Salta al contenuto principale

Giornata Onu su guerre e ambiente: una strada ancora lunga

Immagine

Leggi più veloce

Il 5 novembre 2001 l’Assemblea Generale dell’Onu istituì, da celebrarsi ogni 6 novembre e per sensibilizzare sui devastanti effetti dei conflitti sull’ambiente e le popolazioni, la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente durante le guerre e i conflitti armati

L’immagine simbolo, scatto di Steve McCurry, è del 1991 con alcuni dromedari che s’aggirano in cerca di acqua e cibo sotto la nube nera dei pozzi petroliferi in fiamme. Siamo in Kuwait, epoca Guerra del Golfo, la madre di tutti i conflitti odierni.

Gli anni Novanta sono anche quelli del conflitto balcanico, con la pioggia di ordigni all’uranio impoverito sui territori della ex Jugoslavia. Un crimine di guerra denunciato dai fotografi-documentaristi di TerraProject – collettivo nato a Firenze nel 2006 – con il reportage Fuoco Amico. Ritorno nei Balcani. “Tra il 1995 e il 1999”così la presentazione del reportage “le forze militari della Nato furono impiegate per ristabilire l’ordine nelle province indipendentiste della Jugoslavia. Durante il conflitto, l’esercito degli Stati Uniti utilizzò armi arricchite con miscele di uranio impoverito, ottimali dal punto di vista bellico (avendo un potere esplosivo maggiore degli armamenti normali), ma altamente contaminanti, non tanto per le radiazioni che rilasciano, quanto per le nanoparticelle di metalli pesanti che la loro esplosione libera. I soldati italiani, non informati della pericolosità di tali armamenti, furono esposti alla contaminazione in misura maggiore rispetto al personale di altri contingenti presenti. Per questa ragione, molti di loro hanno sviluppato nel tempo la cosiddetta Sindrome dei Balcani, una serie di tumori, tra cui il più frequente è il linfoma di Hodgkin (…) Dieci anni dopo il conflitto, alcune aree e zone industriali che furono teatro dei bombardamenti, non sono state bonificate dalle scorie di uranio impoverito, e testimoniano quali possano essere a distanza di anni gli effetti tragici della guerra”.

Perché l’uranio impoverito non è stato ancora messo al bando? Se lo chiede anche la International Coalition to Ban Uranium Weapons, la coalizione internazionale contro le armi l’uranio. Un documento del Pentagono del giugno 2015, da noi consultato, ad esempio, ne difende ancora l’uso, rivelando come fondamentalmente il suo impiego sia accettato da tutti, in particolare americani, britannici e francesi. Un documento con conclusioni sconcertanti: l’uranio impoverito non è dannoso. Una pillola indorata. È, infatti, dagli anni Settanta che il Pentagono è a conoscenza degli “effetti certi dell’esplosione di ordigini all’uranio impoverito”, con la Nato allarmatasi nel 1984, allorquando inviò ai paesi membri, fra cui l’Italia, un documento con le norme di protezione dai pericoli dell’uranio impoverito” riguardanti “l’impiego a freddo del materiale in caso di maneggio”.

Il 14 novembre 1993, dopo la prima Guerra del Golfo, ricorda l’ammiraglio Falco Accame, che da tempo segue le vicende sull’uranio impoverito, il Pentagono emanò le prime norme di protezione simili a quelle della Nato: usare una tuta molto fitta da lavare ogni giorno dopo le operazioni, indossare occhiali, maschere e guanti. Norme che furono adottate in Somalia durante la missione Restore Hope, dove, al contrario, i militari italiani arrivarono con precauzioni solo contro punture di insetti e colpi di sole ed esigenze di disinfezione.

Anche nei Balcani gli americani arrivarono provvisti delle massime protezioni, non così gli italiani: “La maggior parte degli aerei che aveva effettuato bombardamenti in Bosnia era partita dalla base di Aviano, una base al comando di un colonnello della Aeronautica Italiana”, racconta Accame. “Le armi all’uranio, usate nei bombardamenti, erano state prelevate e sistemate sugli aerei nella stessa base di Aviano. Dalla base di Aviano erano stati emanati gli ordini di impiego per le armi nelle missioni. La base di Aviano ha ricevuto i rapporti di volo delle missioni nei quali si precisa quali e quante armi sono state impiegate e dove sono state impiegate. Anche per questi motivi è da ritenersi che i Comandi italiani dovessero essere al corrente dell’impiego di queste armi nel teatro bosniaco e quindi avrebbero dovuto provvedere a informare soprattutto chi operava sul campo”. Quando i primi italiani arrivarono nei Balcani, i bombardamenti “alleati” avevano già infettato il teatro. “Entravamo negli edifici bombardati qualche settimana o mese prima” racconterà un militare italiano ammalatosi a causa dell’uranio impoverito, quindi deceduto. “Bisognava fare controlli o asportare oggetti e molte volte lo facevamo a mani nude, in base a ordini ripetuti o improvvisi”.

Uranio impoverito, armi chimiche, campi minati, ordigni lasciati sul terreno o fatti piovere, in mare, dal cielo, sabotaggi e bombardamenti contro raffinerie, dighe, oleodotti, acquedotti: un prezzo troppo alto per l’ambiente, oltre che per l’uomo.

 

Abbiamo parlato di:

Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente durante le guerre e i conflitti armati Website

Steve McCurry Website Twitter Facebook Instagram Tumblr

TerraProject Website Twitter Facebook LinkedIn

Fuoco Amico. Ritorno nei Balcani Video

International Coalition to Ban Urianium Weapons Website Twitter Facebook