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Agropirateria: perché non bisogna abbassare la guardia contro le frodi alimentari

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Arrivano alle dogane, si sentono protetti, ma prima o poi cadono nella rete. Sono gli agropirati, che possono contare, dentro e fuori l’Italia, su complicità. Se il reato di frode in commercio, come ha raccontato Tiscali, venisse depenalizzato, verrebbero vanificati anni di contrasto alla criminalità dell’agroalimentare, con gli agropirati, sottratti al codice penale e per nulla intimoriti da sanzioni amministrative, pronti a tornare sulla scena, continuando a falsificare marchi ed etichette e a vivere, pertanto, di illeciti guadagni.

Un quadro, quello del business delle agromafie, ricostruito dai rapporti Eurispes sui crimini agroalimentari, con il secondo, del 2013, che illustra i meccanismi delle truffe dell’olio, con l’importazione da Spagna, Grecia e Tunisia di oli grezzi di “infima qualità” quindi “miscelati con basse quantità di oli realmente italiani” e successivamente “deodorati”, trattati, cioè, con lavaggi chimici, per eliminarne il “forte odore, il gusto acre e l’eccessiva acidità derivanti da una cattiva conservazione delle olive raccolte che vengono lasciate per lungo tempo sotto al sole in cumuli oppure stipate nei cassoni degli autocarri favorendo la formazione di alcol metilici ed etilici degli acidi grassi attraverso un processo di fermentazione”, con l’olio, così adulterato, imbottigliato con l’etichetta “sommersa da riferimenti all’italianità del prodotto” tale da “confondere il potenziale acquirente”.

Il rapporto già lanciava, e quindi due anni prima dello scandalo sul falso extravergine d’oliva, l’allarme contro le possibili frodi dopo l’acquisizione da parte del colosso alimentare spagnolo Deoleo S.A. dei principali marchi italiani del settore oleario, acquisizione considerata, più che un rilancio dei marchi, un tentativo di “svuotarli, utilizzandoli come veicoli per commercializzare gli oli di bassa qualità”, sfruttando “la fama dei marchi italiani nel mondo” e trovando, così, “uno sbocco commerciale anche agli oli spagnoli, tunisini, greci che altrimenti avrebbero scarso (se non addirittura nullo) appeal”.

E mentre l’olio-truffa è arrivato sulle tavole degli italiani, consumatori del mercato primario, che acquistano, cioè, i prodotti in buona fede, Transcrime, centro di ricerca dell’Università Cattolica di Milano e dell’Università degli Studi di Trento, con il recente rapporto Estimating the counterfeit markets in Europe ha stimato, analizzando dieci categorie merceologiche, quanto i cittadini comunitari spendono ogni anno in prodotti contraffatti, con il mercato del cibo e delle bevande analcoliche che svetta sugli altri. Circa 9 miliardi, pari allo 0,7% del Pil continentale, con un investimento annuo pro capite di 528 euro, queste, le stime. L’Italia, con 918 milioni, è al quinto posto, con 195,8 spesi per cibo e bevande analcoliche, 156,8 per l’abbigliamento, 140,1 per medicinali e prodotti farmaceutici, 99,2 per elettrodomestici, 91,6 per profumi e articoli per la cura della persona, 74,4 per calzature, 71,9 per strumenti informatici e telecomunicazioni, 46,6 per gioielli e orologi, 21,8 per supporti di registrazione audio e video, 19,8 per giochi e articoli per il tempo libero.

Per dare un’idea di quanto i tentativi di frode in commercio danneggino, ad esempio, l’olio italiano, abbiamo esaminato alcuni casi, fonte l’archivio dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Centri di snodo del malaffare sono, in particolare, i porti italiani, dove arrivano oli grezzi dall’estero e da dove partono, alla conquista dei mercati stranieri, venduti a peso d’oro, oli, spesso falsamente italiani, di bassa qualità. Altro prodotto in voga sono i falsi pomodori San Marzano, come quelli dei 12.000 barattoli sequestrati nel 2009 nel porto di Napoli con olio extra-vergine d’oliva con etichettatura irregolare. Nel 2010, sempre in Campania, ma a Salerno, fu, invece, sequestrato un container per gli Stati Uniti con 2.116 bottiglie di olio etichettate come extra-vergine, con 864, da un litro, risultate di olio d’oliva lampante, quindi non commestibile, e 1.320, da mezzo litro, di olio d’oliva vergine.

Nel 2012 a Civitavecchia furono sequestrati, destinati a Iran, Stati Uniti, Hong Kong, nonché territori britannici dell’Oceano Indiano, 6 container con 9.267 confezioni di olio – circa 75 tonnellate per un valore di 272.000 euro – etichettate come extra-vergine, in realtà olio d’oliva vergine, come l’olio del carico in partenza per Canada e Stati Uniti di 10.758 cartoni – circa 74 tonnellate per un valore di 225.893,88 euro – di bottiglie etichettate Extra Virgin Olive Oil o quello di 568 cartoni per El Salvador con 5.220 bottiglie per un totale di 8.402 litri – 7 tonnellate per un valore di 17.695,00 euro – etichettate, anche queste, Extra Virgin Olive Oil.

