L’acronimo DPTS riassume uno dei disturbi più diffusi dell’epoca moderna, il Disturbo Post Traumatico da Stress. Tale disagio si manifesta, in alcuni soggetti, in seguito al vissuto o all’esposizione ad un evento traumatico che abbia implicato un rischio per la vita o per l’integrità fisica propria o altrui.
Nei criteri necessari per la diagnosi, elencati nel DSM IV-TR (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), il soggetto deve:
- riferire una risposta di paura intensa e impotenza;
- rivivere l’esperienza traumatica attraverso ricordi, sogni o flashback;
- manifestare evitamento per situazioni che possano ricordare l’evento;
- mostrare perdita di interesse verso situazioni o persone prima attraenti;
- presentare uno stato di allerta costante.
Questa costellazione di segnali deve necessariamente presentarsi per almeno un mese dopo l’esperienza vissuta e compromettere più aree sociali del soggetto.
Una tecnica, diffusa negli ultimi tempi in psicoterapia, utilizzata per far fronte a traumi e ferite emotive, è l’EMDR (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari). L’idea alla base di tale pratica è che i ricordi legati all’evento, siano ancora così traumatici da essere rimasti “intrappolati” nella parte destra del cervello, quella emotiva. Attraverso una stimolazione bi-emisferica oculare, tattile o acustica si sollecitano in contemporanea i due emisferi cerebrali, favorendo l’integrazione tra essi, così da permettere a quello sinistro di elaborare cognitivamente l’evento.
A questo punto verrebbe da chiedersi: come mai alcune persone sviluppano questo tipo di patologia e, altre invece, nonostante abbiano vissuto lo stesso evento traumatico, riescono a superarlo? Alla base di tale vulnerabilità, molti studi evidenziano una serie di fattori quali quelli ambientali e/o genetici, legati a esperienze traumatiche pregresse o collegati a caratteristiche di personalità.
Un’importante qualità da considerare, che incide favorevolmente nel superamento degli eventi traumatici, è la resilienza. Il concetto, mutuato dalla metallurgia, indica la tendenza dei materiali a mantenere la propria struttura, dopo essere stati sottoposti a forze deformanti. In psicologia, allo stesso modo, specifica la capacità di una persona di far fronte ad eventi stressanti e traumatici, organizzandosi di nuovo e uscendone rinforzata.
La resilienza è considerata sia una caratteristica di tratto, sia di processo: è cioè possibile possederla o anche apprenderla e svilupparla. L’individuo resiliente è qualcuno che ha vissuto in contesti educativi che hanno promosso tale capacità e che lo hanno ben predisposto ai cambiamenti, a valutare criticamente i punti di forza e di debolezza e a porsi obiettivi realistici utilizzando la comunicazione e il problem solving come strumenti privilegiati per superare le difficoltà.
Volete testare la vostra resilienza? Siete in mare aperto con una barca rovesciata, cosa fate? Vi lasciate andare o cercate di risalire?