. C’è questa idea che l’attore fa tutto, senza un limite, ed è una peculiarità che mi porto dietro; ogni medium per me, ogni aspetto che esploro è complementare, racconta di me, fa sì che io scopra delle parti di me. Fare teatro aiuta il modo di fare cinema e viceversa.

In teatro è bellissimo il corpo, il corpo nello spazio, che parla, mentre il cinema mi ha fatto scoprire cosa vuol dire il dettaglio, lavorare di precisione, esprimersi anche solo con gli occhi. Un elemento che contraddistingue la tv è sicuramente la serialità: avere storie che si susseguono, che rimangono aperte, un personaggio che evolve, ti spinge a trovare tu la malleabilità giusta per creare una coerenza tra quello che hai fatto prima e quello che fai dopo. E’ chiaro che la tv, soprattutto con Doc su Rai 1 mi ha regalato il fatto di essere conosciuta al grande pubblico; soprattutto a Milano mi capita che mi riconoscano e mi dicano “lei sembra Agnese!”; ed è bello, è la potenza e la forza della tv, è la capacità di portare queste storie, questi volti, a un pubblico vario e ampio; e Doc è decisamente riuscito a evitare la lotta del telecomando, ha messo d’accordo varie generazioni!”

Che esperienza è stata Doc? “Sono stati sette mesi di lavoro, davvero un viaggio. E poi, l’anno scorso in particolare è stato un po’ complesso, perché tra maggio e dicembre ho girato quattro progetti diversi in contemporanea. Mi ritrovavo ad essere un giorno Agnese, uno Monica di Call my agent e un altro ancora Teresa di Lidia Poet! Con Luca Argentero si è creato un legame meraviglioso, di grande stima e amicizia; una cosa che posso dire è che, nonostante Agnese sia un personaggio con una vita non facile e ci siano state scene drammatiche, sul set c’è sempre stata una risata, che per me ha rappresentato un salvagente, perché altrimenti rischi di farti schiacciare da quel che interpreti".

Teatro, televisione, cinema… Quali sono i progetti futuri? “L’obiettivo è far viaggiare Scene da un matrimonio, mentre per quanto riguarda la tv posso anticipare che Call my agent avrà la sua terza stagione; e io non vedo l’ora di tornare a interpretare Monica, anche perché è un personaggio che amo moltissimo, e fare un po’ di commedia non guasta. Poi si parla di Lidia Poet, su Netflix, per la seconda stagione, e ho anche ultimato le riprese di Sono Lillo 2, con Lillo, Pietro Sermonti e Corrado Guzzanti. Insomma, ho davvero avuto modo di testarmi su vari registri, per me la cosa più bella e stimolante di questo lavoro”.

22/03/2024