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La preside, Carol, le donne, la stampa e la sensibilità femminile

Per l’ennesima volta o letto cose e ho visto cose di uno squallore incredibile in un’ignobile gogna mediatica di cui i giornalisti sono molto, ma molto più responsabili dei magistrati

La preside Carol le donne la stampa e la sensibilità femminile
di Redazione

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In questi giorni ho letto moltissimo sul femminicidio di Rescaldina e sulla vicenda della dirigente scolastica del liceo Montale di Roma e la sua al momento ancora presunta, ma probabilmente reale (cambia poco, anzi non cambia assolutamente nulla), relazione con uno studente maggiorenne consenziente.

E, per l’ennesima volta, esattamente come ho raccontato nei giorni scorsi parlando degli indagati sbattuti in prima pagina con le foto più lombrosiane a disposizione – in un’ignobile gogna mediatica di cui i giornalisti sono molto, ma molto più responsabili dei magistrati che fanno il loro mestiere indagando, meno quando divulgano atti secretati – ho letto cose e ho visto cose di uno squallore incredibile.

Ho visto Carol Maltesi, una donna e una mamma che, dopo aver perso il lavoro con il lockdown aveva messo le sue immagini sulla piattaforma onlyfans e poi faceva spettacoli hard in locali di mezza Italia, per mantenere suo figlio.

E allora?

Il punto è che Carol Maltesi è stata fatta a pezzi, messa in frigorifero e poi il suo corpo maciullato è stato buttato via in quattro sacchetti della spazzatura.

Eppure in tutti i titoli di giornali e siti si è parlato più del lavoro di Carol che del suo corpo maciullato, della ferocia con cui è stata uccisa questa donna.

Lei, la reproba, “la pornostar”.

Lui, l’ex fidanzato e amico, “bancario e food blogger”, con foto in cui si vede che è anche belloccio, e chissenefrega se ha pianificato un omicidio tanto cruento da far passare il canaro del Quadraro come un agnellino maestro di buone maniere ed emulo di monsignor della Casa.

Eppure, nei titoli, e nel racconto dei due protagonisti di questo dramma, i ruoli sembravano ribaltati e la colpevole lei.

Come, se con decenni di distanza, fossimo ancora al processo per i fatti del Circeo, al “Processo per stupro” dove i difensori degli imputati incalzavano la vittima sottintendendo che si era andata a cercare la violenza con comportamenti sconvenienti.

Ecco, il processo per stupro diventò film nel 1979; sono passati più di quarant’anni, ma la cultura della stampa di questo Paese, dove c’è chi pensa che il sospetto sia l’anticamera della verità e simili amenità, perchè il brodo di coltura è lo stesso, è rimasto quello.

Con i ruoli ribaltati e le donne colpevoli.

Casualmente, ma a volte il caso racconta certe storie molto meglio di profondi e lunghi trattati sociologici, negli stessi giorni è scoppiato il caso del liceo Montale di Roma, dove la dirigente avrebbe avuto una relazione con un alunno maggiorenne, che nel frattempo ha registrato tutto e ha conservato e divulgato il suo bottino un po’ come Monica Lewinsky con il vestito sporco di Clinton.

Il punto è che questa dirigente – che non ha fatto assolutamente nulla di penalmente rilevante e al massimo può aver mancato a qualche codice disciplinare – è stata data in pasto al popolo assetato, che è lo stesso che guardava le foto lombrosiane dei politici imputati pensando che era tutto un magna magna e che quindi questa preside è una vergogna, una persona squallida che va punita.

Eppure, abbiamo visto nomi di professionisti e medici che abusavano delle proprie pazienti non divulgati in nome di un (per me sempre giusto) garantismo.

Eppure, abbiamo visto professori accusati di aver abusato delle loro alunne minorenni preservati. E posso dirlo? Trovo paradossalmente giusto persino questo, in nome della presunzione di innocenza e anche in nome della tutela delle vittime che, una volta reso noto il nome del docente sarebbero state individuabili.

Ma allora vorrei sapere un motivo, uno solo, perchè invece la vita della preside deve essere data in pasto a tutti, il suo nome, la sua foto, il suo rapporto con il ragazzo, le chat e i sonori.

E, ribadisco, tutto questo è colpa della stampa, di chi si riempie la bocca di codici deontologici salvo poi dimenticarli per un titolo ammiccante, per un particolare un po’ hard e un po’ trash in più. Tentativo fra l’altro generalmente inutile al fine di raccattare qualche copia o click in più perchè c’è sempre chi fa di peggio e di più.

Insomma, basta invocare la “libertà di informazione” o l'”interesse pubblico” per divulgare spazzatura.

Era così quando si invocava libertà di pubblicare intercettazioni del tutto inconferenti con le inchieste e che avrebbero dovuto essere distrutte prima ancora di arrivare sul tavolo di chi poi decideva di pubblicarle ed è così sulla professoressa. Con l’aggravante che in questa storia non c’è nulla, ma proprio nulla, che possa avere un minimo di rilevanza penale.

Tutte queste cose le ho trovate anche in due post di Cinzia Marongiu e di Jessica Nicolini, che ringrazio moltissimo per la loro sensibilità, che è la stessa mia, così come ringrazio Stefano Loffredo di tenere da due giorni in homepage su Tiscalinews l’ottimo articolo di Cinzia. E insieme a loro ringrazio Carlo Alberto Alessi, Tea Meregoni, Frank Cimini, Barbara Barattani, Cinzia Pennati, Francesca Forleo, Marco Menduni, Simone Torello, Albert Pasta, Paolo Giampieri, Agostino Gianelli, Marcello Zinola, Sara Armella, Vincenzo Angilletta, Paola Cerri, La Matti, Roberto La Salandra, Lilia Bonicioli, Giorgio Pesce, Lorenzo Calza, Roberta Ruggeri, Paolo Mazzetti e pochi altri che ho visto sostenere le stesse tesi, con argomenti diversi, ma la stessa sensibilità.

E mi piace dedicare tutto questo a Josephine Hart, che è la persona più capace di emozionarmi e di emozionarsi che io conosca, e a Valentina Carosini che non smetterò mai di ringraziare in quanto portatrice sana di sensibilità.

Poi, certo, si possono riempire le bacheche di foto con la striscia rossa sul viso il giorno della giornata contro le violenze sulle donne.

Poi, certo, si possono postare tutte le mimose che si vogliono l’8 marzo e festeggiare le donne a parole, mentre poi magari si ridacchia sulle battute sulla “pornostar uccisa” o si guarda con spirito voyeuristico ogni virgola delle chat della preside.

Il punto è che basterebbe un po’ più di sensibilità femminile, che non significa automaticamente più donne, perchè anzi alcune delle cose più volgari e agghiaccianti su queste due storie le ho sentite proprio da bocche di donne.

04/04/2022