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Gioco di passioni fra arte e natura: l'artista Fabiana Sorrentino

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La sua prima tela, un dipinto con girasoli. Era stato il fratello a regalarle un cavalletto, pennelli e colori ad olio. Fino a quando non è passata al cemento, al gesso, alla sabbia, alle pietre da incollare sulla tela. A Bologna, dove oggi vive e insegna, lei, Fabiana Sorrentino, tarantina, classe 1977, ai Giardini del Baraccano incontra il pittore colombiano José Fernando Moncada Gomez, in città con quadri di paesaggi e personaggi della terra d’origine. Vede El Pantano e rimane affascinata dal paesaggio realizzato con il polimaterico, da quell’immagine – grazie al connubio tra olio e gesso – in 3D, chiedendo all’artista di insegnarle la tecnica a olio e, in particolare, il polimaterico.

Prima di Bologna, Taranto, dove studia alla Facoltà di Scienze Ambientali, attratta da un percorso genuinamente interdisciplinare – matematica, fisica, chimica, studi sugli inquinanti, trattamento dei rifiuti, analisi biochimica degli ambienti. Quindi Bari, per un dottorato in Scienze Ambientali, alla ricerca di “metodologie chimiche ecocompatibili ed ecosostenibili”.

Sensibile alle tematiche ambientali, nel 2010 dipinge l’albero di Pollution, riflessione su tela ispirata alla “situazione tarantina compromessa dal polo industriale” che “riversa sulle nostre terre agenti inquinanti che distruggono i nostri paesaggi e compromettono le nostre vite”. Il paesaggio è immaginario, con quell’albero, ora rigoglioso ora malato, che “rappresenta la vita ancorata a una terra meravigliosa” che “le dà sostentamento” ma che “la avvelena dalle radici causando la sua inevitabile e lenta morte”. L’accusa è contro le “politiche del profitto, indifferenti al degrado ambientale” che hanno deturpato, danneggiandola “irrimediabilmente”, la “patria degli ulivi”. 

Taranto, con il siderurgico dell’Ilva, il petrolchimico dell’Eni, la Cementir, l’industria del cemento, anche se i danni maggiori per l’ambiente sono venuti dall’Ilva, oggetto di indagine giudiziaria e sequestro degli impianti.

L’Ilva, la più grande acciaieria d’Europa, quella dei Riva,  con “tecnologia e impianti ormai vecchi”, che “non ha adottato tutte le misure necessarie per evitare la dispersione incontrollata di polveri sottili e fumi assai nocivi per lavoratori e abitanti della zona”, per non parlare degli “incidenti mortali”. Diossido di azoto, anidride solforosa, acido cloridrico, benzene, diossine: “Noi che ci siamo nati e cresciuti ai piedi del mostro, che incombe a ridosso della città, e che abbiamo respirato, mangiato e vissuto esposti continuamente agli inquinanti emessi dall’impianto siderurgico, viviamo con la costante paura di ammalarci o di portare nei geni delle anomalie”.

Un altro albero, con tronco in rilievo e su quattro tele, è quello di Il tempo che scorre. Una tela per ogni stagione: i primaverili fiori del mandorlo, le foglie autunnali dell’acero, del leccio e del carpino, il paesaggio arido e brullo di un’estate, secca, pugliese, la neve dell’inverno, che in Puglia può cadere nelle “zone più alte della Valle d’Itria, come Ostuni”. L’idea nasce da un lavoro fatto a scuola con i bambini, con i loro “disegni delle quattro stagioni accostati su un unico cartellone”. Un’idea compositiva perfetta per poter “esaltare la mutevole bellezza dell’albero nell’arco dell’anno”.

Quindi, Ulivo, tela del 2012, quando ancora “non si parlava di abbattere gli alberi infetti dalla xylella”. L’ulivo, albero assai caro a Fabiana Sorrentino, “nata e cresciuta fra gli ulivi”, in Puglia, dove se ne “vedono ovunque, grandi, nodosi, intrecciati, vecchi, accoglienti, imponenti, annodati, spesso forati”. Un albero simbolo della terra natia: “Quando torno giù in Puglia mi accorgo di essere arrivata quando vedo gli alberi di ulivo a ridosso dell’autostrada A14 o nelle campagne che attraversa il treno diretto a sud'.

E i paesaggi marini, come quello con l’Arco di San Felice, ricordo di un viaggio a Vieste, sul Gargano, dove, nella Baia delle Zagare, si trovano due faraglioni fra i “più importanti simboli naturalistici di tutta la Puglia”: il Pizzomunno, un faraglione in pietra calcarea che, “bianchissimo”, “cade a picco sul mare turchese” della baia e l’Architiello di San Felice, un “arco dalla forma quasi perfetta scolpito nelle rocce dal mare e dagli agenti atmosferici”. Un luogo ricco di “baie, grotte e spiagge”, di contrasti fra il “bianco della roccia calcarea”, il “verde dei boschi e della macchia mediterranea” e il “blu del mare.

O quello ancora di Torre sgarrata, come quelli del luogo chiamano, in dialetto lizzanese, Torre Zozzoli – fra Marina di Lizzano e Marina di Pulsano, nel tarantino, lungo la litorale salentina – edificata nel Cinquecento dagli Spagnoli per difendersi dai Saraceni. Tutt’intorno la tela, la “pietra leccese usata per rivestire le case o per fare i muretti a secco”, proprio per poter “creare una finestra che s’affaccia sul mare, per cui questa roccia calcarea dal bel colore ambrato, simile al miele, si prestava bene”.

La pietra su tela ritorna in Roseto Capo Spulico, centro turistico, con castello a picco sul mare, nell’alto Ionio cosentino.

