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La figlia del boss Messina Denaro e le altre figlie della mafia, divise a metà

Nei pizzini Matteo Messina Denaro la chiamava “sciacqua-lattuga” e la definiva “degenerata”. Ora Lorenza ha il suo cognome. Ma il legame di sangue per le figlie di mafia deve fare i conti con l'amore per i figli e il desiderio di una vita normale

Foto Ansa e Instagram

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Nei pizzini, Matteo Messina Denaro la chiamava “sciacqua-lattuga” e la definiva “degenerata” e, durante la latitanza, considerava la figlia della maestra Laura Bonafede, poi arrestata, come fosse l’unica “sua vera” figlia.
Insomma, a 27 anni, Lorenza Alagna, che aveva sempre scelto il cognome della madre, ha trovato il legame del sangue e da qualche giorno, ufficialmente, è Lorenza Messina Denaro.
Del resto, l’aveva scritto anche sul suo profilo social: “Quanto vorrei l’affetto di una persona e purtroppo questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino… “. Parole di una ragazza che voleva solo il suo papà, nient’altro. 
Non una fiancheggiatrice, non una complice, non un’omertosa. 
Una ragazza siciliana come tante che in classe faceva, e anche bene, i temi antimafia e che è a tutti gli effetti figlia della generazione cantata da Jovanotti in quello che è il suo capolavoro assoluto, “Cuore”, scritta nel 1992, quando dire certe cose non era così scontato, non era così ovvio:

“Migliaia di ragazzi in piazza a Palermo/un saluto alla bara del giudice Falcone,/hanno bisogno di una risposta,/hanno bisogno di protezione./I ragazzi son stanchi dei boss al potere;/i ragazzi non possono stare a vedere,/la terra sulla quale crescerà il loro frutto bruciata/e ogni loro ideale distrutto./I ragazzi denunciano chiunque acconsenta/col proprio silenzio a un’azione violenta./I ragazzi son stanchi e sono nervosi,/in nome di Dio a fanculo i mafiosi./ I ragazzi denunciano chi guida lo Stato/per non essersi mai abbastanza impegnato,/ a creare una via per chi vuole operare,/senza esser costretto per forza a rubare,/per creare una via per gli uomini onesti,/per dare ai bambini valori robusti/che non crollino appena si arriva ai diciotto,/accorgendosi che questo mondo è corrotto./I ragazzi non credono ad una parola/di quello che oggi c’insegnano a scuola./I ragazzi diffidano di ogni proposta/non stanno cercando nessuna risposta,/ma fatti, giustizia, rigore morale/da parte di chi calza questo stivale./I ragazzi hanno il tempo che li tiene in ostaggio,/ma da oggi han deciso di farsi coraggio/perché non ci sia un’altra strage di maggio,/per uscire ci vuole cultura e coraggio/cultura di pace, coraggio di guerra,/il coraggio di vivere su questa terra/e di vincere qui questa nostra battaglia,/perché quando nel mondo si parli d’Italia/non si dica soltanto la mafia, i mafiosi,/perché oggi è per questo che siamo famosi,/ma l’Italia è anche un’altra,/la gente lo grida:/i ragazzi son pronti per vincere la sfida”.

Ecco, l’ho citata tutta, perché i figli e soprattutto le figlie dei mafiosi sono stretti fra due spinte fortissime: da un lato quella che li vuole parte, fortemente parte, di questa generazione raccontata da Lorenzo, dall’altro quello del legame di sangue.
E proprio la scelta di Lorenza che diventa proprio oggi Messina Denaro racconta benissimo tutto questo, così come la scelta di suo papà – il mostro che in questa occasione diventa semplicemente papà – di non riceverla in ospedale per non farsi vedere troppo sofferente.

Le figlie di mafia

Ma le donne di mafia, le figlie di mafia, hanno tante sfaccettature. Ad esempio, la storia di Rosa Di Fiore, che ha ispirato il film con Elodie protagonista presentato lo scorso anno alla mostra del cinema di Venezia. Rosa, la donna più bella di San Nicandro Garganico, nata in una famiglia non mafiosa, si era sposata con un boss del paese, mettendo al mondo tre figli. Ma, mentre il marito era in carcere per droga, si è innamorata di un altro boss, di una famiglia rivale, scappando con lui e dando alla luce un altro figlio.
Ne nasce una storia che sa di tragedia greca, di Giulietta e Romeo, di Montecchi e Capuleti, con Rosa che viene segregata e con la complicità della madre di uno dei due – un altro tipo di donna di mafia - umiliata e maltrattata, solo per aver generato dei figli della famiglia rivale, destinati anch’essi alla morte. Per salvare i suoi figli Rosa Di Fiore ha cominciato a collaborare con la giustizia, raccontando tutto ciò che sapeva su omicidi, mandanti, esecutori e altri crimini efferati. “Non volevo che i miei figli diventassero come i loro padri. Non avrebbero avuto la possibilità di essere normali”.

