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Montagna e disturbi cardiovascolari: i consigli della scienza per non rischiare

Montagna e disturbi cardiovascolari i consigli della scienza per non rischiare
di Stefania Elena Carnemolla

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Montagna: che sia d’inverno con le cime innevate, in primavera e in estate rallegrata dal verde e tappeti di fiori od ancora in autunno vivacizzata dai colori del foliage, la montagna non perde mai il suo fascino.

Pur amandola, c’è, tuttavia, chi vi rinuncia a malincuore. Parliamo, ad esempio, di chi soffre di problemi cardiovascolari.

Uno studio pubblicato su European Heart Journal, grazie ad un decalogo, in futuro aiuterà i medici a “consigliare al meglio i propri pazienti cardiopatici, amanti della montagna” senza che corrano rischi. Il decalogo racchiude, infatti, vere e proprie raccomandazioni cliniche per l’esposizione ad alta quota di individui con condizioni cardiovascolari preesistenti. Nel team che ha condotto la ricerca anche il professore Gianfranco Parati, docente di Medicina cardiovascolare all’ Università degli Studi di Milano-Bicocca, nonché direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’ Auxologico San Luca di Milano. Il professor Parati, che da tempo studia queste problematiche con spedizioni in alta quota in varie parti del mondo come, ad esempio, sull’Everest, spiega come il decalogo contenga “consigli basati su evidenze scientifiche” e, quindi, non solo e semplici “opinioni personali”. “Ne emerge” spiega “un ventaglio di raccomandazioni che tengono in considerazione da un lato aspetti ambientali come velocità di salita, quota raggiunta, temperatura o il fatto di dormire in quota, e dall’altro aspetti personali come allenamento, storia clinica, stabilità dei problemi cardiovascolari, terapia in corso, esami diagnostici recenti, training precedente, preparazione fisica e clinica”.

Per il professor Parati il “paziente cardiologico”, infatti, “non deve necessariamente privarsi del piacere della montagna, ma la deve affrontare con serietà, consapevolezza, prudenza e preparazione, basandosi su dati scientifici e sulla propria storia personale”. Niente improvvisazione, quindi, ma valutazione con il proprio medico di una “precisa stima del livello di rischio cardiovascolare individuale” che potrebbe anche portare a individuare problemi subclini, cioè, “ancora non manifesti”.

Perché l’alta quota costituisce un problema per chi soffre di problemi cardiovascolari? All’aumentare dell’altitudine, l’ossigeno diventa sempre più rarefatto, tanto da costringere l’organismo a ricorrere a misure di compensazione, spiega la dottoressa Camilla Torlasco, co-autrice dello studio e ricercatrice all’Auxologico di Milano e alla Bicocca, con conseguente aumento della frequenza cardiaca e di quella respiratoria, della pressione arteriosa e di quella polmonare, quindi con una riduzione dell’ossigeno e dell’anidride carbonica nel sangue e, talvolta, con la comparsa di apnee nel sonno, fino a quando l’organismo non si adatta secondo un processo detto di acclimatamento.

È proprio nel cercare questo punto di equilibrio che chi soffre di problemi cardiovascolari ne risentirà: “Nel caso di persone con pregresse patologie cardiache, vascolari o polmonari, l’esposizione ad alta quota può essere pericolosa” spiega la dottoressa Torlasco “perché all’organismo, già indebolito dalla patologia di base, viene richiesto uno sforzo importante di adattamento”. “Da qui la necessità” consiglia “di valutare caso per caso il grado di stabilità del quadro clinico e la capacità di adattamento del cuore e dell’apparato vascolare. Questo può comportare la necessità di rivalutare la terapia in atto, in collaborazione con il proprio medico e con uno specialista adeguatamente preparato su questi temi”.

Montagna, sì, senza dimenticare la riduzione, salendo sempre più in quota, della pressione barometrica o atmosferica, “la pressione” come spiega ancora la dottoressa Torlasco “determinata dal peso della colonna d’aria presente al di sopra del punto di misura”, con la sua riduzione che causa una “rarefazione delle molecole presenti nell’aria, azoto, ossigeno, anidride carbonica, che porta al fenomeno noto come ipossia ipobarica”.

 

Abbiamo parlato di:   

Clinical recommendations for high altitude exposure of individuals with pre-existing cardiovascular conditions Articolo

Università degli Studi di Milano-Bicocca Website Twitter Facebook Google+ Instagram LinkedIn

Auxologico San Luca – Milano Scheda

 

 

30/01/2018