Nel 2013 la dogana di Palermo, in collaborazione con quella di Gioia Tauro, bloccò il carico di un esportatore siciliano con 4.232 bottiglie per il Canada con finto extravergine. Nel 2014 nel porto di Bari fu, invece, sventata la spedizione – beneficiaria una ditta albanese – con falsa bolla di accompagnamento di 25 tonnellate di olio di qualità inferiore.

Assai richiesto, in particolare all’estero, è l’olio siciliano del Belice, prodotto DOP che gli agropirati tentano di smerciare, imbottigliando ben altro. Nel 2009 a Palermo fu, ad esempio, scoperta una partita di 1000 confezioni di olio extravergine per gli Stati Uniti con marchio contraffatto e la falsa indicazione Valle Del Belice DOP. Nel container, ben nascoste, furono anche rinvenute 1.350 latte di olio, con miscela di oli vegetali, etichettate Extra Virgin Olive Oil. Nel 2014, sempre a Palermo, furono sequestrate, destinate al Canada, 25.000 bottiglie di olio extravergine con falso simbolo europeo per prodotti DOP e 7.990 bottiglie con etichetta, contraffatta, Valle del Belice DOP.

C’è chi, invece, tenta di smerciare olio di sansa per olio extra-vergine d’oliva, come l’agropirata, bloccato nel 2008 nel porto di Palermo, pronto a spedire a São Paulo, in Brasile, 50.000 bottiglie etichettate Azeite de oliva extra-virgem – Primeira Prensagem a frio – olio extravergine d’oliva, prima spremitura a freddo – dichiarate, per eludere i controlli e nonostante l’etichetta, come bottiglie di olio di sansa.

Spacciare oli ordinari per oli pregiati è pratica assai diffusa tra gli agropirati. Nel 2011 una maxi operazione interessò, ad esempio, Bari e Taranto con il sequestro di tre container per il Giappone con 20.400 bottiglie e 6.564 lattine per un totale di 51.563 litri di olio extra-vergine d’oliva, olio d’oliva e olio di sansa, tutte con false etichette con indicazioni di origine. Un’operazione con conseguente perquisizione dell’azienda coinvolta e il ritrovamento di 31.540 litri di olio extra-vergine d’oliva e oltre 5.500 finte etichette.

Anche le miscele vengono contraffatte. Nel 2009 a Trapani fu sequestrato un container per gli Stati Uniti con 7.014 recipienti di plastica con, così la bolla d’accompagnamento, miscela di olio extra-vergine d’oliva e olio vegetale di canola, quest’ultimo risultato di soia.

Per oli che partono, ci sono quelli che arrivano, come l’olio tunisino. Nel 2011 la dogana di La Spezia, in collaborazione con il Nucleo Antifrodi dei Carabinieri di Parma e dei Carabinieri di Sciacca, nell’agrigentino, scoprì un traffico di olio d’oliva tunisino, destinato a Cina e Stati Uniti, etichettato come extravergine di origine italiana e risultato olio lampante e d’oliva vergine. L’oleificio, cervello della truffa, era a Sciacca, con tentacoli, oltre che all’estero, a Genova, Bari e La Spezia. Un’operazione complessa – con l’agropirata che aveva messo in piedi una ragnatela di “diffuse irregolarità” per ostacolare rintracciabilità e qualità del prodotto – conclusasi con il deferimento all’autorità giudiziaria del titolare dell’oleificio e il sequestro, dopo il sopralluogo nello stabilimento, di più di 3.000 tonnellate di olio per un valore commerciale di circa 10 milioni di euro.

Nel 2013 a Livorno fu, invece, sequestrato un container per il Canada con circa 15.000 kg di olio extravergine tunisino. Una truffa ben congegnata, con l’olio importato in Italia dalla Tunisia da un’azienda italiana, che provvedeva all’apposizione dell’etichetta con la dicitura importato dall’Italia, ma, come denunciato dalle autorità, con “raffigurazioni grafiche afferenti alla buona cucina italiana e al paesaggio toscano, senza alcun riferimento alla reale origine tunisina del prodotto”.

 

Abbiamo parlato di:

Depenalizzazione del reato di frode in commercio: è nuova guerra sull’olio Articolo Tiscali

Eurispes Website Twitter Facebook

Agromafie. 2° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia Documento

Deoleo S.A. Website

Transcrime Website Twitter Facebook LinkedIn

Estimating the counterfeit markets in Europe Documento

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli Website