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Annamaria Bernardini De Pace dichiara guerra al sito sessista. E spunta una nuova clamorosa ipotesi di reato

Assieme a un pool di 12 legali, la nota matrimonialista ha già "raccolto qualche centinaio" di segnalazioni di donne, soprattutto "attraverso associazioni", relative al forum sessista. Un vertice in Procura, a Roma, per esaminare il materiale raccolto finora e decidere i passi futuri

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Annamaria Bernardini de Pace (Ansa)

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Il clamore mediatico è stato grande. Ora bisogna vedere dove si arriverà. Una pioggia di segnalazioni in poche ore da parte di donne che hanno trovato i propri scatti in rete, pubblicati su siti sessisti senza il loro consenso. A raccoglierle l'avvocata Annamaria Bernardini de Pace che nei giorni scorsi ha lanciato una class action dopo l'esplosione dello scandalo delle foto 'rubate' (anche a politiche, attrici e influencer) finite sulla piattaforma Phica.eu. Assieme a un pool di 12 legali, la nota matrimonialista ha già "raccolto qualche centinaio" di segnalazioni di donne, soprattutto "attraverso associazioni", relative al forum sessista.

E' già iniziato, quindi, il lavoro per intraprendere azioni penali, attraverso denunce anche civili, con richieste di risarcimento alle piattaforme interessate. "L'idea - ha spiegato Bernardini de Pace - è quella di 'violentare' la giurisprudenza, così come sono state violentate queste donne che hanno subito uno stupro di gruppo. Se riuniremo mille denunce forse i giudici si preoccuperanno di questo fenomeno".

Il lavoro della Polizia postale 

Nel frattempo va avanti il lavoro della polizia postale per risalire ai gestori di quelle piattaforme e anche a chi postava le immagini o le accompagnava con commenti volgari e offensivi. Nelle prossime ore, dopo aver ricevuto un'informativa degli investigatori, la Procura di Roma potrebbe aprire un fascicolo. Non si può escludere che possa configurarsi anche il reato di estorsione. Una delle vittime, infatti, ha dichiarato nei giorni scorsi a Repubblica di aver ricevuto la richiesta da parte del sito Phica di versare "mille euro al mese" per ottenere la rimozione di contenuti sensibili, ovvero sue foto. Inoltre era già emerso che ad alcuni utenti del portale, in piedi da venti anni e che contava circa 38mila iscritti, era stato chiesto il versamento di un contributo per essere eliminati dagli iscritti.

Due episodi che potrebbero quindi spingere i magistrati ad indagare anche su altre fattispecie di reato, oltre al revenge porn, la diffamazione aggravata, la violazione della privacy e la diffusione di immagini a contenuto sessuale.

"Non sono io il gestore del sito"

Intanto l'imprenditore italiano tirato in ballo nella vicenda si difende ai microfoni del Tg5. "Non sono io il gestore del sito" spiega Roberto Maggio, manager di origini italiane che vive tra Dubai e Sofia. Racconta di essere stato associato al sito Phica.eu solo perché la sua Hydra (una società di consulenza con sede legale a Sofia in Bulgaria che attraverso un complesso lavoro di ricerca fatto da esperti di sistemi digitali sarebbe risultata collegata al sito sessista) "gestisce i sistemi di pagamento all'estero".

"La nostra attività - precisa - si concentra solo sulle transazioni, non sui contenuti". Poi dice di non essere stato contattato dalla polizia postale, "ma sono sicuro - afferma - che abbiano gli strumenti per identificare chi è il vero proprietario del sito". 

Ancora poche le denunce

Intanto si va avanti. Come si legge sul Corriere della Sera, oggi ci sarà un vertice in Procura, a Roma, per esaminare il materiale raccolto finora e decidere i passi futuri della nascente inchiesta sui cosidetti siti «sessisti», il gruppo Facebook «Mia Moglie» e il sito Phica.eu, dove sarebbero circolate decine di migliaia di immagini non autorizzate di donne, anche famose, in contesti privati e pubblici.

La cosa che salta agli occhi è che sarebbero ancora poche le denunce. Anche perché gli accertamenti della polizia postale sembrano poter condurre a contestazioni ancora più gravi degli “insulti beceri, dei commenti violenti e dell’utilizzo di immagini di profili pubblici in contesti così lontani dai soggetti fotografati: si parla di estorsioni, ricatti, fino a ipotizzare una possibile associazione a delinquere che prende ‘in ostaggio’ quelle foto e chiede denaro per rimuoverle e cancellarle. Il primo passo è decidere se unificare a Roma le denunce arrivate anche in altre Procure”.

Sembra che alcune vittime si siano viste chiedere - come si accennava prima - "cifre che arrivano fino a qualche migliaia di euro, sul falso presupposto del lavoro necessario a rimuovere quel materiale". C'è infatti un problema, "perché i server di riferimento sono risultati essere in Cina e Russia, quindi fuori dal controllo di un singolo gestore italiano, tenendo fermo che di questo si tratti".