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Roberta Bruzzone, nella mente della criminologa più famosa d'Italia. Il successo, le minacce di morte, la vita privata

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Ascolti in crescita e ottime performance anche su Raiplay. “Nella mente di Narciso”, la docuserie condotta da Roberta Bruzzone, in onda su Raidue in seconda serata, si avvia a concludere la seconda stagione sull’onda di un successo e di un interesse crescente.E, lei, la criminologa più famosa d‘Italia, rivendica con orgoglio il risultato, mentre ha già pronta la terza edizione di questo viaggio attraverso il narcisismo patologico che l’ha portata ad approfondire i casi più eclatanti e controversi della cronaca nera degli ultimi anni, dall’omicidio di Giulia Cecchettin uccisa con 75 coltellate dall’ex fidanzato Filippo Turetta a quello di Veronica Panarello e di Arianna Flagiello. L’obiettivo dichiarato di questo viaggio nel lato oscuro della mente è quello di fornire una sorta di manuale d’istruzioni per riconoscere e allontanare possibili narcisisti e individuare quei comportamenti tossici ai quali prestare particolare attenzione. Il sottotitolo è già una tesi: “le maschere rivelano e non nascondono”.

Dottoressa Bruzzone, perché “Nella mente di Narciso” funziona così tanto in Tv?

“Ciò che funziona è la narrazione, molto concreta, precisa, coinvolgente su temi che così come li tratto io forse non li ha mai trattati nessuno prima. L’obiettivo è tradurre sul piano comportamentale quelle che sono le dinamiche psicologiche delle personalità maligne in tutte le loro sfaccettature. Non solo non sono limitate alle relazioni tossiche ma sono diffuse in tutti gli ambiti relazionali, quindi in famiglia, tra gli amici e in tutta una serie di scenari che probabilmente non sono mai stati esplorati con questa chiave di lettura prima d'ora”.

Questo lavoro di approfondimento che lei sta facendo sta aiutando alcune persone a salvarsi da relazioni tossiche e pericolose?

“Io sono sicura di star aiutando tante persone perché tutti i giorni ricevo centinaia di testimonianze di persone che guardando il programma si sono riconosciute e hanno trovato la forza di avviare un percorso di uscita. Insomma sono certa che il risultato è stato raggiunto”.

Questo testimonia che nonostante si parli tanto dei femminicidi, della violenza di genere, degli abusi sessuali, c’è ancora bisogno di approfondire.

“Forse non se ne parla nel modo giusto e il mio programma ha trovato una chiave diversa. E cioè la lettura di quello che c’è dietro i comportamenti e le trappole e il tipo di effetti che hanno sulle persone, con l’obiettivo di trasformare questi indicatori in qualcosa che può leggere chiunque, non solo un esperto del settore. Le persone si sono accorte che ho scritto un programma con lo scopo di aiutare”.

Lei sembra sempre così decisa, perentoria.

“Non lo sembro, lo sono”.

La professione che svolge le ha un po’ invaso la vita?

“Indubbiamente, io lavoro tanto. Gli spazi di vita personale non sono molti. Ma il fatto è che mi piace molto il mio lavoro e quindi non mi costa dedicarmi principalmente a questo. Cerco di ritagliarmi degli spazi ma certamente il mio lavoro occupa buona parte della mia esistenza”.

Anche perché il suo lavoro si occupa della parte oscura di ognuno di noi.

“Esatto, tutti ce l’abbiamo quella parte, dal primo all’ultimo”.

Lei ha seguito tutti i casi più importanti che purtroppo la cronaca ci ha offerto, dalla strage di Erba al delitto di Avetrana, fino ai casi più recenti come quello di Giulia Cecchettin. Questi casi le hanno abitato la mente o quando è a casa non ci pensa?

“Inevitabilmente. Io lavoro con la mente. Il mio lavoro è principalmente un lavoro di analisi e approfondimento”.

E questo la fa dormire tranquilla lo stesso? 

“Ma io lo faccio per lavoro. Se queste cose mi facessero effetto dovrei cambiare attività”.

Da anni, alla sua professione di psicologa forense e criminologa ha affiancato la televisione. Prima come ospite di programmi di approfondimento come “Porta a porta” o “Ore 14” poi con un programma tutto suo. Che cosa le ha dato la televisione in più?

“Mi consente di arrivare a milioni di persone, quindi di potenziare notevolmente la possibilità di aiutare tanta gente. Cosa che la mia attività professionale non mi permette. La Tv e i social media consentono di raggiungere milioni di persone che hanno bisogno di aiuto, di un aiuto qualificato e di mettere a loro disposizione contenuti che possano guidarli”.

A proposito del narcisismo patologico si può parlare di emergenza?

“Assolutamente sì, io direi che è un’epidemia”.

A cosa è dovuta secondo lei?