E Il gabbiano, tela con la spiaggia di Pulsano, nel tarantino, un tempo ritrovo di gabbiani e dove ancora oggi sfocia La Fontana, una sorgente sotterranea le cui “fresche acque sgorgano direttamente in mare sotto la sabbia del bagnasciuga”. Il gabbiano, uccello marino, simbolo di libertà, che ama la solitudine ma che sa vivere anche in stormo. Uccello di mare e di terraferma: “Mi sento molto gabbiano quando, dopo tanto tempo che sono a Bologna, lontana dal mare, ho la forte necessità di tornare ad inebriarmi di odore di mare. Chi nasce sul mare, se lo porta dentro, è un legame indissolubile'.

Il mare ritorna nella tela con La baia del pescatore, lido della costa ionica, a Leporano, frequentato, grazie al suo “fondale basso e sabbioso” dalle famiglie, e rifugio di barche di pescatori, come quella rossa del dipinto, lì da tempo immemore. Luogo suggestivo, dove le sere d’estate, dal “bar in legno” con due “grandi palme” a fargli da sentinella, si può “gustare un drink seduti in terrazza” o, meglio ancora, a un “tavolino a ridosso della battigia, ammirando il riflesso della luna su questa piccola insenatura che abbraccia e accoglie in modo sicuro le sue piccole barchette”. La pesca stimola i ricordi: “Ho trascorso la mia infanzia sommersa nei fondali sabbiosi o rocciosi dei miei litorali attrezzata di maschera a fare per lo più snorkeling in cerca di pesci, ricci e stelle marine, granchi, paguri, e, quando più fortunata, polpi. Ricordo che a cinque, sei anni, anche se mi tenevo agilmente a galla, ancora non sapevo nuotare bene e che mi facevo trascinare sulle spalle da mio padre verso le acque più profonde per osservare con la mia inseparabile maschera i fondali più al largo”.

I luoghi della terra natìa e i viaggi verso mondi lontani, anche questi impressi su tela, come quella, bellissima, di Tramonto in Botswana, ricordo di un viaggio fra Sud Africa, Botswana e Zimbawe, tra le “suggestive terre africane”, alla scoperta della “natura selvaggia” – con visite al Parco Nazionale Kruger, la più grande riserva naturale del Sudafrica e al Parco Nazionale Chobe, nel Botswana, il parco degli elefanti – e della “sconfinata gamma di colori” del cielo. Ed è ai cieli africani che s’ispira la tela, a un cielo dai colori caldi, “sul far della sera, quando i rumori della natura si fanno più intensi e la presenza degli animali si fa più inquietante”, là, fra le alte palme a ventaglio del Botswana, lungo il fiume Zambesi, con quella “oscurità” che “avanza sulle rive” e che può “nascondere coccodrilli, elefanti, leoni, antilopi, giraffe che s’avvicinano per bere”. E il pensiero va al leone Cecil – che viveva nel Parco Nazionale Hwange, nello Zimbawe – ucciso dal dentista americano Walter Palmer: “Non riesco a capire come si possa uccidere senza senso e in maniera brutale un esemplare così maestoso e possente che a guardarlo negli occhi ispira solo rispetto. Condanno chiunque vada in questi posti semplicemente per il piacere di cacciare animali a rischio estinzione”.

Dall’Africa più profonda al Marocco, con Dune, ricordo di un tour fra le città imperiali, con la zona pre desertica del Sahara raggiunta a bordo di un quad. La scena ritrae una famiglia di dromedari mentre attraversano il deserto: “In realtà i dromedari non li ho visti proprio nel deserto, era più comune trovarli nelle zone abitate. Gli animali allo stato selvaggio incontrati molto spesso sono state le capre equilibriste, che s’arrampicavano sugli alberi di argan per mangiarne i frutti. Ho voluto comunque inserire nello scenario una caravana di dromedari, simbolo del Sahara e che hanno attribuito alla scena anche un senso di divenire come la sabbia che si muove continuamente. La cosa che più mi piace è la loro ombra sulla sabbia, un’ombra alta di un sole che non ha raggiunto ancora il mezzogiorno, che indica che la giornata di caldo e fatica è ancora lunga, come il cammino che può riservare ancora tante sorprese. Questi paesaggi di natura estrema dove l’assenza dell’elemento antropico è a vantaggio della forza espressiva della natura sono i luoghi a me più cari”.

L’Africa con i suoi colori accesi e la Slovenia, con la “vivacità dei colori” di Paesaggio sloveno, ricordo di un viaggio estivo fra “verde e tranquillità, all’insegna delle passeggiate nella natura e del benessere fra piscine e saune degli hotel della zona”. La tela ritrae Otočec, con, dietro un “ponticello di legno” e sullo sfondo, il castello di Otočec, un “luogo fatato risalente al 1252, nel cuore della natura incontaminata del fiume Krka”.

I paesaggi, la natura morta di Vitamina e le ballerine di danza orientale, come la ballerina di Snake Bellydancer, ritratto di Rachel Brice, ballerina di Tribal Fusion, evoluzione della danza del ventre orientale. Nella tela la ballerina ha nelle mani i cimbali, o crotali, piccoli strumenti a percussione sotto forma di piattini metallici, molto usati dalle “zingare egiziane”, con il costume “elaborato” con gioielli, frange, ornamenti floreali per i capelli per lo più realizzati personalmente dalle ballerine”. Fra tutte le posizioni, “non a caso quella con un movimento di spalle, analogia col serpente con tutta la sua sinuosità e pericolosità”. Non a caso, con “arte e danza, permei” come sono di “natura e ambiente”.

 

Abbiamo parlato di:

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Kruger National Park Website

Chobe National Park Website Twitter Facebook Pinterest Instagram YouTube

Hwange National Park Website

Otočec Scheda

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