Donne, altre donne di mafia. Ad esempio quelle della ‘ndrangheta che scelgono i percorsi di “Liberi di scegliere”, che hanno la stessa storia di Rosa: «È sempre l’amore per i figli la chiave di volta dei risultati». 
Perché, come sempre, siamo al solito bivio: ci sono le donne di mafia, delle mafie: quella storica siciliana, la ‘ndrangheta calabrese, sempre più forte e aggressiva, la camorra campana e la Sacra Corona Unita e la mafia del Gargano in Puglia, anch’essa ogni giorno più devastante.
Tra Calabria e Sicilia oggi ci sono oltre 150 ragazzi coinvolti nei percorsi di Liberi di Scegliere. Ha spiegato il giudice minorile Roberto Di Bella a “Il reggino.it”: “Sono circa venticinque le mamme che hanno lasciato tutto per ricongiungersi con i figli, già trasferiti in un’altra località per nuovi percorsi di vita”.
O, ancora, Lea Garofalo, testimone di giustizia che parlò delle faide interne alle varie famiglie e poi fu uccisa e il suo corpo distrutto, dato alle fiamme e ridotta in oltre duemila frammenti ossei. Un percorso, quello della dissociazione, nato in nome di sua figlia Denise.

The Good Mothers

Una storia raccontata anche nella serie tv The Good Mothers”, prodotta da Disney+ e interpretata, fra le altre da Micaela Ramazzotti, insieme a quella di Maria Concetta Cacciola, anch’essa testimone di giustizia e poi vittima della ‘ndrangheta e uccisa dall’organizzazione, con il resto della famiglia, compresa la parte femminile, a fare pressioni perché ritrattasse e i suoi bimbi, persino i suoi bimbi, strumentalizzati contro la mamma. In una delle sue ultime telefonate, confidò ad un'amica di vivere schiacciata tra il timore di non vedere più i suoi figli e la paura di essere uccisa al suo ritorno.
A differenza di Lea e Maria Concetta, Giuseppina Pesce è ancora viva, dopo aver sfidato la cosca di Rosarno. Ma non ha gradito la serie tv e ha contestato il fatto che la sua storia fosse raccontata senza autorizzazione e con alcune forzature, come quella del rapporto con suo padre. Che non rinnega.
Spessissimo le storie delle donne e delle figlie di mafia sono storie dei figli delle figlie di mafia e le scelte di dissociazione nascono proprio per salvare i bimbi da una sorte segnata.

Leggendo i loro racconti (raccolti in parte nel libro edito da Edizioni Paoline e in questo caso l’editore non è un particolare) “Figli dei boss, vite in cerca di verità e riscatto” di Dario Cirrincione si scopre che la maggior parte delle figlie dei boss hanno avuto consapevolezza del “lavoro” dei loro padri o delle loro madri quando avevano fra i sette e i nove anni, mentre in alcuni casi la presa di coscienza è avvenuta durante la prima fase dell'adolescenza
La verità a volte è stata appresa da quotidiani, tv, carte processuali trovate a casa o discussioni origliate in famiglia. 
Il racconto delle ragazze (e dei ragazzi) è impressionante: c’è chi racconta di avere visto il padre in piedi per la prima volta solo in età adulta, segno che il genitore era al 41bis e i ragazzi lo vedevano dietro un vetro, seduto nella sala dei parlatoi. E poi bimbe (e bimbi) che hanno festeggiato i compleanni senza gli amici perché a casa del boss non si poteva andare a giocare o l’impossibilità di avere storie d’amore per queste ragazze.
Ha raccontato un collaboratore di giustizia: “La donna non è mai stata, né sarà mai affiliata, ma ha sempre un ruolo fondamentale. La donna non si è mai seduta intorno a un tavolo per una riunione, ma c’è sempre stata lo stesso. Molte riunioni si sono svolte in casa mia, o in quella di mia madre o mia sorella. Sentono tutto, ma non possono dire nulla. Le donne sono portatrici di segreti”.
Poi, c’è chi preferisce la famiglia alla Famiglia.
E l’ordine delle maiuscole, quelle del cuore, si può tranquillamente invertire. 

16/09/2023