Negli ultimi anni, concetti come narcisismo patologico e dipendenza affettiva sono diventati sempre più presenti nel linguaggio quotidiano. Merito di una crescente sensibilizzazione sui rischi legati a certe relazioni disfunzionali, che ha aiutato molte persone a riconoscere dinamiche tossiche e a tutelarsi da rapporti potenzialmente dannosi – a volte, purtroppo, anche letali.
Ma se da un lato l’informazione può salvare, dall’altro può anche confondere. E online, tra blog, video, post e testimonianze, si sta creando un cortocircuito: il termine “narcisista” è ormai diventato un’etichetta generica, spesso usata come insulto, quasi una condanna. Il rischio? Ridurre una problematica clinica complessa a una caricatura.
Il narcisista come nuovo “mostro” del web
In Rete si moltiplicano descrizioni stereotipate del narcisista: manipolatore, freddo, calcolatore, seduttore seriale. In alcuni casi viene addirittura associato a caratteristiche fisiche, come se si potesse riconoscerlo a colpo d’occhio. Si parla di “vampiri energetici”, si citano a sproposito concetti psicologici profondi, si propone il “no contact” come unica via di salvezza. Tutto questo alimenta una narrazione semplicistica e manichea: da una parte la vittima, pura e inconsapevole; dall’altra il carnefice, crudele e irrecuperabile. Ma la realtà clinica è ben diversa.
Dietro il narcisismo, una ferita
Le persone con tratti narcisistici disfunzionali non sono necessariamente mostri. Sono spesso individui che hanno vissuto traumi, abusi o gravi carenze affettive durante l’infanzia. Hanno costruito una personalità difensiva, centrata sul controllo e sull’autoprotezione, proprio per sopravvivere a esperienze emotive devastanti. Questo non giustifica i loro comportamenti lesivi, ma aiuta a comprenderli.
Dal punto di vista terapeutico, demonizzare il narcisismo non serve a chi soffre né a chi fa soffrire. Non aiuta la cosiddetta vittima a capire le dinamiche che l’hanno portata a “incastrarsi” in quella relazione. E non aiuta il partner narcisista a prendere consapevolezza e, se possibile, a iniziare un percorso di cura.
Narcisismo: non tutto è patologico
Esiste un continuum del narcisismo: da quello sano, che riguarda l’autostima e il bisogno di riconoscimento, fino a forme patologiche, e in alcuni casi più estremi, maligne. Ma tra questi poli esistono tante sfumature, molte delle quali possono essere trattate e migliorate con una psicoterapia mirata.
Inoltre, non va dimenticato che anche chi si identifica come “vittima” può, inconsapevolmente, contribuire alla dinamica tossica con modelli interiorizzati di autosacrificio, annullamento, dipendenza affettiva. La soluzione non può essere solo “tagliare i ponti” o cercare di “guarire l’altro”, ma lavorare su di sé, sulle proprie fragilità e bisogni emotivi.
La Rete non è la terapia
Internet è un ottimo punto di partenza per informarsi, ma non può sostituirsi alla competenza clinica. Affidarsi a fonti attendibili, leggere libri scritti da professionisti, e – nei casi più complessi – chiedere supporto psicologico resta la strada migliore per comprendere e affrontare queste dinamiche.
In conclusione, è importante evitare giudizi affrettati e diagnosi “fai da te”. La psicologia non serve a etichettare le persone, ma a comprenderle e, quando possibile, aiutarle a cambiare.
Equilibrio e integrazione: queste le parole chiave per uscire da una relazione tossica e ricostruirsi. Il resto, lasciamolo ai titoli sensazionalistici.