“Principalmente al crollo dei modelli genitoriali e quindi al sorgere di personalità profondamente disfunzionali. Davanti a noi abbiamo generazioni di genitori inconsistenti, fragili, incapaci di contenere i loro figli, incapaci di gestirne le emozioni negative. Esattamente ciò che esploro nel mio nuovo libro che sta per uscire che si intitola “L’epoca della rabbia”, ragazzi che uccidono all’ombra di Narciso. È una fotografia di quest’epoca che da un punto di vista psicologico è segnata da un’emergenza”.

Quindi siamo noi genitori che abbiamo mancato un po’ il nostro ruolo?

“Io lo definirei un vero e proprio disastro. E questo potenzia la possibilità che una personalità si sviluppi in maniera malevola”.

Lei crede che un giovane con questo genere di disturbi possa redimersi o almeno migliorarsi?

“Quando si parla di disturbo della personalità migliorarsi è davvero complicato. Il problema vero è evitare che si formino questi disturbi patologici nello sviluppo della personalità. Una volta che si formano metterci le diventa complicato. Vi assicuro che è difficilmente reversibile quel processo”. 

Quindi quando noi leggiamo che Filippo Turetta, condannato in primo grado all’ergastolo, ha deciso di rinunciare a ricorrere in appello, cosa dovremmo pensare?

“Non vuole ricorrere in appello mica perché è cambiato o resipiscente. Ma perché, comunque sia, il parlare di lui disturba una personalità da narcisista covert come la sua. La critica sociale lo angoscia ed è per questo che cerca di sottrarsi a questa situazione. Non certo perché si è pentito di quello che ha fatto. La storiella della resipiscenza mi sembra un po’ difficile da credere”. 

Il narcisismo patologico comunque non è soltanto maschile?

“Certo. Infatti noi nel programma esploriamo anche la parte femminile, non facciamo sconti a nessuno, lo garantisco. Noi esaminiamo il comportamento narcisistico in ogni dove, in ogni ambito, in ogni sfumatura”. 

Ma si può dire che colpisca di più gli uomini?

“Il problema non è capire se colpisca di più gli uomini o le donne ma capire che tipo di conseguenze abbia. Un narcisista maschio ha più probabilità di mettere in atto condotte violente, mentre una narcisista femmina agisce più in maniera triangolante. Fa male, distrugge, annienta, annichilisce, umilia ma lo fa senza arrivare a uccidere”.

Il caso di Alessia Pifferi, la mamma che ha lasciato morire di stenti la sua bambina, è una narcisista?

“A mio modo di vedere, visto che ho esaminato il suo caso, sì. La sua è una forma narcisistica abbastanza grave. È un soggetto unicamente concentrato sui propri bisogni e non tollera la critica dall’esterno. Ragion per cui ha imparato a mentire in maniera sistematica. E infatti la menzogna e l’essere totalmente concentrati su di sé sono due tratti tipici delle personalità narcisistiche”. 

Quando si ha a che fare con un narcisista patologico come si fa ad accorgersene fin dall’inizio del rapporto? Quali sono i segnali?

“Nel nostro programma spieghiamo bene come funziona l’aggancio iniziale, il cosiddetto “love bombing”. In genere si presentano come persone idilliache, perfette, prive di qualsiasi criticità. Il che dovrebbe già renderci abbastanza sospettosi”. 

Il che è piuttosto triste visto che in genere quando ci si innamora si tende anche un po’ a idealizzare la persona amata. E invece bisogna subito sospettare.

“Idealizzare un narcisista credo che sia uno degli errori più tragici che si possa fare nella vita”.

Le è mai capitato di aver a che fare con un narcisista?

“Tutti quanti abbiamo avuto a che fare almeno una volta nella vita con un narcisista. Io non faccio eccezione”.

E in quel caso come si è comportata?

“Ho applicato le regole che suggerisco alle persone che si rivolgono a me e ha funzionato”.

Ovvero? Fuggire a gambe levate?

“Interrompere qualsiasi tipo di contatto e respingere qualsiasi tipo di pressione”.

Come vive la fama, il successo, la riconoscibilità?

“Ha i suoi aspetti positivi ma anche quelli negativi. Non è una condizione idilliaca. Porta con sé  dei vantaggi  dal punto di vista professionale ma anche un sacco di problematiche a livello sociale. Io, ad esempio, non posso andare a fare la spesa al supermercato o a prendere un  caffè al bar perché mi fermano in dieci. Avere un minuto di privacy è un problema. E poi inevitabilmente si attira l’attenzione di un sacco di squilibrati”.

Lei ha ricevuto delle minacce?

“Sì, ci sono delle persone sotto processo per questo. Quando ricevo delle minacce io denuncio sempre. Una persona che minaccia online va attenzionata e di solito faccio in modo che a dare questa attenzione sia un giudice in modo che spieghi a queste persone anche a stare al mondo.  Davanti a un giudice credo sia utile per loro imparare che c'è un limite, perché con me varcare quel limite diventa molto problematico”.

E lei come ha reagito da un punto di vista emotivo?

“Vivo con la costante consapevolezza che purtroppo posso incorrere in rischi e quindi mi metto in condizione di non correrli. In tutti gli eventi pubblici da anni ho un servizio di sicurezza e nessuno può avvicinarsi a me senza passare quel filtro”.