Salta al contenuto principale

Cibi freschi al sicuro con l’etichetta che cambia colore

Immagine

Leggi più veloce

Conservare i cibi, contrastandone il deterioramento, è una pratica che risale ai tempi dei tempi. Si pensi alla salamoia per le olive, al sale per le acciughe, alle spezie, fino a quando non è arrivato il freddo con gli alimenti da frigorifero, “prodotti freschi deperibili”, di cui oggi c’è “ampia disponibilità” e sempre più sotto la lente d’ingrandimento di chi ha a cuore la sicurezza alimentare. Se il freddo protegge i cibi, chi fa da sentinella al freddo, verificando che sia quello giusto?

La nuova frontiera si chiama smart tag, l’etichetta intelligente termocromica, semplice e a basso costo, che aiuterà i consumatori a conoscere la storia termica di alimenti come latte, formaggi, yogurth. L’etichetta è stata progettata da alcuni ricercatori del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e dello Imperial College di Londra, coordinati da Luca Beverina, professore associato di Chimica Organica dell’ateneo milanese.

Milanese, classe 1975, Luca Beverina si è laureato in Scienza dei Materiali alla Bicocca, dove ha conseguito un dottorato di ricerca nella stessa disciplina, trascorrendo il post dottorato fra l’ateneo di origine e il Georgia Institute of Technology di Atlanta, negli Stati Uniti. Tornato a Milano, nel 2005 diventa ricercatore di Chimica Organica, quindi, nel 2014 professore associato. Le sue ricerche riguardano i materiali organici per ottica, elettronica e optoelettronica. Ha pubblicato circa cento articoli su riviste internazionali ed è autore di cinque brevetti. Con il professor Beverina abbiamo parlato della famosa etichetta, cercando di capirne un po’ di più. Un’etichetta rivoluzionaria, di cui è stata informata la comunità scientifica grazie allo studio Thermochromic Latent-Pigment-Based Time–Temperature Indicators for Perishable Goods pubblicato sulla rivista Advanced Optical MaterialsIn poche parole: la smart tag è un’etichetta che cambia colore al variare della temperatura, fornendo indicazioni sulla corretta temperatura di conservazione dei cibi freschi. Un’etichetta, quindi, legata alla sicurezza alimentare. 

Il segreto è in un pigmento organico di una pellicola di silice porosa applicata sulla confezione del prodotto. Il pigmento è stato programmato: se la temperatura di conservazione è di 4° C, l’etichetta è incolore, se supera i 4° C e arriva, non oltre trenta minuti, a 9° C diventa blu chiaro, con l’alimento tre ore a temperatura ambiente, l’etichetta diventerà, invece, blu scuro. Facciamo un esempio con etichetta applicata a confezioni di latte e yogurth. Etichetta bianca: il prodotto è conservato correttamente. Etichetta celeste: alimento esposto a temperatura ambiente per un breve periodo e quindi da consumare in poco tempo. Etichetta blu: alimento esposto più di trenta minuti a temperatura ambiente, non più adatto al consumo. Una soluzione” spiega Luca Beverina “che aiuterà produttori e distributori a evitare che alimenti freschi e deteriorati finiscano nello stesso frigorifero”. Oltre che agli alimenti, l’etichetta potrà essere applicata a farmaci o reagenti che necessitino di una conservazione a temperature specifiche.

Una scoperta frutto del caso. È il 2012 quando Luca Beverina vince un premio della Fondazione Cariplo per ExPhon, programma di ricerca frontiera su celle solari organiche “fabbricate utilizzando la luce”. Un progetto con un obiettivo ben preciso: migliorare il processo produttivo delle celle fotovoltaiche organiche, a loro volta basate su composti del carbonio, realizzando i “collegamenti fra le diverse celle” di un pannello attraverso lo “sfruttamento contemporaneo di auto assemblaggio e reattività fotochimica di materiali attivi originali”. Con quali vantaggi sul piano industriale? L’aumento dell’efficienza di conversione dell’energia solare in energia elettrica delle celle organiche e la riduzione dei costi produttivi.

Cosa accade, invece? E qua si torna al pigmento. “Il materiale è stato scoperto per caso” racconta il professor Beverina “la ricerca su questi materiali era volta ad ottenere celle fotovoltaiche organiche. Questa classe di materiali va sotto il nome comune di pigmenti latenti. In poche parole, un pigmento è caratterizzato da un colore marcato e da una pressoché totale insolubilità, al contrario di un colorante che è sempre colorato, ma solubile. L’industria delle vernici ha sviluppato l’approccio del pigmento latente per poter utilizzare i pigmenti come se fossero coloranti. Di fatto un pigmento industriale viene trattato nello stesso modo in cui noi generiamo il nostro inchiostro termocromico, con la differenza che i pigmenti industriali non cambiano colore ma diventano solubili. La nostra idea era di sviluppare proprio uno di questi pigmenti latenti quando, con nostra grande sorpresa, abbiamo notato che partendo da un pigmento blu ottenevamo una soluzione incolore. Abbiamo isolato il prodotto della reazione come solido bianco… e la mattina dopo era diventato blu! Da qui è nato tutto il resto”.

“C’era già qualcosa di simile in giro, ma non tale da soddisfare criteri come la sicurezza dei cibi e le esigenze dei consumatori?”, abbiamo chiesto al professor Beverina, pensando alla smart tag. “Esistono numerose etichette di questo tipo” ci ha risposto “anche commercialmente disponibili. Dato il costo elevato vengono prevalentemente usate su farmaci. Questa soluzione è in linea di principio economica”. Sono maturi i tempi per una commercializzazione della smart tag? “Al momento si tratta di un proof of concept in laboratorio”, così il professor Beverina. “Nel frattempo, qualcuno s’è fatto avanti?”, gli abbiamo allora chiesto. “Direi che c’è un buon riscontro. Ho ricevuto alcune proposte da produttori nazionali di alimenti freschi che sono intenzionati ad assisterci anche durante la fasi di sviluppo”, così Beverina. “Per il momento nessuna offerta dall’estero. C’è da dire che i tempi sono un po’ prematuri. La scoperta in laboratorio è recentissima e i problemi da risolvere prima di una commercializzazione sono comunque rilevanti. È prevedibile che un periodo di due, tre anni sia necessario per passare dalla fase puramente scientifica a quella più tecnologica”.

 

Abbiamo parlato di:

Università degli Studi di Milano-Bicocca Website Twitter Facebook Google+ LinkedIn

Imperial College Website Twitter Facebook Google+ LinkedIn Instagram

Luca Beverina Website

Georgia Institute of Technology Website Twitter Facebook Google+ LinkedIn Instagram Flickr

Thermochromic Latent-Pigment-Based Time–Temperature Indicators for Perishable Goods Articolo 

Fondazione Cariplo Website Twitter Facebook LinkedIn