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Da Favino a D’Urso, tutti firmano per Fahimeh Karimi, condannata a morte in Iran. Donne colpite al seno e ai genitali

Oltre 25.000 le firme per salvare l’allenatrice di pallavolo e madre di tre bambini piccoli. Gli agenti reprimono le manifestazioni anche sparando da distanza ravvicinata alle donne e colpendole al volto, agli occhi, al seno e ai genitali

di CL.M.

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Mentre dall’Iran arrivano notizie di condanne a morte, sommarie esecuzioni e spregevoli reazioni delle forze dell’ordine che colpiscono le manifestanti mirando al volto e ai genitali, in Italia si moltiplicano le adesioni alla petizione online lanciata dal quotidiano La Stampa su Change.org per salvare la vita all'iraniana Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre bambini piccoli, condannata a morte per aver sferrato calci a un paramilitare Basiji durante le proteste seguite all'uccisione di Mahsa Amini.

L’appello su Change.org

L'appello, indirizzato all'ambasciatore dell'Iran in Italia, Mohammad Reza Sabouri, al capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Mohseni Ejei, e al ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha già superato le 25mila sottoscrizioni. Tante anche ieri le firme di personalità della cultura e della politica: da Enrico Letta a Matteo Renzi, da Giuseppe Conte al sindaco di Milano Beppe Sala, dal ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano agli ex presidenti della Camera Roberto Fico e Laura Boldrini. Poi ancora: Carla Bruni, Fiorello, Favino, Paola Cortellesi, Roberto Saviano, Luca Barbarossa, Serena Dandini, Michela Murgia, Barbara D’Urso, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. E anche dalle personalità del mondo dello sport, da Giovanni Malagò a Marco Tardelli e Ciro Ferrara ma pure l’allenatore della Nazionale di calcio Roberto Mancini. I firmatari chiedono che Italia e Ue facciano pressione per la sicurezza e l'incolumità delle migliaia di arrestati nelle proteste in Iran.

La prima esecuzione di un manifestante

Fahimeh Karimi è stata condannata a morte assieme ad altre 11 persone e la magistratura iraniana ha confermato nei giorni scorsi la pena capitale per cinque persone. La prima è già stata eseguita: il 23enne Mohsen Shekari è stato impiccato all’alba di ieri. È stato ritenuto colpevole di 'inimicizia contro Dio', per 'aver bloccato una strada, aver estratto un'arma con l'intenzione di uccidere e avere ferito intenzionalmente un ufficiale durante il servizio'. I fatti risalgono alla fine di settembre, quando da pochi giorni erano esplose le dimostrazioni per Mahsa Amini, la 22enne di origine curda morta per le bastonate alla testa mentre era in custodia della polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. I familiari del ragazzo, che avevano presentato appello contro la sentenza di morte, hanno saputo che la condanna era stata eseguita mentre attendevano sue notizie fuori dal carcere dove era detenuto. Il corpo, ha fatto sapere lo zio, non è stato consegnato ai parenti. Quella di Shekari è la prima esecuzione di un manifestante di cui si è avuta notizia, anche se alcuni attivisti ritengono che ve ne siano già state altre.

La confessione e il processo farsa

'Corriamo il rischio di avere esecuzioni di manifestanti ogni giorno', ha detto Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore della ong Iran Human Rights con sede ad Oslo, chiedendo iniziative a livello internazionale. Anche Amnesty International ha lanciato un appello affinché le autorità iraniane pongano 'immediatamente fine alle esecuzioni previste e smettano di utilizzare la pena di morte come uno strumento per la repressione politica contro i manifestanti'. Secondo l'Ong, il giovane è stato condannato in un 'processo farsa, esageratamente iniquo', mentre la magistratura iraniana ha fatto sapere che la sentenza è arrivata dopo che il ragazzo aveva ammesso i suoi crimini in tribunale. Una 'confessione' che secondo gli attivisti, e i media dissidenti con sede all'estero, è stata forzata, dal momento che i video in cui il giovane ammette le sue colpe, diffusi da canali televisivi legati alle Guardie della rivoluzione, lo ritraggono con il volto tumefatto.

Spari sulle manifestanti

Le proteste sono continuate anche ieri, seppure in poche città, ma si erano invece intensificate nei giorni scorsi trovando ancora una dura reazione da parte delle forze di sicurezza. Gli agenti reprimono le manifestazioni anche sparando da distanza ravvicinata alle donne e colpendole al volto, agli occhi, al seno e ai genitali. Lo hanno denunciato al Guardian medici iraniani di varie città del Paese che trattano i feriti in segreto per evitare l'arresto: raccontano di essere ormai traumatizzati dai corpi delle donne che vedono arrivare.

Politici e attori contro l'esecuzione del manifestante

Il leader del 'movimento verde' del 2009 ed ex primo ministro dell'Iran, dal 2010 agli arresti domiciliari, Mirhossein Mousavi ha contestato l'esecuzione di Mohsen Shekari. 'Impiccagioni e spari non fermeranno il movimento del popolo per la libertà', ha affermato il politico riformista. 'Questo governo tirannico finirà soltanto con il massacro e la distruzione, il popolo sicuramente resisterà', ha aggiunto. Critiche all'esecuzione della pena capitale per Shekari sono arrivate anche da molte celebrità del mondo dello spettacolo, tra cui la nota attrice Taraneh Alidousti, che aveva pubblicato sui social media la fotografia del 23enne giustiziato affermando che ci saranno 'conseguenze' per il governo che ha definito 'assetato di sangue'.

Le reazioni internazionali

Mentre il governo mantiene una linea durissima rispetto alle proteste, la condanna a morte inflitta oggi ha attirato aspre critiche da Stati Uniti ed Europa, inclusa l'Italia. 'E' un punto di non ritorno', ha avvertito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, assicurando che 'continueremo in ogni sede, con le nostre pressioni diplomatiche, a difendere la libertà e i diritti umani violati da Teheran'. Dure condanne sono arrivate anche dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna. Per Washington si è trattato di 'una escalation sinistra dei tentativi del regime per eliminare tutte le critiche e reprimere le manifestazioni', di cui gli Usa 'chiederanno conto al regime'. Teheran ha replicato con un contrattacco. 'Nel contrastare le rivolte, l'Iran ha mostrato la massima moderazione e, a differenza di molti regimi occidentali che diffamano e reprimono violentemente anche i manifestanti pacifici, l'Iran ha impiegato metodi antisommossa proporzionati e standard. Lo stesso vale per il processo giudiziario: moderazione e proporzionalità', ha affermato il ministero degli Esteri, respingendo 'l'ipocrita paternale' da parte dell'Occidente.

09/12/2022